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29- Marzo - 2020: Integrazione e immigrazione - UPTER . Dialogo Civile e lezioni nelle Scuole -
2014 - Upter e DIALOGO CIVILE

IMMIGRAZIONE ED INTEGRAZIONE
L’ineluttabilità del fenomeno dell’immigrazione è ormai riconosciuta universalmente. Anche in Italia, che era un Paese di emigrazione, oggi non c’è più nessuno che nutra dubbi sulla necessità di importare manodopera. La stessa, tanto discussa, normativa introdotta nelle ultime legislature, soprattutto quella del 2002 (ultima sanatoria), nonostante tanti limiti, prende atto dei fabbisogni espressi dal sistema economico.

Quindi si é generalmente consapevoli che l'arrivo degli immigrati é un processo strutturale e ineludibile, in cui l'iniziativa delle persone in cerca di una vita migliore incontra la domanda del sistema economico. Il problema é quello di decidere se si preferisce tentare disperatamente di arginare il fenomeno, spingendolo verso la clandestinità e rifiutando di prepararsi adeguatamente a governarlo, oppure gestirlo ed incanalarlo in maniera intelligente e il più possibile equa e pacifica, non solo per i benefici contingenti dei "diretti interessati", cioè i datori di lavoro, gli immigrati e le finanze statali, ma per la convivenza e la coesione dell'intera società. Ne consegue l'importanza cruciale e strategica delle politiche di integrazione.

E da quest’ultima considerazione si evince l’importanza del significato e della definizione che s’intende dare all'espressione “Integrazione”.


Il concetto di integrazione é talmente soggetto ad interpretazioni ed usi molto differenti, che prima di esporre qualsiasi orientamento, è necessario un chiarimento.

Considerare il fenomeno “Immigrazione” solo come una questione di braccia e pancia, quindi puntare esclusivamente alla formazione lavoro fa risparmiare certamente dei costi aggiuntivi, ma le future tensioni sociali ed etniche, il dilagare dei fenomeni di devianza sociale e la crescita di tendenze di xenofobia e razzismo, non implicherebbero enormi costi per la società?

La riuscita dei progetti di integrazione e la qualità della nostra futura convivenza dipendono da modelli di integrazione che concepiamo, da come e quanto siamo oggi disposti ad investire in tale direzione, da ruolo “da protagonista” che riconosciamo all'immigrato, e, in fine, da mezzi istituzionali che mettiamo a loro disposizione. Il primo approccio vede “l’immigrazione” come un fenomeno temporaneo, di lavoratori "ospiti" che vengono chiamati in quanto necessari per rispondere a certe esigenze del mercato del lavoro, ma che non devono mettere radici, quindi iente inclusione sociale e zero investimenti per l’integrazione.
Il secondo approccio, che rappresenta l’opinione diffusa e largamente riecheggiata dal dibattito massmediatico, ritiene che l’integrazione sia un dovere degli immigrati; spetterebbe a loro dimostrare di essere integrati o disponibili ad accettare consuetudini e modelli di vita della società ricevente oltre ché accontentarsi docilmente delle posizioni subalterne loro riservate nel sistema economico.


L'idea sottostante a questa visione é quella di una società omogenea e compatta attorno a un suo proprio modello di civiltà al quale i nuovi arrivati, definiti “diversi”, devono sottomettersi (in maniera preventiva) senza discussione, se intendono essere ammessi e tollerati.
Il terzo approccio é quello multiculturale, in cui, dando per scontata l’ irriducibilità delle culture, convivono e si tollerano etnie, tradizioni e culture diverse senza toccarsi e senza
interazioni significative tra loro.Quest’ultimo approccio affonda le sue radici nel modello flessibile e pluralistico della democrazia anglosassone e trova la sua attuazione più avanzata negli Stati Uniti. In questo modello, ponendo enfasi sul mantenimento della lingua e della cultura del Paese d’origine e favorendolo con programmi educativi specifici, viene condizionato il futuro delle nuove generazioni, stabilendo la permanenza nelle enclave etniche, disincentivando ogni sforzo diretto verso promozioni sociali e l’inserimento nel mercato del lavoro più aperto. Così, si finisce, poi, coll'inchiodare gli individui all'interno di una certa appartenenza etnico-culturale indipendentemente dalla loro volontà e dal loro sentimento soggettivo di adesione, rischiando di produrre forme di isolamento e ghettizzazione delle minoranze, anziché favorire l’inclusione e la comunicazione reciproca. Sulla base di alcune riflessioni maturate in seguito alle esperienze vissute in oltre quaranta anni in Italia, contrapponiamo un approccio diverso dai modelli fin qui descritti.

La visione degli immigrati come portatori di culture coerenti, irriducibili e aliene è statica e fuorviante. Le culture sono fenomeni dinamici e complessi, in continua evoluzione, anche attraverso i contatti, i confronti e gli scambi con altri universi culturali. Non esistono muri invalicabili tra esse ed i confini sono mobili ed in perenne ridefinizione. Le forme di ibridazione, soprattutto in contesti di immigrazione, sono incessanti e inevitabili. Gli individui con le sfumature e la discrezionalità dei loro atteggiamenti, non sono riconducibili interamente e collettivamente a presunte culture di appartenenza.

L'immigrato é anche un “viaggiatore culturale” che cambia spesso senza saperlo e a volte senza accorgersene.

L'integrazione va concepita innanzitutto come un lungo e continuo processo di inserimento sociale e di apprendimento culturale e non come un dato acquisito e preventivo alla partenza.
Essa non é un abbraccio acritico della cultura occidentale (o meglio di una sua versione), anche perché ciò non aiuta affatto gli immigrati nel loro graduale insediamento nella nuova società, né tanto meno al mantenimento di forme di appartenenza culturale alla società di origine.

L’integrazione dovrebbe, tra l’altro, valorizzare quella grande risorsa, non solo economica, ma anche sociale ed umana, costituita dal fenomeno dell’immigrazione.

L'integrazione non subalterna non mira a tagliare i ponti con la società di origine né ad abbandonare i legami comunitari nei quali l’immigrato trova un mutuo sostegno spesso indispensabile, ma gli offre una possibilità di rielaborazione della sua esperienza e di proseguimento di un equilibrio tra la sua appartenenza e le sollecitazioni culturali ricevute.

Gli orientamenti devono mirare alla formazione dell’immigrato per l’integrazione nella vita sociale e per la promozione di una cittadinanza attiva e responsabile ai fini della costruzione di una convivenza proficua e di arricchimento reciproco.
Conoscere l’identità del paese ricevente, la moltitudine di elementi che lo compongono, la storia, la geografia, l’arte e l’architettura, la religione, la costituzione, il sistema di diritti e doveri, le istituzioni nazionali e territoriali (gruppi associativi, partiti, sindacati, comune, provincia, regione, stato, organismi di cooperazione internazionale, con particolare riguardo alla comunità europea) agevola il percorso di inclusione e la capacità degli individui di interagire con la società.Chi emigra è una persona che ha spesso già maturato atteggiamenti di distacco critico e di scarsa identificazione con il luogo in cui é nato e cresciuto.
Studenti e ricercatori borsisti, dissidenti e rifugiati politici risentono maggiormente dell’allontanamento dalla propria cultura e tendono, se dovutamente sostenuti, a rielaborare le culture e conoscenze d'origine che vengono in contatto e confronto con le nuove acquisizioni.
Una sorta di dialogo costruttivo tra più culture che concorre a promuovere la formazione dei nuovi cittadini, lo sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione a tutti livelli della vita civica.Se l’immigrato, soprattutto lo studente e il rifugiato è il soggetto strategico di sviluppo, di apertura di orizzonti e di convivenza pacifica, le associazioni degli immigrati ne costituiscono lo strumento più idoneo di partecipazione e di interazione.Negli ultimi anni, sono emerse molte associazioni “per gli stranieri”, la cui fioritura è stata di indubbia utilità alla gestione dell’emergenza e sostegno materiale degli immigrati bisognosi. Parallelamente, molte associazioni “degli stranieri” sono state disciolte, dopo lunga agonia, per mancanza di mezzi, con indubbio impoverimento civico dell’immigrazione e non solo.
Per gestire l’emergenza senza perdere di vista il fenomeno strutturale dell’immigrazione è necessario favorire, con strumenti istituzionali, la creazione e la crescita di associazioni degli stranieri anziché per gli stranieri.

Più associazioni degli stranieri nasceranno e più grande sarà il laboratorio interculturale ed interetnico che ne scaturirà. N.B il riferimento di 40 anni di esperienze vissute dalle associazioni è per la esperienza della confederazione studentesca iraniana, dal 1963- 1972, quella di CUDI (comitato unitario per la democrazia inIran, dal 1970- 1981, Lega internazionale iraniana per la difesa dei diritti civili e democratici, dal 1981, PRESIDIO, del 1984-1985, che si trasformò in FOCSI9 Federazione delle Associazioni e delle Comunità Straniere in Italia, dal 1985 -1992,dell’ARPI – associazione dei rifugiati politici in Italia , dal 1988, quella del FORUM delle Comunità Straniere in Italia, dal 1989, soprattutto quella Casa della Cultura iIraniana di Firenze e Venezia,
Roma il 18- 11- 2004
Arch. Vahed Massihi Vartanian

Vartanian2000@gmail.com

3477539508

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Relazione per il corso di “DIALOGO CIVILE E QUALITA’ INTERCULTURALE DEI SERVIZI”

PROGRAMMA per OPERATORII seminario: La condizione di straniero

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2004 relazione VARTANIAN

 
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