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06 03 04 - MARTIROS SARIAN: UN PITTORE ARMENO NEL SOLE DELL’ORIENTE
Note biografiche<BR>
Martiros Sarian nasce nel 1880 a Nakhitschivan, lungo il corso del Don, settimo figlio di una famiglia di contadini di origine armena. Grazie all’aiuto del fratello maggiore Ovanes si trasferisce a Mosca dove tra il 1897 e il 1903 frequenta i corsi di pittura, allievo, tra gli altri, di Valentin Serov e Kostantin Korovin.<BR>
Nel 1901 visita per la prima volta l’Armenia russa, dove in seguito si sarebbe recato regolarmente. A partire dal 1903, l’immaginario di Sarian si popola di motivi orientali.<BR>
Nel 1907 l’artista partecipa alla mostra di tendenza simbolista, La rosa blu, in cui espongono, tra gli altri, Pavel Kuznecov e Nicolaj Sapunov. I motivi simbolisti scompaiono dalla sua produzione a partire dal 1909, facendo posto a nature morte e impressioni dei viaggi compiuti nel Caucaso e nel vicino Oriente. Nel 1910 effettua un viaggio di due mesi in Turchia. Le vedute di Istanbul gli guadagnano il riconoscimento del pubblico, mentre alcune vengono acquistate dalla galleria Tret’jakov di Mosca. Nel 1911 intraprende un lungo viaggio in Egitto, mentre nel 1913 si reca in Persia. Nel 1915, allo scoppio della prima guerra mondiale, si reca in Armenia per prestare soccorso ai profughi che, in fuga dai turchi, cercano asilo nell’Armenia russa.<BR>
Deciso avversario dell’avanguardia e delle correnti suprematista e costruttivista, a partire dal 1916 Sarian vive tra la città armena di Tiflis e il pese natale sul Don. Nel 1912, padre di famiglia, si trasferisce a Erevan, capitale della Repubblica sovietica d’Armenia, dove acquista progressivamente il ruolo di eroe nazionale.<BR>
Nel 1924, il riconoscimento ufficiale gli consente di trascorrere due mesi in Italia, come rappresentante della delegazione sovietica degli artisti. Visita Venezia, Firenze e Roma. Durante gli anni Venti la sua opera è dominata dai paesaggi montani dell’Armenia. A partire dagli anni Trenta la sua pittura assume un maggiore realismo, senza rinunciare al cromatismo intenso e al caratteristico appiattimento delle forme. Sarian è ormai l’apprezzato ritrattista dell’élite armena e sovietica. Nel 1967 la città di Erevan gli dedica un museo. Muore nel 1972.<BR>
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Il sole dell’Oriente<BR>
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I paesaggi inondati di luce del vicino Oriente e del Caucaso costituiscono il tema ricorrente nell’opera del pittore russo Martiros Sarian.<BR>
In un articolo pubblicato nel 1913 sull’artista, allora residente a Mosca, Maximilian Volosin scriveva: “Sarian non dipinge l’Oriente con lo spirito di un orientalista, bensì col sentimento di un figlio”. Eppure nel 1913, anno in cui si affermava con un notevole successo, il cosiddetto “figlio d’Oriente” non aveva ancora visitato l’Armenia. Né vi era nato. Sarian nacque in una comunità armena insediatasi lungo il corso inferiore del Don e si trasferì a Mosca all’età di diciassette anni. Intraprese il suo primo viaggio in Armenia all’età di ventun’anni; fino a quel momento, la sua conoscenza del paese dipendeva esclusivamente dai racconti di terzi. Da quell’anno trascorse spesso le vacanze estive nelle regioni caucasiche appartenenti all’impero russo. Nella sua autobiografia, Martiros Sarian ha scritto: “Si può dire che abbia succhiato fin dalla più tenera età, insieme al latte materno, lo spirito dell’Oriente e del meridione, nonché tutte le singolarità dell’arte armena…”.<BR>
Di fatto, Sarian possedeva una doppia identità culturale. Il suo amore per l’Armenia, per “l’Oriente e il meridione”, appare fortemente caratterizzato dalla distanza tra l’artista e la sua terra. L’immaginario di Sarian è decisamente più “orientaleggiante” di quello di alcuni suoi contemporanei armeni cresciuti in Caucaso, come Egise Tatevosjan, Amajak Akopjan o Vagram Gaifedzhian, che come lui si formarono nell’atmosfera europea delle scuole d’arte moscovite oppure, nel caso di Akopjan, all’Accademia di Monaco. Il rapporto filiale che lega Sarian all’Oriente si manifesta, secondo Volosin, nel fatto che il pittore non si limita a “copiare gli elementi ornamentali dell’Est”, non si dedica a qualche “singolarità etnografica”, come aveva fatto prima di lui il pittore Vasilj Vereschagin, ossessionato dallo studio del dettaglio; Sarian si mette piuttosto alla ricerca dello spirito, della quintessenza dell’Oriente e cerca di catturarla attraverso una semplificazione dei colori e delle forme, che tendono ad appiattirsi.<BR>
Durante un’encomiastica presentazione dell’opera di Sarian alla Mostra internazionale d’arte di Venezia nel 1924, il critico italiano Giuseppe Sprovieri notò che tale semplificazione è “caratteristica dell’orientalismo” e ne osservava la vicinanza alla pittura di Matisse. Si deve dire però che, nello stesso linguaggio, il critico Volosin non ravvisava un “orientalismo” voluto e ottenuto con la ricerca artistica, quanto piuttosto il segno dell’autentica appartenenza dell’artista alla cultura orientale. “Un oriundo europeo correrebbe il rischio di cadere in un linguaggio ostentato, da cartellone. Ma Sarian sa, grazie al suo puro istinto orientale, come trascurare i dettagli e riempire le linee del profilo con una straordinaria ricchezza cromatica”.<BR>
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L’Influenza di Matisse<BR>
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L’influenza di Henri Matisse, di cui intorno al 1910 i moscoviti Sergej Scukin e Ivan Morozov furono appassionati collezionisti, viene spesso e volentieri sottovalutata dagli studiosi di Sarian, fin troppo ansiosi di dimostrare l’originalità artistica del pittore armeno. Intorno agli anni Dieci, Sarian aveva acquisito una lunga dimestichezza con quello stile piatto, formalmente semplificato e cromaticamente intenso che appare già relativamente maturo nel quadro Magia del sole, del 1905. Sarian affermò che erano state le impressioni raccolte durante le vacanze estive in Caucaso a spingerlo con decisione verso forme espressive nuove e plastiche. Non era facile conciliare le sottili sfumature di grigio della tavolozza di Valentin Serov, il maestro moscovita di Sarian, con l’immagine vivace e colorata delle strade di quella che il pittore chiamava “la patria armena”.<BR>
Ma la tensione dell’artista verso la piattezza delle forme e l’intensità del colore era in quell’epoca condivisa da molti pittori dell’Europa occidentale, in particolare Matisse, che aveva scoperto, appropriandosene, l’estetica del tappeto orientale fondando la propria arte sui suoi principi costitutivi, cioè la piattezza delle forme e valenza dell’elemento ornamentale. Per quanto invece riguarda i contenuti orientali nell’opera di Matisse, in particolare nei lavori realizzati nel 1912 sulla scia delle impressioni ricevute durante il viaggio in Marocco, non si deve trascurare l’elemento esotico, dal contenuto prettamente evasivo, che è buona parte da inquadrare nella moda dell’Oriente diffusa in quell’epoca. Tuttavia, la tendenza a un appiattimento delle forme rimane, nell’opera di Matisse, un elemento pittorico di importanza decisamente superiore.<BR>
Per Martiros Sarian, che si dedicò costantemente a temi legati all’Est a partire dal 1903, l’Oriente non costituiva una semplice riserva di immagini, bensì una parte della sua identità, una parte orgogliosamente rivendicata. Tuttavia il successo dell’artista, che si impose nelle sale moscovite a partire dal 1909, venne sanzionato non da ultimo dalla moda dell’orientalismo, e senza dubbio anche dall’entusiasmo dei moscoviti per Matisse. Non è un caso che Sarian ricevette il suo primo incarico di ritrattista da Sergej Scukin, che gli commissionò un ritratto del figlio Ivan (effettivamente eseguito nel 1911).<BR>
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Suggestioni di viaggio<BR>
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E’ inoltre significativo che i primi quadri di Sarian acquistati nel 1911 dalla galleria Tretjakov di Mosca non rappresentavano paesaggi armeni, ma alcune suggestioni raccolte durante il viaggio in Turchia. Anche i quadri realizzati tra il 1911 e il 1913 e ispirati ai lunghi viaggi attraverso l’Egitto e la Persia contribuirono al crescente successo di Sarian. Paradossalmente, alla vigilia della prima guerra mondiale l’armeno Sarian, che tanta importanza attribuiva ala propria identità culturale, si mise in luce con i quadri dedicati ai paesi musulmani del vicino Oriente. La dominazione esercitata per secoli da Turchia e Persia sulla cristiana Armenia contribuì certamente ad arricchirne la cultura. Si direbbe che, dal suo soggiorno moscovita, Sarian giudicasse meno importanti le contrapposizioni nazionali e religiose che dividevano i paesi cristiani del Caucaso (Georgia e Armenia) dai loro vicini musulmani, rispetto alle differenze culturali che separavano armeni e russi. Il mondo vivace, orientaleggiante e fiabesco che compare nelle prime opere di Sarian si contrapponeva all’Europa del tempo proponendosi come alternativa d’evasione.<BR>
Nel 1910, Sarian evocò nei suoi quadri i magici colori della capitale turca, Istanbul, che il pittore volle sempre chiamare col suo nome cristiano, Costantinopoli. Notava inoltre con orgoglio che, dopo i turchi e i greci, gli armeni rappresentavano numericamente il terzo gruppo etnico di Costantinopoli, ragion per cui egli stesso poteva sentirsi, in quella città, quasi come a casa propria.<BR>
Per concentrarsi sugli elementi essenziali, Sarian dipingeva le sue impressioni di viaggio di sera, ricorrendo soltanto alla memoria. “Sceglievo e dipingevo (solo) le cose piùà importanti e necessarie, le cose davvero tipiche, omettendo i dettagli”. E subito dopo aggiunge: “Mi piacevano il sole e il caldo”. Evidentemente, questa è per lui la principale caratteristica delle regioni orientali. “L’estate è la stagione più bella. Rappresenta la vittoria della vita, della positività. Il sole regna sulla terra, come il padrone sulla sua casa”. Per Sarian, l’essenza dell’oriente si ritrova nelle strade di Istanbul infuocate dalla calura del mezzogiorno, quando i passanti scivolano lungo le pareti delle case per goderne l’ombra. Ne sono caratteristici anche gli innumerevoli cani stesi al sole, che già nel 1909 il pittore aveva messo in relazione all’afa estiva. Sarian osservava che a Costantinopoli i cani vivevano “in branchi e ogni branco aveva il suo proprio quartiere. Non c’era un angolo in tutta la città dove non ci fossero cani […]. Nessuno disturbava i cani, erano considerati quasi animali sacro”.<BR>
Per Sarian, l’animale sacro dell’Egitto era invece l’orgoglioso cammello. “Il cammello mi squadrò on un colpo d’occhio in cui brillava senza veli tutto il suo disprezzo, quindi si distolse da me con assoluta indifferenza e riprese il suo eterno masticare”. Il quadro Palma da datteri, dipinto in Egitto nel 1911, rappresenta anche quella che Sarian percepiva come un dualismo nei sistemi di trasporto del luogo cioè la compresenza di asino a cammello”.<BR>
Durante il viaggio, Sarian sviluppò grande interesse per l’arte dell’antico Egitto. Riteneva che la sua superiorità sull’arte araba dipendesse anche dal fatto che era sorta “sulla propria terra, e non su una straniera”. Nel compianto per il popolo dell’antico Egitto, che perse la sua autonomia culturale a causa della conquista islamica, è impossibile non riconoscere un lamento sul destino dell’Armenia. Ma se un’arte non può prosperare su terra “straniera”, viene spontaneo domandarsi in che modo sia da valutare l’arte dello stesso Sarian, nata e sviluppatasi a Mosca.<BR>
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Radici culturali<BR>
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Sarian sostenne che ogni uomo creativo è radicato nella cultura del suo popolo e ne respira “l’atmosfera storica”. Ma era anche perfettamente consapevole dell’urgente necessità di uno scambio di esperienze. “Isolamento significa morte, ma l’appropriazione delle esperienze straniere deve avvenire sul suolo nazionale”. Sarian citò con esplicita approvazione la tesi dello scrittore armeno Alexander Sirvanzade, che giunse ad affermare la tesi secondo cui il “cosmopolitismo è un nemico del progresso e dell’arte”.<BR>
Per Sarian, l’arte deve essere contemporaneamente nazionale e universale. La convinzione dell’esistenza di un’arte inconfondibilmente nazionale, che al contempo rappresenta anche un tesoro per tutti i popoli della terra, è un’idea moltodiffusa all’inizio del XX secolo. “Con gli anni, il mio sguardo si diresse verso Sud”, affermò Sarian retrospettivamente, “ai luoghi mai dimenticati della mia infanzia, poi al Caucaso, al trans-Caucaso e infine alla natura e alla vita in Armenia, la terra il cui popolo continuava a vivere nella lingua di mio padre e mia madre, la lingua dei miei antenati. Era molto difficile trovare, nell’arte, una lingua che fosse così vicina all’anima del mio vecchio popolo quanto la sua stessa lingua, e che contemporaneamente fosse, come quella, vicina al cuore di altri popoli”.<BR>
Quando, nel 1915, Sarian dipinse a Mosca il ritratto del petroliere milionario dell’Azerbaijan Iosif Mantasev, il pittore scelse la prospettiva frontale e uno sfondo piatto a decorazioni floreali, ricorrendo così agli stilemi dell’arte popolare e della miniatura. Sarian dipinse Mantasev – presentantosi alla seduta ancora semi addormentato e affaticato dagli stravizi notturni – nei panni di un despota orientale, avvolto nella sua veste da mattina. Il primitivismo intenzionale del dipinto fa pensare ai ritratti contemporanei dell’autodidatta georgiano Niko Piromani.<BR>
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Attimi di felicità<BR>
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Sarian era dell’opinione che l’arte avesse lo scopo universale di donare agli esseri umani degli attimi di felicità. Voleva quindi “creare opere che siano gioia alla gente, trasmettendo un senso di libertà e felicità”. Tale sentimento non è pensato come un’evasione, cioè non mira a far dimenticare per qualche istante le preoccupazioni della vita; già in epoca sovietica, Sarian afferma che l’arte deve dare all’osservatore “la forza per superare ogni tipo di ostacoli”. In breve, Sarian coltivò un’arte fondamentalmente “positiva nei confronti della vita”. Appare del tutto conseguente, da questa prospettiva, il rifiuto dell’espressionismo tedesco, che il pittore giudicava opprimente. Tuttavia, anche nei paesaggi meridionali di Sarian si nascondono abissi invisibili. L’arte è con le parole del pittore “un’insostituibile arma di cui l’uomo dispone per imporre la sua volontà e il suo desiderio di immortalità”. Sullo sfondo oscuro della mortalità umana, Sarian evoca il caldo sole del Sud come un’energia dispensatrice di vita.<BR>
Sarian rifiutò non solo l’espressionismo tedesco, ma anche le correnti russe del Futurismo e del Suprematismo. L’avanguardia che si formò a Mosca intorno al 1915 gli appariva come “un momento di profonda malattia dell’arte”. “Pittori e pittrici dilettanti, gli elementi più viziosi di quel folle gioco, rappresentavano in esso la stragrande maggioranza”, scriveva Sarian in retrospettiva, fiducioso della sicura approvazione del lettore sovietico. “Regnava un vero caos. […]. Il mio obiettivo era soltanto quello di stare lontano da Mosca per molti anni”. Dopo vari trasferimenti, nel 1921 Sarian si stabilì infine in Armenia, dove finì per calarsi completamente nel ruolo di un eroe nazionale.<BR>
Continuò a dipingere e realizzò, soprattutto negli anni Venti, numerose opere ricche di forza espressiva; tuttavia i quadri dipinti “all’estero”, cioè nel maturo periodo trascorso a Mosca tra il 1909 e il 1915, rimangono senza dubbio gli elementi più pregevoli della sua eredità artistica.<BR>
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Walther K. Lang<BR>
da Art & Dossier, n. 219, febbraio 2006, Giunti Editore<BR>
traduzione dal tedesco di Barbara Baroni per NTL, Firenze<BR>
mpm<BR>
www.pianeta-arte.com

e.mainardi

 
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