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050924 - ARRESTATO LO SCRITTORE ORHAN PAMUK PER UNA INTERVISTA
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Lo scrittore turco Orhan Pamuk, celebre per il romanzo «Neve» tradotto da Einaudi, rischia fino a tre anni di galera per una intervista. La persecuzione contro Pamuk, interdetto dal pubblico ministero a rilasciare ogni dichiarazione o protestare in pubblico mentre i suoi libri vengono bruciati in piazza, è una vergogna. Una vergogna che il governo del premier Tayyip Erdogan non riesce più a nascondere, giusto alla vigilia del nuovo incontro per l'ammissione della Turchia nell'Unione Europea, il 3 ottobre.
Il caso Turchia si riapre davanti alle nostre coscienze: è possibile ammettere in Europa una nazione che medita se sbattere in cella per tre anni il suo più amato narratore? Tutto comincia quando Pamuk, parlando con il quotidiano svizzero Tages Anzeiger, riconosce che «trentamila curdi e un milione di armeni sono stati uccisi dalle nostre parti e quasi nessuno osa parlarne: dunque ci provo io». Le vendette contro la minoranza curda e il tentativo di genocidio perpetrato dai turchi contro gli armeni a ridosso della prima guerra mondiale, sono argomenti tabù e violare la censura costa carissimo: a norma dell'articolo 301/1 del codice penale «chi insulta i turchi, la Repubblica, l'Assemblea o l'identità nazionale» va in cella per 36 mesi. Il maggiore quotidiano, Hurriyet , va per le spicce «Pamuk è un essere abietto».
Il processo a Orhan Pamuk è rimasto sotto traccia finché la sua traduttrice Maureen Freely, raggiungendo uno per uno via e mail gli scrittori europei, non ha rotto il silenzio. Il ministro della giustizia Cemil Cicek è del resto riuscito a far rinviare sine die la conferenza che un gruppo di docenti universitari voleva tenere all'ateneo Bogazici di Instanbul sull'eccidio degli armeni senza troppo rumore. Ora l'omertà politica si rompe e vedremo se stavolta l'Italia, così a lungo farisaica ai tempi della fatwa , la maledizione iraniana contro lo scrittore Salman Rushdie, si darà da fare, con il governo e la comunità di intellettuali ed artisti. Pamuk, che da noi ha vinto il premio Grinzane Cavour, si sforza con «Neve» di far da ponte tra Occidente e Turchia ricordando come le rispettive identità possano cozzare e come l'egoismo europeo e il fondamentalismo orientale alimentino insieme la velenosa pozione di violenza e terrorismo. Quando Ka, anziano esule politico torna in patria, nel villaggio di Kars, trova una nazione stretta tra la laica identità cara ai militari e il fondamentalismo islamico che ribolle, con i vicini europei più intenti a fare test astratti di democrazia che non a nutrirla davvero. Dove le donne che devono indossare il velo, si suicidano a catena, ma Ka non sa comprendere se per l'obbligo di coprirsi imposto dai maschi religiosi o per l'obbligo di non coprirsi, diktat dei maschi laici.
Dopo l'11 settembre 2001, riflettendo sulla New York Review of Books , Orhan Pamuk scriveva «Nulla può alimentare il sostegno agli "islamici" che gettano acido nitrico sulle facce delle donne quanto il fallimento dell'Occidente nel comprendere i dannati della terra». Oggi la profezia si capovolge e lo investe: nulla può tenere fuori la Turchia dall'Europa, dando ragione ai suoi nemici, quanto la censura contro un libero pensatore, che aliena anche chi è favorevole ai turchi nella Ue. Un harakiri diplomatico e culturale che Erdogan forse non è più in tempo a riparare, mentre cresce la diffidenza europea verso i suoi connazionali.
La morale del caso Orhan Pamuk è candida come la neve del suo affascinante romanzo. Se la Turchia tiene all'identità violenta e non è disposta a discutere apertamente del passato, se la censura e l'arresto sono il modo per dibattere le nuove idee, allora non c'è posto nell'Unione. Il multiculturalismo è una pianta feconda, che fa scrivere romanzi come «Neve» e li fa amare in ogni parte del mondo. Ma il multiculturalismo deve affondare le radici in una cultura democratica condivisa, in valori dove il confronto delle identità sia la chiave, non la repressione e il bavaglio. E' doloroso quanto si fatichi a parlare di Orhan Pamuk, è doloroso che la Turchia provi a dar ragione ai suoi peggiori nemici ma è chiara la strada maestra nella lotta per la tolleranza che andiamo combattendo: multiculturalismo sì, ma nutrito di tolleranza e rispetto per le regole democratiche.Altrimenti la zizzania dell'intolleranza brucia il dissenso.
griotta@corriere.it


V.V

 
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