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06 09 22 - La Turchia comincia ad ammettere l’esistenza della “questione armena”
di Mavi Zambak
Malgrado resistenze ed opposizioni di ambienti nazionalistici, libri, giornali e televisioni cominciano ad affrontare un tema finora tabù. E i tribunali hanno assolto scrittori imputati di aver offeso la nazione e le sue istituzioni.

Istanbul (AsiaNews) - Non tiene più l’arcaico articolo 301 del codice penale contro “l’oltraggio al nome della Turchia”, pesante strascico di un nazionalismo che ancora tarda a morire e a cui si sta appigliando con tutte le forze una minoranza di estremisti, un gruppuscolo di avvocati ultranazionalisti, legati al MHP, il partito dei Lupi Grigi, dalle cui fila uscì Ali Agca, l’attentatore di papa Giovanni Paolo II.

L’anno scorso il celebre scrittore turco Orhan Pamuk dopo aver ammesso ad un giornale tedesco che “un milione di armeni vennero uccisi in Turchia”, ricevette minacce di morte, fu accusato di “oltraggio alla turchità, alla Repubblica, al Parlamento, al governo, ai ministeri, ai membri delle forze armate e di pubblica sicurezza, ai membri della magistratura (come recita il testo dell’articolo 301 del Codice penale turco attualmente in vigore)” e solo dopo ripetuti rinvii del giudizio, il 24 gennaio, sentendosi puntati addosso gli occhi europei, dubbiosi circa il diritto di libertà di espressione, il tribunale turco prosciolse l’accusato.

E, sempre dagli ambienti giudiziari vicini al MHP (Movimento di Azione Nazionale), fu fatta richiesta di annullare la conferenza "Gli armeni ottomani nel periodo della dissoluzione dell'Impero: responsabilità scientifica e questioni democratiche", organizzata dall'Università del Bosforo per il 24-25 settembre 2005 e già rinviata dal precedente maggio, per "la mancanza di trasparenza nei criteri adottati per la scelta degli oratori". Anche in questo caso, però, la generale protesta contro questa violazione della libertà accademica e l'intervento del primo ministro Erdogan, permisero il regolare svolgimento della conferenza.

Ieri sotto processo c’è stata Elif Shafak, giovane scrittrice turca residente in America, chiamata a giudizio sempre dallo stesso avvocato, Kemal Kerincsiz, che è capo dell’Unione Giuristi, gruppo che ha lo scopo di “difendere lo spirito del Paese” da tutti quegli scrittori, editori, giornalisti e liberi pensatori che si oppongono all’oscurantismo nazionalista. Stavolta sotto accusa era il best seller (in Turchia in pochi mesi ha venduto cinquantamila copie) “Bastardo di Istanbul”, in cui il protagonista armeno accusa i “macellai turchi” dei massacri di armeni cristiani compiuti dal 1915, alla fine dell’impero ottomano. Se Pamuk rischiò tre anni di galera per una dichiarazione storico–politica, Elif l’ha rischiata per le parole offensive e oltraggiose
pronunciate da un personaggio di fantasia, per una novella per nulla autobiografica.

Kemal Kerincsiz ha perso per la seconda volta consecutiva: l’accusata è stata prosciolta.

Poche le contestazioni contro questa decisione del tribunale: solo un manipolo di avvocati fuori dal tribunale ad Istanbul si è schierato contro la scrittrice, peraltro assente per il parto appena avvenuto della sua primogenita, ma subito la lite interna fra le due correnti (quella conservatrice e quella progressista) è stata sedata dalla polizia.

Segno che il nazionalismo è agli ultimi spasimi e anche il tabù degli armeni comincia a venire sempre più allo scoperto.

Da anni, in realtà, la Turchia è impegnata nel difficile compito di affrontare la propria storia recente: la questione armena rappresenta indubbiamente uno dei nodi più intricati e dolorosi di questo processo, "il buco nero dell'identità repubblicana", come scrisse lo storico Taner Akcam.
E questa apertura avviene grazie a giornalisti e intellettuali turchi. “La rivoluzione silenziosa esiste – aveva affermato tempo addietro la stessa Shafak – è in pieno corso ma avviene principalmente ad opera di elite politiche e culturali di ispirazione riformista. Il rifiuto di riconoscere il genocidio compiuto contro il popolo armeno è il frutto di una sorta di amnesia collettiva, una specie di frattura della memoria”. Proprio per questo in Turchia sono in corso numerose manifestazioni culturali per “restituire la propria memoria, il proprio passato al popolo turco”.

All'inizio del 2005 è stata inaugurata ad Istanbul una mostra di 600 cartoline d'epoca con l’intenzione di “far gradualmente prendere coscienza ai cittadini turchi di quanto vasta e radicata fosse la presenza armena sul territorio ottomano”. Questa coscientizzazione è poi proseguita con l'apertura di un museo armeno ad Istanbul, inaugurato dallo stesso primo ministro Erdogan. Per il 90° anniversario del genocidio, avvenuto tra il 1915 e il 1916, la gran parte dei canali televisivi, compresa la Tv di Stato, hanno proposto trasmissioni
dedicate alla questione armena, nelle quali storici e intellettuali di differenti orientamenti hanno potuto confrontarsi e scontrarsi in infinite tavole rotonde. Anche la carta stampata dedica molto spazio ad articoli,
editoriali ed interviste dedicate alla questione armena ed all'Armenia contemporanea. E numerosi libri sono stati pubblicati in turco a tale proposito.

I discendenti degli armeni convertiti all’Islam per scampare ai massacri commessi sotto l’Impero ottomano hanno voluto, per decenni, nascondere la loro origine, giudicata infamante. Approfittando di questa apertura della società turca, cominciano ora ad uscire allo scoperto manifestano apertamente le loro radici.

L’avvocato Fethiye Cetin, per prima, nel 2004, attraverso il suo libro Anneannem, “Mia Nonna”, ha reso note le origini della sua antenata Heranush, nata in un villaggio armeno della provincia d’Elazig, nell’est della Turchia.
Questa biografia, basata sulle testimonianze confidate dall’anziana signora alla fine della sua vita, descrive i tragici avvenimenti vissuti da lei stessa a partire dal 1915, il massacro degli uomini del suo villaggio, la deportazione delle donne, la sua adozione da parte di una famiglia turca musulmana e la sua conversione.

In Turchia sono state vendute 12mila copie di questo libro, che ora è alla settima edizione. “Ciò che più importa, è che molte persone della mia condizione mi hanno chiamato per dirmi : ‘anch’io, mia nonna’”, commenta oggi la scrittrice, ricordando le testimonianze che le sono arrivate a centinaia dopo la pubblicazione del libro, “sempre con un velo di sofferenza”. “Io spero che il mio libro abbia aperto la via. Anch’io stessa prima avevo timore, in quanto argomento tabù. Essere trattati da armeni era un insulto, gli armeni sono stati considerati dei cospiratori. Oggi è in corso un processo di approfondimento della questione”.

A seguito della pubblicazione del libro, parecchie persone, come sostiene il cronista Bekir Coskun, hanno rivelato pubblicamente la loro origine in parte armena cominciando le ricerche sulla storia troppo nebulosa della propria famiglia.

Anche la cineasta Berke Bas si è lanciata alla ricerca delle tracce della sua anziana nonna nella memoria degli abitanti di Ordu , una città del Mar Nero. “
Molte persone di questa città del nord est della Turchia mi hanno fornito volentieri informazioni, si ricordavano molto bene dei loro antichi vicini – racconta. - I turchi di Ordu si ricordano con tristezza e nostalgia questa epoca di pacifica e solidale convivenza”. La giovane donna, che non ha conosciuto le origini armene dei suoi antenati se non da adulta, constata che i turchi sono ormai più sereni dinanzi al loro passato e si rallegrano di riscoprire “un’altra versione della Storia che va oltre la storia ufficiale in cui gli armeni appaiono crudeli nemici”.

“A mio avviso, la metà dei turchi sono di origine armena”, precisa Luiz Bakar, un avvocato del patriarcato armeno d’Istanbul, raccontando le storie dei convertiti venuti a confidarsi da lei.

Secondo la Bakar, ogni anno una ventina di persone vengono battezzate nel Patriarcato armeno, la maggior parte “persone che ha vissuto come musulmani” e oggi vogliono ritrovare la loro religione di origine prima di morire.

Ma per poter guardare con coraggio la propria storia occorre anche scardinare il blocco nazionalista che impedisce di mettere allo scoperto situazioni anche dolorose e travagliate che la nazione ha vissuto, senza timore di perdere il proprio onore e la propria faccia. Per questo da più parti ormai è pressante la
richiesta di togliere dal codice penale il fatidico articolo 301 – la cui abrogazione è stata più volte sollecitata dall’Unione Europea -, che punisce ogni tentativo di espressione che potrebbe offendere l’identità turca e che ostacola così la libertà di pensiero e di ricerca storica.

Lo stesso primo ministro Erdogan, che si è congratulato per l’esito positivo del processo alla scrittrice Elif Shafak, ha dichiarato che occorre prendere il coraggio a quattro mani, sedersi al tavolo delle trattative e con calma discutere a livello parlamentare l’abolizione dell’articolo che ha portato all’incriminazione di diversi intellettuali turchi o per lo meno trovare qualche “aggiustamento” per arrivare all’unanimità per eventuali modifiche.

Intanto il 5 ottobre ci sarà un altro processo contro un’altra scrittrice turca: Ipek Calishar. Rischia ben quattro anni di carcere per aver scritto un libro nel quale racconta, grazie alle memorie della sorella, la storia dell’ex moglie di Ataturk, il padre fondatore della Turchia, altro tabù intoccabile per i nazionalisti.

V.V

 
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