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06 09 18 - Gregorio III, patriarca di Antiochia e di tutto l'Oriente
LIBERTA'16/9/06
Sua beatitudine Gregorio III, patriarca di Antiochia e di tutto l'Oriente, di Alessandria e Gerusalemme è una persona amabilissima che, nonostante i tratti in apparenza severi, mette subito gli interlocutori a proprio agio.
Accompagnato nella sua visita in terra piacentina da mons. Mtanos Haddad rettore della basilica romana di Santa Maria in Cosmedin sede della presenza cattolica melchita in Italia, dagli archimandriti italiani mons. Virginio Fogliazza e padre Emiliano Redaelli e dal colonnello Gregorio Paissan commendatore dell'Ordine patriarcale della Santa Croce di Gerusalemme, il patriarca sale insieme al parroco mons. Riccardo Alessandrini la scalinata che immette nella chiesa superiore della Santissima Trinità poi si ferma ammirato ad osservare il grande dipinto sulla parete absidale.
«Qui a Piacenza siamo sempre ricevuti come in un famiglia. Un'amicizia cresciuta poco per volta che ci fa respirare nella stessa fede». Ma il primo pensiero è rivolto alla Terrasanta e soprattutto al Libano dove la chiesa cattolica greco melchita è impegnata nell'aiuto ai profughi.
«Più che mai abbiamo bisogno di solidarietà per arginare gli effetti di una guerra tragica, anguinosa e criminale. Abbiamo sofferto tanto? uomini, chiese, presbiteri? Per settimane tutto il Libano e non solo il Sud si era trasformato in tante piccole isole, le persone non potevano spostarsi: 58 ponti distrutti, strade inservibili. La gente era allo sbando».
Qual è oggi la situazione nel Paese?
«Oggi il Libano è un immenso campo di lavoro, un grande cantiere. Bisogna pensare che si tratta di una nazione che già in un passato recente è stata martoriata ma ha saputo riprendersi, anche adesso sta facendo la stessa cosa».
«Malgrado tutte le politiche che volevano distruggere l'unità libanese - prosegue il patriarca - la comunità libanese è rimasta unita: cristiani, drusi, sciiti, sunniti? non sono riusciti a dividerli».
Come cercare di sperare tutte queste difficoltà? E' sufficiente un aiuto materiale o il discorso va affrontato in maniera diversa?
«Vede, è un po' come quello che chiamo il Misterium iniquitatis e il Misterium resurectionis. Il mistero del male è insito nell'uomo eppure c'è sempre una risurrezione, ce lo indica bene la Via Crucis si conclude sempre con il Risorto. Dobbiamo essere figli della vita, mai pensare di non riuscire a riprenderci, mai disperare, vorrei citarle le parole di San Paolo: "Voi siete nuovi in Cristo?". Ebbene dobbiamo davvero essere in grado di riprendere sempre la strada che ci è stata indicata per cercare un mondo migliore, un mondo di fratellanza».
«La pace è la chiave per tutto il Medioriente ma non solo per quell'area geografica. Io sono sempre più convinto che gli equilibri del mondo si giochino proprio in Terrasanta».
La parrocchia della Santissima Trinità recentemente si è impegnata in iniziative per sostenere la vostra scuola di Beit Sahour dove studiano sia studenti cristiani che musulmani, ne vuole parlare?
«Padre Haddad si è impegnato molto per questa grande struttura che abbiamo a poca distanza da Betlemme. Un centro molto importante per la pastorale e per l'avvenire dei nostri giovani. Siamo contenti dell'appoggio e dell'aiuto che Piacenza intende dare agli studenti del patriarcato. In Palestina la situazione è difficile. Le incomprensioni, gli odi, il muro, tutto porta difficoltà e in questa situazione la scuola cattolica ha un ruolo importante: educare i giovani cristiani e musulmani ad essere agenti di pace per un avvenire insieme, musulmani, cristiani ed ebrei».
A Gerusalemme nel 1948 i cristiani erano 30.000, oggi in base alla crescita demografica dovrebbero essere aumentati di numero invece si sono ridotti a meno di 15.000, se poi leggiamo il dato relativo a tutta la Terrasanta i cristiani sono solo il 2%. Una strada senza via d'uscita?
«Ogni crisi è causa di nuove ondate di emigrazione e i cristiani sono i primi a lasciare il Paese. Ma musulmani tolleranti e cristiani possono essere elementi di pace. Purtroppo però in una situazione di conflitto ad andarsene sono soprattutto quelli che possono essere elementi di pace e in questo modo l'odio si radica ancora di più. Le faccio l'esempio che ho vissuto proprio nelle settimane scorse: davanti ai consolati fin dal mattino c'era un'infinità di gente in attesa di poter avere un visto di immigrazione verso i Paesi occidentali».
Veniamo ai rapporti del suo patriarcato con l'Occidente. Perché la scelta di far diventare archimandriti sacerdoti di rito latino? «Nel nord Italia ne abbiamo quattro, l'ultimo in ordine di tempo è mons. Alessandrini. Da loro ci viene un prezioso aiuto. Sono i nostri nuovi apostoli in Occidente!».
«Quella di archimandrita - sottolinea Gregorio III - è una carica che comporta sì un onore per chi la riceve ma è soprattutto un impegno: essere strumenti di comprensione tra popoli differenti con differenti tradizioni. Un impegno quindi per una maggiore unità, per respirare davvero con due polmoni, Oriente e Occidente».
Lei nel 1962 ha fondato e portato avanti per diversi anni una rivista che puntava all'ecumenismo anticipando di decenni una visione oggi condivisa da molti.
«La chiesa cattolica greco melchita ha vissuto in prima persona le ferite delle divisioni perciò la visione ecumenica fa parte del nostro Dna. In quegli anni ero all'Angelicum di Roma e fondai una rivista che si intitolava "Unità nella fede", una rivista ecumenica e orientalista in lingua araba, un luogo d'incontro intellettuale e spirituale per ortodossi, cattolici e protestanti.
Siriani, armeni, caldei? tutti portavano il loro apporto per crescere insieme.
Purtroppo da tempo non viene più stampata però nelle mie intenzioni c'è quella di fondare qui in Italia una piccola rivista che possa aiutare a capire l'Oriente e che dia anche quelle informazioni che la stampa internazionale tende a tralasciare».
Tutti questi conflitti, queste divisioni, sembra che il livello dell'odio salga a ritmi esponenziali in ogni parte del mondo?
«Su questa terra tutti siamo chiamati a vivere l'unità nella diversità. Pensi alla concezione monoteista di noi cristiani; un Dio solo in tre persone: Padre, Figlio e Spirito Santo. Non è un concetto che va contro l'intelligenza umana, anzi! E' la strada da percorrere anche su questa terra lo ripeto: unità nella diversità».
E Piacenza cosa può fare per la Terrasanta?
«Nella vostra città c'è un cuore e un orecchio che sanno rispondere ai nostri appelli di aiuto e di solidarietà. Dopo aver assistito ancora una volta ad una guerra sanguinosa che per le popolazioni locali è stata un calvario, una guerra sistematica di distruzione, oggi abbiamo bisogno di non sentirci soli e di far vedere la nostra presenza là dove ci sono odio e sofferenze. In queste settimane sto portando in giro per l'Europa questo appello, prima in Germania, ora in Italia, poi in Svizzera, Francia e Gran Bretagna: dobbiamo far crescere i nostri giovani con il senso della fratellanza, in Oriente come in Occidente, e voi potete aiutarci in questo. Una Chiesa senza giovani è una Chiesa senza avvenire, e i giovani senza Chiesa sono giovani senza avvenire».
Proprio in questo giorni si ricorda la drammatica data dell'11 settembre. Una data che ha cambiato il mondo.
«Una giornata che rimarrà nella storia come un monito: tutti possiamo essere ì criminali. Ho visitato Ground Zero dopo il disastro del 2001 e là ho fatto una piccola omelia dicendo: siamo qui dove si è materializzato il mistero del male e dell'iniquità. Ma non dobbiamo scoraggiarci, Cristo ha detto: "Voi siete la luce del mondo" e dicendo questo ha voluto far presente che il mondo è fatto di tenebre. Ecco, noi cristiani qui a Piacenza come a Damasco o a Gerusalemme dobbiamo essere una piccola fiaccola che illumina. Guardi la guerra in Libano, è stata l'esempio lampante che i conflitti non rappresentano mai la soluzione di un contrasto. L'ho fatto presente anche agli israeliani: avete un esercito tra i più efficienti del mondo eppure le vostre armi non bastano per vincere perché le guerre oggi non si combattono più sul campo di battaglia ma casa per casa. America, Europa, ma anche Siria e Paesi Arabi, tutti devono essere portatori di pace. Se gli stati che stanno dietro ai belligeranti non fanno tutto per pacificare questo è un atteggiamento immorale. Non mi stancherò mai di dirlo: non abbiamo bisogno di guerre ma di un cammino insieme, per la pace.
Dobbiamo costruire ponti e distruggere i muri che ci separano».
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V.V

 
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