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051218 - Cosė Cossiga - 6 dic
Lo scorso trentuno agosto mi chiedevo come il giornalista Camillo Arcuri avesse fatto a sopravvivere, nonostante tutto quanto sapesse sul “golpe Borghese”. Del resto Mauro De Mauro finì male proprio in quelle circostanze. Sono passati oramai trentacinque anni dal Golpe “dell’immacolata” (era l’8 dicembre 1970) e, lungo tutto questo periodo, la magistratura non ha riconosciuto l’avvenimento. Di fatto il termine “golpe” è un retaggio giornalistico. Tre i gradi del processo: nel primo fioccano le condanne. Tuttavia, tutti assolti in appello. La Corte di Cassazione confermerà poi l’esito dell’appello. Per i giudici di secondo grado, quello che i giornalisti chiamano “golpe” è solamente “il conciliabolo di quattro o cinque sessantenni”; roba da nostalgici rincoglioniti insomma. Vige ancora il mistero più nero su chi abbia materialmente fermato tutto e ordinato il retrofront, quando tutto era ormai pronto: le armerie del Viminale saccheggiate (rubati oltre duecento mitra), i duecento forestieri nei pressi di Via Teulada per occupare gli studi della Rai e leggere il messaggio alla nazione; i “siciliani” avevano raggiunto la capitale ed erano pronti ad uccidere l’allora presidente della Repubblica Saragat. Chissà dove era il signor Piaggio, che si dice essere interessato alla cosa insieme all'elite economica genovese.

L’Italia non si accorse di nulla e, la mattina seguente, si svegliò ignara e democratica. Le prime notizie di quanto accaduto furono pubblicate dal quotidiano romano “Paese sera”. Tre mesi dopo.

A distanza di trentacinque anni, uno dei coinvolti (con mansione di tramite tra i golpisti e l’ambasciata americana) ha deciso di parlare e di dire qualcosa. Secondo Adriano Monti, medico reatino, gli Stati Uniti sapevano, Nixon sapeva. Gli Stati Uniti guardavano favorevolmente al colpo di stato italiano per costruire una cintura sicura sul mediterraneo che potesse favorirne l’ingerenza (da Lisbona ad Atene, via Madrid e Roma) e avevano indicato Giulio Andreotti come gradito presidente del Consiglio. Di cose ne ha dette parecchie, Minoli e Repubblica hanno seguito il caso con attenzione.

Ora però quello che mi chiedo tutte le sere prima di andare a dormire è: ma sul letto di morte, Cossiga ce la dice la verità su Ustica? O ci rifila nuovamente il “pippone” sul cedimento strutturale?





V.V

 
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