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06 03 29 - PALAZZO YACUBIAN al centro del CAIRO
di Dario Cella
Nel 1934 il milionario armeno Hagub Yacoubian decise di costruire un edificio nel centro del Cairo che portasse il suo nome. Affidò i lavori ad uno studio di
architettura italiano: dieci piani nel più classico stile europeo con balconi decorati, con statue, corridoi, colonne, scale in marmo e uno splendido
ascensore. Ospitò subito il fior fiore della società dell’epoca. Nella parte superiore, un enorme terrazzo, furono costruiti cinquanta stanzini che, col
tempo, dopo la rivoluzione divennero alloggi per camerieri ed infine, con il liberismo degli anni ’70, i vecchi domestici li cedettero in cambio di denaro a
nuovi inquilini poveri provenienti dalle campagne. Può venire in mente, in miniatura, la casa Vauquer di “Papà Goriot” di Balzac, dove vivevano una
quindicina di persone divise secondo il censo. All’ultimo piano i più poveri.
In effetti il romanzo “Palazzo Yacoubian” di ‘Ala Al-Aswani, attualmente in “tournée” in Italia ad opera della Feltrinelli per farsi meglio conoscere, è
una “Comédie humaine” dell’Egitto contemporaneo e il palazzo Yacoubian è una Macombo, il piccolo paese di “Cent’anni di solitudine” di G.G.Marquez, dove le
storie dei suoi protagonisti sono variazioni sul tema Egitto: vecchi, giovani, fedeli o corrotti, un magnifico ritratto di una società ancora in parte oscura e piena di contraddizioni. Ogni storia fotografa un particolare senza il quale è impossibile arrivare ad un quadro d’insieme, il tema Egitto si concede solo nelle vicende di singoli individui che abitano il palazzo.

Ecco allora la storia di Taha, figlio del portiere che sogna di entrare nella polizia, ma non ci riesce data la modesta posizione sociale. Diventa studente
ed inizia a frequentare l’ambiente del radicalismo islamico, ma viene arrestato e seviziato come sospetto terrorista. Da questo momento non sognerà che la vendetta e la “jihad”, sia nel senso di sforzo verso la perfezione morale e religiosa, sia come azione militare in difesa dell’Islam. Dopo un lungo
addestramento morirà da martire durante un’azione terroristica. Si racconta anche di Hatim, intellettuale gay votato al giornalismo che trova l’amore in un prestante militare, ma finirà male: “Cominciò a sbattergli la testa contro il
muro con tutte le forze, finché non sentì il sangue caldo e appiccicoso che gli colava sulle mani”. Zaki Bey è un vecchio dongiovanni che sa ancora amare come
un giovane. Dopo mille traversie riuscirà a sposarsi felicemente con una ragazza che avrebbe dovuto solo approfittarne ed invece se ne innamora:
“Buthayna appariva proprio un essere puro e meraviglioso, era come se fosse rinata liberandosi per sempre degli sbagli del passato”. La carrellata di personaggi non si esaurisce qui, ognuno fa la sua parte nel teatro del mondo.
Si può solo concludere con le parole di una canzone che animava l’esclusivo locale Maxime: “Non, rien de rien. Non, je ne regrette rien / Ni le bien qu’on
m’a fait, ni le mal / tout ça m’est bien égal…”.

V.V

 
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