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051110 - Franco Cardini: Un genocidio ancora sconosciuto
Da Toscana oggi 10/11/05
Armenia, un genocidio ancora sconosciuto
di Franco Cardini
La polemica sui genocidi continua. Da una parte, tutti siamo d'accordo sul carattere straordinario della Shoah: che non risiede né nella sua enormità sotto il profilo quantitativo (conosciamo purtroppo massacri che hanno ecceduto, e di parecchio, la cifra-simbolo dei sei milioni), né nella crudeltà della sua esecuzione (anche da questo punto di vista c'è purtroppo ben altro nella storia del mondo), bensì sulla sistematica, programmatica e programmata freddezza.

Un genocidio consumato non già per annientare una resistenza né eliminare un concorrente o per impadronirsi d'un territorio: bensì per estirpare dalle radici un popolo, una civiltà, una cultura, una tradizione, insomma una presenza. È la coscienza di ciò che ci consente d'uscire dall'infame equivoco della computisteria funebre: non si tratta di stabilire quale regime tirannico o quale demoniaco groviglio di ferocia, di volontà di potenza e d'interesse abbia fatto più vittime, bensì di condannare una mostruosità che non ha pari nella sua radice impastata di lucida follìa ideologica e di preteso scientismo.
Ideologia e scientismo che, non dimentichiamolo, sono due mali correlati alla Modernità e complementari all'ateismo. Restano veri, per la Shoah, i due grandi aforismi di Dostoevskji e di Chesterton: «Se Dio non esiste, tutto è permesso», e «Quando si smette di credere in Dio non è che non si crede più in nulla: al
contrario, si comincia a credere a tutto».

Ma si commetterebbe davvero a nostra volta un delitto, e si offenderebbero senza remissione le vittime stesse della Shoah, se la sua unicità servisse per così dire a coprire in qualche modo gli altri genocidi; se il mostro razzista che l'ha provocata servisse, sbattuto in prima pagina, a nascondere altri mostri altrettanto infami anche se di differente segno politico o ideologico. Al contrario, la Shoah è, nel senso etimologico del termine, esemplare: ricordando e onorando le vittime di quell'immane massacro noi rendiamo omaggio a tutti gli innocenti del mondo e della storia impegnandoci a far sì che i diritti dell'uomo e la dignità della condizione umana divengano sempre più qualcosa di diverso da pure espressioni retoriche (quali per troppi versi sono rimaste anche dopo il '45). Perché non ci siano più sulla terra non solo né Lager né Gulag, bensì nemmeno pellerossa, o tasmaniani, o africani, massacrati per qualunque ragione e nel silenzio-assenso dell'opinione pubblica del loro tempo e di quelli successivi. Cambiano i tempi, cambiano anche le condizioni dei genocidi.
Ma i bambini africani che oggi muoiono di fame perché vittime indirette d'un barbaro sistema di produzione, di sfruttamento e d'iniqua distribuzione delle ricchezze e delle risorse del mondo sono vittime d'un genocidio del quale noi, col nostro quotidiano silenzio-assenso, siamo ben più colpevoli di quanto non fossero della Shoah i tedeschi sotto il regime hitleriano, che nella loro stragrande maggioranza non potevano né sapere né sospettare e che erano soggetti essi stessi a un duro regime di disinformazione e di polizia.
Noi sappiamo, noi siamo o riteniamo d'essere liberi: non abbiamo scuse.

Per lo stesso motivo, bisogna procedere non solo a una purificazione, ma anche a un'attenta ricostruzione della nostra memoria. Ad esempio, appunto, recuperando certe cognizioni storiche per vari motivi cancellate o addirittura mai possedute: e, anche in questi casi, l'ignoranza non era per nulla innocente.

Si ricorda in questi giorni il novantesimo anniversario dell'inizio del genocidio armeno da parte dei turchi. In passato, c'è stato chi preferiva ignorarlo: anche perché la repubblica turca era una dei più fedeli alleati asiatici e musulmani dell'Occidente nella «Guerra Fredda», ed è rimasta anche dopo un pilastro fondamentale della politica atlantista e di quella degli Stati Uniti. Sappiamo che ancor oggi i turchi hanno difficoltà a riconoscere le loro passate responsabilità, per quanto molto sia cambiato anche dopo il convegno tenuto a Istanbul proprio su questo tema qualche settimana fa: del resto, l'ammissione delle responsabilità nei confronti delle etnìe armena e curda è uno dei prezzi che noi chiediamo alla società turca per esser ammessa nella Comunità Europea.

In realtà, il genocidio armeno era iniziato parecchio prima: nei primissimi anni del XX secolo, Giosuè Carducci gli dedicava una poesia dai toni molto duri. Quindi certe cose si sapevano.

Ma il sistematico massacro degli armeni, portato avanti soprattutto negli anni 1916-17 e del resto proseguito anche in seguito, non era affatto figlio - e questo va capito bene oggi, perché molti amano ormai parlarne in quanto pensano così di recar un contributo all'approfondirsi dei pregiudizi contro l'Islam - del fanatismo religioso, come non lo era della tirannia politica. Il potere assoluto dei sultani ottomani non aveva mai incoraggiato i massacri indiscriminati per motivi etnici o religiosi; l'islam turco tradizionale aveva sempre considerato gli armeni un millet (comunità soggetta) fatto di jimmi (sudditi tutelati) che, appartenendo a una «religione del Libro» come il cristianesimo, avevano diritto a mantenere la loro fede e le loro tradizioni a patto di pagare certe tasse e di esser fedeli al governo di Istanbul. Gli armeni erano una delle colonne portanti dell'economia e del commercio dell'impero della Mezzaluna. Ma la modernizzazione della Turchia procedette di pari passo con la nascita di un nazionalismo turco, il quale si modellò ovviamente su quelli europei: furono i giovani ufficiali dell'esercito e i giovani intellettuali raggruppati nel movimento detto appunto dei «Giovani Turchi» che, tanto occidentalizzanti quanto tendenzialmente «laicisti» (fra loro avevano grande fortuna le Logge massoniche), tanto progressisti quanto sovente atei, non ebbero tuttavia scrupolo alcuno nell'usare strumentalmente l'Islam come elemento identitario: gli armeni erano pertanto «nemici interni» dell'impero in quanto etnicamente stranieri (indoeuropei, diversi dunque dai turchi che sono uraloaltaici) e religiosamente estranei, secondo quella sintesi tra nazione e Islam ch'è profondamente antimusulmana (nella fede coranica le differenze etniche sono del tutto irrilevanti) ma che servì ottimamente alla demagogia nazionalista. E fu una «pulizia etnica» dura e feroce, che d'altronde sottrasse ai turchi energie militari e procurò loro inimicizie interne ed esterne: che, in ultima analisi, contribuì alla loro stessa sconfitta militare del 1918 e che li disonorò di fronte alla comunità internazionale.

Per troppi anni quest'infamia è stata coperta per compiacere a quelle forze che non avevano, per motivi politici, interesse a ricordarla. Oggi, può darsi che al contrario essa venga riesumata e sottolineata non perché il farlo è obiettivamente un nostro dovere di uomini liberi e di esseri umani, ma perché si suppone possa servire a qualcuno, e ancora una volta al fine di qualche speculazione politica. Il rispetto dovuto a quelle vittime innocenti ci obbliga a impedirne una strumentalizzazione postuma.

C'è un modo per onorare gli armeni caduti a centinaia di migliaia durante il genocidio di novant'anni fa. Esso non consiste affatto nella stolida e falsa denunzia dell'«Islam che ha sempre massacrato i cristiani», ma nell'identificazione di chi oggi è «armeno», cioè minacciato di genocidio; per impedire che quell'orrore si ripeta altrove, ancora oggi, per motivi diversi dal fanatismo religioso-nazionale, sotto altre forme.
Abbiamo già constatato - penso alla «pulizia etnica» nei Balcani - di non essere ancora guariti da quei vecchi mali. Sperimentiamo ancor oggi un iniquo sistema d'informazione - ad esempio quello relativo all'Iraq e all'Afghanistan – nel quale si dà evidenza solo ai morti occidentali trattando quelli irakeni o afghani come fossero puri numeri, indegni magari perfino di esser contati (difatti non ne sappiamo la quantità, a fronte per esempio dei duemila soldati americani caduti in Iraq). Ma esistono altre forme di genocidio, legate ai meccanismi della globalizzazione e al perpetuarsi di una distribuzione delle risorse mondiali che rappresenta ancor oggi, soprattutto oggi, una negazione di Dio eretta a sistema socioeconomico. Fermiamo gli assassini dalle mani spesso in apparenza pulite che perpetuano i genocidi del XXI secolo. Smettiamo di esser loro complici, di far loro da spalla fingendo di non sapere e di non capire.

Da sapere Il primo sterminio di un popolo nel xx secolo Al popolo armeno spetta il triste primato del primo genocidio del XX secolo.
Con il termine «genocidio», coniato da un giurista americano nel 1944 e successivamente fatto proprio dalla Convenzione dei diritti dell'uomo delle Nazioni Unite, si definisce l'intenzione di distruggere una parte o tutto un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso attraverso uno o più atti criminali. Una definizione, questa, che mette in risalto non tanto la volontà omicida in sé, quanto quella di eliminare una cultura «diversa».
Così è stato per gli ebrei e ancor prima per gli armeni.

Gente cristiana che guardava all'occidente Il genocidio degli armeni si compie nel quadro del primo conflitto mondiale nell'aerea dell'ex impero ottomano ad opera del governo dei Giovani Turchi al potere dal 1908. La pianificazione avviene novant'anni fa con l'aiuto di consiglieri tedeschi, alleati della Turchia durante la prima guerra.
L'obiettivo era quello di risolvere alla radice la questione degli armeni, popolazione cristiana che guardava all'occidente assorbendo ideali di Stato contrari a quelli nazionalisti, basati sulla omogeneità etnica e religiosa, che ispiravano l'azione di governo dei Giovani Turchi.

Un milione e mezzo di morti: i due terzi della popolazione Nella memoria del popolo armeno, ma anche nella stima degli storici, morirono i due terzi degli armeni dell'Impero Ottomano, circa un milione e mezzo di persone, mentre molti bambini furono islamizzati e le donne inviate negli harem nel tentativo di cancellare la comunità armena come soggetto storico, culturale e soprattutto politico. Ma così non è stato: gli armeni, con la loro grande cultura, sono sopravvissuti.

La più antica chiesa cristiana nazionale del mondo La Chiesa Apostolica Armena è la più antica Chiesa cristiana nazionale del mondo: il già millenario regno d'Armenia si è convertito al cristianesimo attorno all'anno 300. L'influsso del cristianesimo ha fornito al popolo armeno un alfabeto proprio, favorendone l'emancipazione culturale dal mondo greco e persiano e ponendo le origini di una cultura dai tratti singolari e dalla radicata fedeltà cristiana.

La Lettera apostolica di Giovanni Paolo II per i 1700 anni dal battesimo In occasione del 1700° anniversario del Battesimo del popolo armeno, Giovanni Paolo II, nel febbraio 2001, indirizzò ai cristiani armeni una Lettera apostolica nella quale, tra l'altro si leggeva: «Diciassette secoli or sono, carissimi Fratelli e Sorelle del popolo armeno, questa comune conversione a Cristo si compì per voi. Si trattò di un evento che segnò profondamente la vostra identità; non soltanto l'identità personale, ma anche quella comunitaria, sicché a ragione si può parlare di Battesimo della vostra Nazione, anche se in realtà la penetrazione del cristianesimo era iniziata già da tempo nella vostra Terra. La tradizione ne attribuisce gli esordi alla predicazione ed all'opera degli stessi santi apostoli Taddeo e Bartolomeo».

Edizione del 09/11/2005
Dal n. 41 del 13 novembre 2005

V.V

 
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