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051001- Gianfranco Fini , i segnali più incoraggianti non vengono dal centro bensì dalla periferia.
di Gianfranco Fini

Per un'Europa che negli ultimi mesi appare in preda ad un preoccupante deficit di immaginazione, idee, iniziative e consensi, i segnali più incoraggianti non vengono dal centro bensì dalla periferia. Vengono dalla Turchia, dai suoi ragguardevoli passi avanti compiuti negli ultimi anni in campo politico, economico e sociale, illustrati in dettaglio dall'editoriale di Gianni Riotta sul Corriere della Sera di lunedì scorso, 26 settembre.

Essi costituiscono la risposta più convincente a quanti sembrano avere smesso di credere nella capacità straordinaria, di cui il progetto europeo ha dato prova sinora, di catalizzare innovazioni altrimenti impensabili nei Paesi che vi appartengono o anche solo aspirano ad esserne parte.

Dopo anni di estenuante attesa, i negoziati per l'ingresso della Turchia in Europa si avvicinano ad un passaggio cruciale. Il Consiglio dei Ministri degli Esteri Ue del prossimo 3 ottobre dovrà pronunciarsi sull'avvio formale dei negoziati di adesione. Il governo italiano si accosta a questa decisiva riunione nella consapevolezza che Ankara ha pienamente soddisfatto le condizioni poste dal Consiglio Europeo dello scorso dicembre.

La nostra favorevole valutazione non è mossa solo dall'amicizia che ci lega alla Turchia. Essa poggia innanzitutto sui fatti. Il Consiglio Europeo aveva chiesto che Ankara approntasse garanzie specifiche in tema di libertà fondamentali e rispetto integrale dei diritti umani: sono state introdotte riforme di grande portata, tra cui i nuovi codici penale e militare, e l'abrogazione della pena di morte. I Capi di Stato e di Governo avevano inoltre esortato la Turchia ad adattare il suo accordo di associazione con l'Ue per tener conto dell'adesione dei dieci nuovi Stati membri: il 29 luglio scorso, la Turchia ha siglato il relativo Protocollo aggiuntivo.

Spetta adesso all'Europa dimostrare di saper tenere fede alla propria parola. Il governo turco è ben consapevole degli ostacoli che ne rendono ancora lungo e difficoltoso il percorso, sia sul piano interno (dalla condizione delle minoranze al consolidamento di una prassi di effettivo rispetto dei diritti civili) sia su quello internazionale (su tutte il riconoscimento di Cipro). Non sono ostacoli di poco conto; ma la Turchia può superarli se saprà affrontarli con la perseveranza di cui ha dato prova ripetutamente nel recente passato e se saprà cogliere al meglio le opportunità che la prospettiva europea offre in termini di maturazione delle dinamiche politico-istituzionali e socio-economiche.

L'adesione all'Unione Europea della Turchia concluderebbe un percorso di avvicinamento ancora lungo e graduale. Essa, in ogni caso, non recherebbe beneficio alla sola Turchia. Se ne avvantaggerebbe in primo luogo quella stessa Europa la cui idea è nata, avvolta nelle forme della leggenda, proprio sulle sponde dell'Egeo. La casa comune europea difficilmente potrebbe dirsi completa se al suo interno non trovasse espressione più compiuta la sua indispensabile dimensione mediterranea, di cui la Turchia è parte essenziale. La crescita economica dell'Europa ricaverebbe slancio prezioso dall'integrazione con un'economia che si sviluppa a ritmi impetuosi. Non potrebbe poi che accrescere fortemente il ruolo politico dell'Unione Europea, specie nei suoi rapporti con il mondo islamico, la sua apertura ad un Paese della Nato come la Turchia, modello di una modernizzazione senza forzature né imposizioni dall'alto, dimostrazione esemplare della piena compatibilità tra Islam, laicità e modernità, tra Islam e democrazia, tra Islam e gli equilibri complessi di una società avanzata. Al contrario, chiudere oggi alla Turchia le porte dell'Europa rischierebbe di spingere questo Paese nell'abbraccio interessato dei fondamentalisti e di quanti operano in direzione dell'avveramento della profezia sullo scontro di civiltà.

Densa di opportunità, per l'Europa l'entrata della Turchia si accompagnerebbe certo anche ad oneri. L'ingresso di un Paese del suo ragguardevole peso demografico ed economico renderebbe indispensabili accorgimenti transitori per attutire l'impatto della manodopera turca sul mercato del lavoro europeo; renderebbe ancora più ineludibile l'esigenza di rivedere a fondo i meccanismi di decisione, funzionamento e distribuzione delle risorse dell'Ue. Ragione di più per trovare al più presto una via d'uscita dall'attuale impasse politica e finanziaria.

La candidatura della Turchia costituisce quindi un'opportunità di forte rilancio per l'intero progetto europeo. Di sicuro, essa è una sfida ma proprio per questo non può e non deve trasformarsi in ulteriore alibi per i nostri egoismi e incertezze.
Corriere della Sera 29 settembre 2005

V.V

 
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