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18 04 2015 - La questione Armena .di Graziella Falconi
La questione Armena

di Graziella Falconi
A circa diciotto anni di distanza dalla nascita dell'Associazione Zatik, difronte alle reazioni turche e alle polemiche suscitate dalle parole del sommo Pontefice, vorrei ribadire le ragioni per le quali costituimmo l'associazione Zatik, composta non solo da persone di origine armena.


Il compito dell'Associazione era individuato nell'opera di diffusione della conoscenza della cultura e la storia armena e principalmente del grande male (Metz Yeghern) subito dal popolo armeno, che noi occidentali chiamiamo genocidio. Accanto a questo impegno, che abbiamo onorato contribuendo in modo decisivo a far riconoscere il genocido dal Parlamento italiano , ci siamo sempre espressi a che non si rimanesse prigionieri di alcuna contrapposizione secolare e potesse avviarsi un cammino di riconciliazione tra il popolo turco e quello armeno, sottolineando, sempre che non fu il popolo a compiere il delitto, ma un governo, al quale, con ogni probabilità, era sfuggito il controllo di una punizione esemplare da infliggere agli armeni, dopo i molti progrom del passato .Una sorta di genocidio preterintenzionale, non per questo meno grave, diventato poi pienamente genocidio. Ma i turchi si rifiutano di riconoscerlo, in qualunque forma. Erdogan ha compiuto timidissimi passi , limitati ad un inchino in onore alle vittime della guerra del 1914-18.
Si leggono sulla rete e sulla stampa accuse di bassa real politik, atti di puro opportunismo economico-politico, rivolte all'Italia, ad un'Italia ufficiale che ignorerebbe gli armeni. E' giusta questa accusa? Il Parlamento italiano ha riconosciuto il genocidio armeno, usando il termine a qualche giorno di distanza di un' analoga posizione del Parlamento europeo nel 1997. Non si ebbero allora esternazioni violente dalla Turchia, paese la cui Costituzione vieta di parlare del genocidio. Qualche anno fa, inoltre, si è costituita un'associazione di sostegno all'Armenia, formata da parlamentari .

La delegazione inviata dall'Italia in Armenia per le celebrazioni del centenario è composta da alte cariche parlamentari in linea con gli impegni assunti negli anni dal Parlamento, una delegazione più prestigiosa. Ben ha fatto Nadia Urbinati - su La Repubblica del 16 aprile - a ricordare come Gramsci avesse scritto (tra i pochi, allora) ne Il grido del popolo nel marzo 1916, sulla tragedia armena e sulla indifferenza difronte ad essa, concludendo che "gli armeni dovrebbero far conoscere l'Armenia renderla viva nella coscienza di chi ingora, non sa, non sente".


L'essere entrati a far parte dell'Unione delle Repubbliche Sovietiche non ha favorito la diffusione delle notizie e della storia dell'Armenia.


Con la caduta del muro di Berlino e la fine dell'Urss, l'Armenia è diventata una repubblica indipendente e si sono così moltiplicate le voci e gli scritti sul Paese, sulla sua identità e sulla sua storia.

I cristiani in Medioriente e gli armeni in modo particolare, hanno spesso denunciato d'essere stati lasciati soli e dimenticati. Con la proclamazione di Gregorio di Narek, dottore della Chiesa, Papa Francesco ha cercato di colmare un vuoto.


In un momento storico nel quale la mattanza di cristiani e di cattolici si fa concreta e sempre più frequente, il Papa ha inteso rivolgere un appello alla comunità internazionale, distratta, sull'incerto presente e il problematico futuro dei cristiani. Più che al passato, al giudizio su quanto avvenuto in Turchia nel 1915-16, Bergoglio si è riferito a chi oggi ignora non sa non sente il grido di tanti cristiani .

c'era la guerra allora e c'è una diversa guerra oggi .
Mi piacerebbe che le celebrazioni del centenario del genocidio armeno riservassero particolare riguardo ad espressioni di solidarietà verso i cristiani di Asia, Africa, Medio Oriente. Questo non significherebbe accantonare o mettere in secondo piano la storia degli armeni e le loro rivendicazioni, ma occasione offerta a tutta la comunità internazionale per far sentire una voce più universale sull'uomo e sui suoi inalienabili diritti. Potrebbe essere un'occasione per la giovane Repubblica armena per parlare non solo di sè. Potrebbe permetterselo, può trovare fondamenti e spunti importanti nei documenti antichi della loro Chiesa.

Erdogan, no, non può permetterselo, non perché non abbia capito il senso del discorso del Papa. Penso che abbia fatto finta di non capire e strumentalizza, in modo miope, a fini interni, le parole di Bergoglio. E si mostra irritato come uno che veda andare a monte un lavoro svolto. Giudica anche la risoluzione odierna del Parlamento europeo ( sebbene coerente con posizioni già espresse nel 1997), un tradimento nei confronti della sua politica di avvicinamento all'Occidente.

In questi ultimi anni l'Europa e molti dei suoi stati si sono espressi sul genocidio armeno; in Francia addirittura una legge punisce il negazionismo. In generale gli europei non hanno mostrato di temere un irrigidimento turco nei loro confronti e nei turchi , sull'irritazione, ha finito col prevalere la politica. Ma , in termini di Real Politik, conviene agli armeni un eventuale irrigidimento turco? Si può guardare al futuro senza ignorare il passato e senza esserne paralizzati? Per marciare in questa direzione occorre la chiarezza, aiuterebbe innanzitutto gli armeni ad elaborare il lutto e a dissipare sospetti e malumori turchi. .

Potrebbero gli armeni esplicitare cosa esattamente si aspettano dall'eventuale riconoscimento ( soldi, territori ecc.) da parte della Turchia? Sarebbero disposti a dichiararsi soddisfatti da soli gesti simbolici forti, oppure a seguire riti di riconciliazione come quelli messi in atto, ad esempio, in Sudafrica dopo i crimini dell'apartheid?
Erdogan , si legge su Repubblica del 15 aprile, dice "Voglio ripetere il nostro appello a creare una commissione congiunta di storici e sottolineare che siamo pronti ad aprire i nostri archivi". La comunità interazionale, l'Onu, il Parlamento europeo, potrebbero raccogliere l'appello e la sfida; dire " va bene, le regole della commissione le dettiamo noi e mettiamoci al lavoro". Gli armeni ci stanno, o no, ad una Commissione di storici? Perché si leggono solo reazioni irritate e non si approfitta di questo spiraglio?



Roma18 /04/ 21015

Graziella Falconi

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