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30 Giug.2015:Origine e sviluppo dell’architettura Armena: Un contributo alla sua conoscenza a cura dell’Arch. Vahè Massihi Vartanian
Origine e sviluppo dell’architettura Armena: Un contributo alla sua conoscenza a cura dell’Arch. Vahè Massihi Vartanian
CENNI SULL’ARCHITETTURA ARMENA aprile 2015
Per rendere omaggio ai primi pionieri degli studi e pubblicazioni relativi all’architettura armena in Iran, Armenia e altri paesi confinanti, con la formazione di un catalogo grafico e fotografico per documentare i monumenti esistenti , voglio qui ricordare ( limitatamente alle persone che ho avuto la fortuna di incontrare sin da quando ero un giovane iraniano giunto a studiare in Italia) l’arch. Herman Vahramian, mio compagno di corso e anche di abitazione.
Grazie a lui conobbi il prof. Paolo Cuneo e l’ing. Armen Manoukian, i quali organizzarono in Roma nel giugno 1968 a palazzo una prima ed insuperata mostra di Studi sull’Architettura Medioevale Armena, realizzata a cura dell’Università “La Sapienza” di Roma e con la sponsorizzazione della Fondazione Caluste Gulbenghian.
A seguito e contestualmente a questa iniziativa, ebbe inizio il lavoro di ricerca, studi e pubblicazioni sull’Architettura Armena promosso dal Politecnico di Milano e coordinato, tra gli altri, dal Professor Alpago Novello insieme al Ing. Manoukian. In questo gruppo milanese fu cooptato l’allora brillante studente Architetto Herman Vahramian per le sue capacità e conoscenze dei territori e delle lingue armene ed iraniane.
Va ricordato, per sottolineare ulteriormente la stima e l’affetto di cui era circondato in Roma, che la partenza dell’arch. Vahramian, pur essendo tutti felici per l’importante riconoscimento ottenuto dall’amico e collega, rattristò, per la sua conseguente assenza, non poco tutta la comunità studentesca iraniana in Roma.
La sua collaborazione nel gruppo di studio Milanese ebbe, nel corso del tempo, il risultato consistente in pubblicazioni, documentate con accurati disegni, rilievi e pregevole documentazione fotografica di tutti i monumenti armeni in Iran e nazioni limitrofe.
Va citata, in questo contesto, la partecipazione e collaborazione di numerosi professori dell’Università “La Sapienza” di Roma, in particolare quella del Prof. Tommaso Breccia Fratadocchi e dell’Accademia delle Scienze dell’allora Repubblica Sovietica Armena .
La mostra era corredata da un’imponente documentazione grafica e fotografica, che fu pubblicata, successivamente, in due volumi, i cui contenuti documentali e scientifici sono tuttora insuperati.
Inoltre, dopo il successo della mostra romana, i fratelli Manoukian concepiscono l’importante iniziativa culturale di fondare, nel 1985, la casa editrice OEMME Edizioni, fondata in onore e memoria del loro Padre il padre Onnik Manoukan.
Le pubblicazioni – in tre e talvolta quattro lingue (italiano, inglese, armeno e farsi) – sono state diffuse in tutto il mondo attraverso istituti culturali, librerie specializzate, chiese e associazioni armene, essendo nel frattempo le università di Tehran e di Yerevan, divenute partner scientifiche e culturali del Politecnico di Milano.
I volumi pubblicati nelle collane OEMME edizioni , la cui lontana e meritevole iniziativa culturale si è sviluppata, con la costituzione del CSDCA centro studi e archivio armeni – con sede in Venezia.
oggi sono praticamente introvabili.
Questi volumi meriterebbero di essere rieditati, con necessari aggiornamenti che così darebbero conto dei successivi lavori di restauro, effettuati purtroppo in modo sporadico e non documentati.
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Detti lavori sono stati promossi dall’Università di Tehran grazie all’arch. prof. Hushang Seyhoon e con l’impegno dell’arch. prof. Armen Hakhnazarian. Il rapporto con l’Università di Tehran e gli omologhi istituti culturali italiani iniziarono nel lontano 1973 e si protrassero con gran successo scientifico e culturale fino al 1983.
Oggi questi collegamenti perdurano, ma di fatto non sono operativi, rimanendo perciò potenziali ma sostanzialmente dormienti. Va osservato che tuttavia, quando l’Armenia faceva parte del blocco sovietico, erano del tutto inesistenti.
Per riprendere i rapporti accademici con l’Iran, le iniziative congiunte dell’Associazione italo-armena Zatik e del CSDCA, Centro Studi e Documentazione della Cultura Armena di Venezia, hanno dato vita – in collaborazione con l’Ambasciata Iraniana di Roma – a un convegno a Venezia tenutosi l’11 aprile 2011.
L’ambasciatore iraniano dott. Seyyed Mohammad Hosseini, insieme a una qualificata delegazione composta dall’incaricato culturale presso la Santa Sede Mohammad Mirzaghayi, da giornalisti della tv iraniana e dall’arch. Vahè Vartanian, cittadino iraniano e membro dell’Associazione Zatik, hanno partecipato alla suddetta riunione veneziana, formulando numerose e significative proposte.
In questo contesto è stato fondamentale la partecipazione
dell’arch. Sherly Avedian, responsabile dei siti architettonici e archeologici armeni in Iran, che in quell’occasione relazionò al convegno sullo stato attuale del patrimonio armeno in Iran . L’architetto Avedian cosi ha avuto occasione di conoscere l’archivio storico del CSDA che documenta cinquant’anni anni di studi e ricerche sull’architettura armena, fatti in Italia con l’impegno degli ambienti scientifici ed universitari Romani e Milanesi
Da parte sua, l’ambasciatore ricordò nel convegno il grande contributo e il sacrificio – durante la guerra “imposta” dall’ Iraq contro l’Iran – delle minoranze assire e armene, presenti da secoli in terra iraniana, testimoniato dalla presenza di centinaia di monumenti religiosi, sparsi su tutto il territorio nazionale. Anche per questo è logico e naturale l’impegno della Repubblica Islamica inteso a salvaguardare e a conservare il patrimonio cristiano degli armeni iraniani.
In occasione del convegno, a suggellare gli impegni programmati, la delegazione iraniana ha fatto visita per la prima volta al Museo dell’isola di San Lazzaro degli Armeni a Venezia-
L’incontro veneziano dell’11 aprile 2011, che ha visto la presenza dei rappresentanti di Ca’ Foscari, dello IUAV (Istituto Universitario di Architettura di Venezia) e di altre autorità, ha dato luogo alla ripresa dei rapporti italo-iraniani, seguiti da un viaggio in Iran organizzato dal CSCDA con la partecipazione di accademici e tecnici professionisti, allo scopo di visitare i monasteri di San Taddeo, di Santo Stefano e di Zor-Zor, tutelati dall’Unesco e collocati ad est e ad ovest dell’Azerbaijan iraniano.
L’ambasciata iraniana, dopo il convegno veneziano, ha regalato trecento preziosi volumi al centro ricerche armene CSDCA di Venezia.
La missione italo-armena ha partecipato, durante il viaggio, anche a una riunione organizzata presso il monastero di San Taddeo dall’arch. Sherly Avedian , con la partecipazione dei tecnici della Repubblica d’Armenia, del rappresentante iraniano dell’Unesco, della delegazione italo-armena e di altre personalità comunali e regionali dell’Azerbaijian iraniano.
In quell’occasione fu messa all’ordine del giorno la definizione di iniziative atte a tutelare efficacemente il patrimonio monumentale in stato di degrado.
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Fu ribadito tuttavia che ogni lavoro doveva essere preceduto da seri studi e progetti di restauro e non oggetto di estemporanei, casuali interventi di manutenzione muraria, eseguita da personale non qualificato, non protetto da norme di sicurezza sul lavoro, senza riscontro documentale dei materiali e degli strumenti utilizzati.
Fu anche riaffermata la necessità della formazione di registri, ove prendere nota, comunque, di ogni intervento avvenuto nel corso degli anni, quale memoria a disposizione delle Università, degli studiosi e dei restauratori che in futuri interventi avrebbero così potuto essere, in tal modo , informati della storia e della vita del monumento oggetto di conservazione .
Recentemente a Roma si è tenuto un convegno che qui di seguito mi accingo a ricordare, non più come giovane studente, ma nella veste di maturo professionista architetto-restauratore che tenta, alla luce di numerose esperienze nel campo dell’architettura storica armena, di delineare le peculiarità di questa e della sua unicità, che la differenziano da tutte le altre. L’architettura armena ha preceduto, per tempo, numerose esperienze spaziali, tipologiche e costruttive che, magari in seguito, sono state fatte proprie da altre culture architettoniche.
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Integrazione , a seguito del convegno romano del 16 maggio 2013 avvenuto, presso la biblioteca Alessandrina dell’Università “ La Sapienza” .
Brevi cenni a Cura dell’Arch Vahè Vartanian sulle particolarità e specificità di alcuni aspetti dell’architettura Armena .
Cenni sull’Architettura Armena dell’Arch. Vahè Massihi Vartanian
Roma -il 23 Giugno 2013
A distanza di 47 anni , è rara , se non unica occasione, partecipare ad uno stimolante convegno promosso dalla Comunità Armena di Roma e del Lazio nella prestigiosa sede della Biblioteca Alessandrina presso l’Università degli studi di Roma “ La Sapienza “.
L’incontro del 16 maggio introdotto da Maria Cristina Martino, direttrice della biblioteca, ha visto protagoniste Maria Adelaide Lala Comneno e Simonetta Ciranna. In questo ambito è stata presentata la mostra “ Edizioni Armene, libri a stampa nei secoli XVII e XVIII” .
Il convegno ha ricordato tutte le fasi ed i significati dell’architettura armena nella sua originalità ed unicità di forme, simboli e significati religiosi.
Con valide e documentate argomentazioni storiche e teologiche è stato affermato che l’architettura armena è unica come uniche sono le ragioni della sua cristianità ed originali le liturgie della sua chiesa.
Pertanto nulla è più erroneo della convinzione diffusa che l’architettura bizantina abbia qualcosa in comune con quella armena.
Essere armeno ed essere cristiano gregoriano è un tutt’uno imprescindibile storicamente ed antropologicamente da riferire al passaggio dalla religione zoroastriana a quella cristiana.
Ciò premesso, e, su questa base, vi è poi il profondo significato teologico della fede cristiana accettata dal popolo armeno attraverso la primitiva testimonianza e predicazione apostolica di S. Giuda Taddeo, cugino e discepolo di Gesù Cristo.
I Luoghi della predicazione vennero presto meta di pellegrinaggi.
La costruzione del monastero di S. Taddeo è sul luogo del martirio e sopra la tomba dell’apostolo . Accanto, e non molto distanti, vi sono altri santuari.
Il più importante è quella di Sandukht , figlia del Re Abkar d’Armenia prima suora martire, condividente per la fede il destino di S. Taddeo.
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Questi complessi monastici in Azerbaijan Iraniano, nel 2008 dall’Unesco sono stati riconosciuti, insieme a quelli di S. Stefano e di Zor-Zor , patrimonio dell’Umanità.
Va osservato, nel rispetto della verità storica che ufficialmente , sin dal 301 D.C., per la predicazione di S. Gregorio Illuminatore, il popolo armeno, per volontà propria e del re Tirdate III, accetta con il battesimo della nazione la fede cristiana.
Per inciso il re Tirdate III, divenuto cristiano, con la sua testimonianza , arrivato a Roma, contribuisce nel 313 alla conversione dello stesso Costantino il Grande.
In realtà ben prima, fin dal tempo di S. Giudda Taddeo, il popolo armeno ed altre etnie vicine e limitrofe erano per lo più cristiane.
Infatti l’Armenia storica, la cosiddetta grande Armenia, compresa tra i tre Laghi – quello di Van, Il Caspio e quello salatissimo di Urumiè – è meglio conosciuta come Armenia terra delle croci, anche perché, dall’alto la planimetria delle chiese appare cruciforme.
La profonda fede è testimoniata dal gran numero di chiese con originali architetture ( ben oltre 630 nel solo Iran, oggi non tutte integre ed agibili), con elevate caratteristiche costruttive antisismiche, poste per svariati ragioni sulle sommità di alture. Di tante vanno ricordate almeno due.
La prima è perché i luoghi di culto della precedente fede zoroastriana ( essenzialmente volumi architettonici con aperture centrali verso il cielo per lo sfogo dei fumi e delle fiamme dei fuochi rituali) erano per la maggiore visibilità costruiti sulla cima delle colline e delle montagne.
La seconda è per questioni di sicurezza geologica ed altre ben più importanti di difesa militare. Almeno nell’ Armenia attuale, al di la delle Chiese così collocate, in ragione dell’orografia e della topografia frastagliatissime, oggi nei fondovalle e nelle situazioni di mezzacosta, dove un tempo erano costruiti villaggi ed insediamenti urbani, di questi ora non esistono più tracce. Con urbanistica armena, invece, possiamo vedere centri abitati in Turchia, in Iran e nei paesi limitrofi , spesso accanto a chiese ancora funzionanti.
In particolare in Iran i quartieri armeni, per la loro funzionalità potevano essere considerati modelli urbanistici attualissimi, in ragione della loro perfetta organizzazione. Erano strutture autonome, attrezzate per offrire servizi di ogni genere a se stessi ed altri quartieri delle città Iraniane .
Cosi accadeva a Tabriz come a Urumie ( Rezaiye ) , a Salmast come a Maraghe.
Anche nelle campagne, e più in generale nelle zone rurali, i villaggi armeni, come nelle città erano modelli funzionali alla produzione agricola, alla distribuzione dei prodotti e alla prestazione di alcuni servizi per la loro comunità e talvolta, se necessario, a vantaggio dell’intera nazione iraniana .
Per ritornare all’architettura delle chiese armene va osservato che alcuni criteri progettuali e costruttivi sono ancora oggi da ritenersi esemplari.
A livello tipologico abbiamo già detto le chiese armene sono l’evoluzione dei templi zoroastriani.
Le planimetrie erano sviluppate su due assi incrociati (unica navata centrale e transetto), al cui incrocio, con l’invenzione dei cosiddetti ”fazzoletti sferici” si realizzava il passaggio dal quadrato di base alla circonferenza su cui era elevata la cupola conica, talvolta, svettante sopra un tamburo cilindrico. In alcuni casi il cono era impreziosito da una geometria più elaborata a forma di ombrello semiaperto.
Le tecnologie costruttive erano le più sofisticate per contrastare gli effetti nefasti del tempo e degli eventi sismici, molto frequenti nelle zone . Le pietre, messe insieme a formare murature massicce, erano spesso perfettamente levigate, numerate per conseguire un ordinato montaggio . Detto lavoro era cosi preciso da non richiedere l’uso di malte leganti e tale che gli agenti atmosferici nel corso del tempo, non danneggiavano significativamente le strutture con pericolosi infiltrazioni d’acqua , che durante gli inverni potevano con l’azione del gelo provocare danni irreparabili , anche a causa del vento e pioggia turbinanti.
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Per descrivere ancora le elaborate planimetrie delle chiese va aggiunto che all’incrocio della navata e del transetto si formavano elaborati spazi funzionali per le cerimonie liturgiche ( battesimi, spazi di meditazione, cappelle votive o tombali)
Queste strutture, così concatenate e correlate, contribuivano efficacemente alla solidità dell’insieme e soprattutto per meglio sostenere le spinte della cupola.
Va ancora ricordato , e con maggiore dettaglio, che il modello di riferimento della cupola coneiforme era la trasformazione del focolare acceso nei vecchi templi pagani. In ogni caso queste forme significavano l’elevazione delle preghiere umane verso l’alto, verso la divinità. Si presume ancora che la cupola coneiforme sia stata ispirata dalle cime del monte Ararat. Anche il copricapo dei sacerdoti ha lo stesso significato. Successivamente sempre a riferimento delle due cime dell’Ararat( Masis per la Grande cima – è anche il nome dei bambini armeni e Sis è il nome di quella piccola del monte Ararat , questo non molto usato per nominare i bambini ) , alla cupola conica fu aggiunto, sopra il porticato d’ingresso , il campanile a copertura conica. Dal XII – XIII nelle grandi chiese basilicali o monasteri fu aggiunta la terza cupola conica, sulla navata centrale.
Inoltre l’unica luce calante dall’apice della cupola è un punto focale per attrarre e concentrare il pensiero dei fedeli oranti. laddove la presenza di opere d’arte- pitture e sculture- illuminate, da più luce sarebbe stata causa di minor concentrazione di preghiera. Per lo stesso motivo, - per l’unicità della cristianità armena - nella croce, oltre la sua forma geometrica, non c’è il corpo di Gesù crocefisso .
I bassorilievi erano spesso realizzati sulle pareti esterne delle chiese per raffigurare le immagini dei regnanti, ricordati anche in lapidi dimostranti donazioni e privilegi concessi alla chiesa armena. Spesso le figure, specialmente quelle degli angioletti, erano con sembianze mongole in omaggio alla tutela imposta dagli occupanti.
Poi sulla chiave della volta dell’ingresso principale al patriarcato Armeno di Echmiazin – discesa in terra di dio unigenito – vi è il volto in bassorilievo di Shah Abbas il Grande di Persia, in omaggio al re Safavidi tutelante il luogo sacro.
Shah Abbas il Grande ha avuto anche il merito di promuovere la costruzione nel 1611 della Nuova Julfa di Esfahan, capitale del regno Safavidi - popolata dagli armeni cui tutelati da un speciale statuto dopo la deportazione da Julfa antica, a confine con l’Azerbaijan lungo il fiume Arax.
Questo episodio ricorda un altro analogo- quello della deportazione degli ebrei dall’Egitto in Iran fatta da Ciro il grande. Egli nell’occasione promulgò uno speciale statuto sui diritti umani riportato sul famoso cilindro a suo nome , oggi esposto nel British Museum.
Gli armeni della Nuova Julfa di Isfahan, dati i loro rapporti culturali e commerciali con l’occidente cristiano contribuirono a potenziare gli scambi diplomatici, culturali ed economici della dinastia Safavide con l’India e l’Europa, in particolar modo con Venezia , Roma e l’Italia.
Cenni storici sui Rapporti con Italia durante la dinastia Safavidie - 600-;
I rapporti tra i due paesi risalgono a tempi molto remoti, quando Venezia era considerata il centro del commercio internazionale ed i suoi mercanti si avventuravano lungo la “Via della Seta” in cerca di merci esotiche da vendere poi in Europa.
di Pio V a Shah Tahmaseb e continua con maggiore consistenza nel periodo Safavide, per proseguire fino ai giorni nostri.
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A partire dal 1590, la dinastia dei Safavidi iniziò il processo di ripensamento urbanistico della città di Isfahan che la porterà a ricoprire il ruolo di nuova capitale dell’impero, posizione che manterrà sin al 1722 quando sarà sostituita da Teheran.
La spartizione dell’Armenia tra Impero Ottomano e Impero Persiano e la sconfitta iraniana ad opera dei Turchi nella battaglia di Cialdaran, segnò la sorte delle popolazioni armene dei territori devastati dalla guerra. La ricerca di un rifugio alla repressione dei turchi innestò un imponente esodo delle popolazioni armene verso l’interno della Persia centrale. Per motivi strategici, Shah Abbas favorì e organizzò l’esodo di circa 300.000 armeni.
Uno dei motivi di questa operazione di Shah Abbas era quello di creare una cintura di “terra bruciata” che separasse i due imperi. In secondo luogo col trasferimento a Isfahan della popolazione dei territori devastati che fino ad allora costituivano il fulcro del fiorente transito di merci e arti verso l’Occidente, Shah Abbas si circondò delle capacità commerciali, doti artistiche e conoscenze artigianali e linguistiche degli armeni e delle altre minoranze non mussulmane. Egli, nella nuova capitale, mise al servizio della neonata dinastia l’insieme di queste nuove potenzialità. Questa strategia portò presto i suoi frutti in termini di crescente sviluppo dei rapporti politici e commerciali tra la Persia e l’Occidente attraverso il Golfo Persico, sottraendo all’impero Ottomano il primato della gestione degli scambi commerciali e relativi dazi tra Oriente e un Occidente, che vietava l’ingresso e la libera circolazione ai musulmani.
Nel 1606 venne concesso alla comunità armena lo status di “ Privilegiati Reali”. Le popolazioni e le città che godevano di questo status dipendevano giuridicamente dalla Corte Reale ed erano esentate dal pagamento di numerose gabelle e balzelli. I diritti civili degli esuli armeni erano equiparati a quelli dei persiani.
Shah Abbas donò agli armeni ospitati un vasto territorio della città dove ai non cristiani era vietata la residenza e l’acquisto di beni immobili. È sorto, quindi, all’inizio del XVII secolo un nuovo quartiere armeno chiamato “Nor Julfa”, oggi dichiarato Patrimonio dell’Umanità dall’UNESCO, il cui nome e caratteristiche architettoniche/cristiane riprendevano quelle della vecchia “Julfa” abbandonata.
Avvalendosi delle capacità linguistiche, delle conoscenze e dei rapporti commerciali con l’estero apportate dall’arrivo delle minoranze esuli dalla vecchia Julfa, Shah Abbas invia nelle varie capitali europee, tra cui Roma, messaggeri e rappresentanti, soprattutto armeni ed ebrei.
Il rapporto tra Isfahan e Roma è testimoniato anche dai racconti del noto viaggiatore pellegrino Pietro Della Valle che assistette, insieme ad alcuni rappresentanti portoghesi ed all’Ambasciatore di fiume di Zayandeh Rud, che attraversa Isfahan. Durante una di queste celebrazioni eseguite dagli armeni di Nor Julfa, Pietro della Valle s’innamorò di una giovanissima nobildonna persiana di nome “Shirin” che sposò in uno dei suoi frequenti viaggi in Iran.
La salma di Shirin riposa nella chiesa dell’Ara Coeli in Roma, mentre alcuni familiari di Pietro della Valle furono sepolti nella chiesa armena del Bazar Molavi di Teheran dove venivano sepolti i vari rappresentanti diplomatici dei paesi occidentali in Iran.
Gli armeni, al servizio di Shah Abbas, stipularono numerosi contratti commerciali internazionali e piani di collaborazione militare in chiave anti ottomana, circostanza, questa, che provocò loro il risentimento da parte turca.
Dal 1670 inizia una massiccia emigrazione degli armeni di Nor Julfa verso le città e le nazioni che avevano rappresentato gli avamposti della grande rete commerciale, in fase di declino a causa del cambiamento delle politiche della dinastia Safavide: Alessandria, Costantinopoli, Venezia, Livorno, Roma, Marsiglia, Varsavia, Russia, Olanda, in Occidente; Birmania, Indonesia, Cina e India, in Oriente. In India si sviluppò una comunità armena assai importante sia dal punto di vista sociale che economico tanto che creò un noto Collegio Armeno che tuttora esiste. Nel 1689 la Società dei
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