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7 Luglio 2014_ La nazione armena e la chiesa di San Gregorio Illuminatore a Livorno
(parte I)more
by Stefano Ceccarini
http://www.academia.edu/3646362/La_nazione_armena_e_la_chiesa_di_San_Gregorio_Illuminatore_a_Livorno_parte_I_
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In storia – pagina 6
IL PENTAGONO BOLLETTINO DELL’ ASSOCIAZIONE LEGBLU

Le origini dell’affermazione del-l’emporio livornese nei secoli XVIIe XVIII sono da ricercare, come ènoto, nelle iniziative granducalifinalizzate ad attrarre mercanti di qualsivoglia nazione nella nuovacittà. Questi ultimi, richiamati dallaneutralità del porto e dalle pro-spettive di sviluppo garantite dall’i-stituzione dell’area franca, si stabilirono a Livorno in nu-mero sempre maggiore, conferendole quel carattere dicittà cosmopolita per eccellenza. Premessa fondamen-tale fu la promulgazione, da parte del granduca
Ferdi-nando I de’ Medici
, di una serie di esenzioni e privilegicon cui si invitavano espressamente a Livorno mercanti levantini e ponentini, spagnioli, porroghesi, greci, tode-schi e italiani, hebrei, turchi e mori, armenij, persiani ealtri .Tra questi, un ruolo assolutamente non secondario eb-bero i mercanti di origine armena, i quali, sin dagli anniventi del Seicento, diedero avvio ad un insediamentoeconomico stabile e nel 1626 poterono contare sullafigura di un console.
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La comunità era comunque moltovariegata, in quanto comprendeva armeni provenientidalla Persia e dalle regioni sottomesse all’Impero Otto-mano; inoltre, al suo interno, sotto la comune fede cri-stiana, si distinguevano coloro che si riconoscevano nelPatriarcato d’Armenia (i cosiddetti scismatici) e quanti,pur mantenendo lingua, rito e calendario armeno, si di-chiaravano uniti alla Chiesa di Roma. Vi erano poi diffe-renze di natura economica e sociale, poiché accanto aigrandi mercanti dediti al traffico di cuoiami, seta e pietrepreziose, operavano anche diversi artigiani e commer-cianti, molti dei quali furono attivi nella gestione dei pri-mi caffè cittadini.Malgrado questi gruppi fossero piuttosto consistenti, illoro insediamento si integrò nella struttura urbana diLivorno e non portò alla formazione di un vero e proprio quartiere armeno. Inoltre, le loro abitazioni non furonocaratterizzate, in generale, da particolari segni distintivirispetto al resto della locale produzione architettonica.Una prima significativa eccezione si registra nel palazzoche
Antonio Bogos
fece costruire tra il 1664 ed il 1666 nei pressi del bastione dei Mulini a vento.
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Detto sempli-cemente il “celibì”, Antonio Bogos fu tra i mercanti piùfacoltosi della comunità; appartenente al ristretto nume-ro dei cittadini di Livorno, fu insignito del titolo di gonfa-loniere e continuò a indossare le sue vesti orientali an-che nelle occasioni pubbliche, riuscendo persino a tene-re una riunione del Consiglio all’interno della propriaresidenza. Il palazzo, di vaste dimensioni, era dotato dicantine interrate, magazzini, stalle, colombaie, ampiocortile e giardini terrazzati secondo la trazione orientale. A sud dell’edificio sorgeva la cosiddetta
Stufa, ovvero unrinomato bagno turco che attirò le attenzioni di numerosiviaggiatori. Scrive in proposito il religioso Jean BaptisteLabat nel 1731: “
Sbarca a Livorno tanta gente prove-niente dai paesi del Levante, o altri che hanno presol’abitudine di praticare la sauna e i bagni turchi, a tal punto che questo uso si è introdotto altrettanto beneche a Marsiglia.
[…]
Mi sorprende che questo impiegodelle stufe non sia stato ancora introdotto a Parigi, oche non ce ne siano abbastanza da soddisfare tutti
”.
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Pochi anni dopo la morte di Bogos, avvenuta nel 1674,il palazzo fu acquistato al Pubblico Incanto da un altroarmeno, Giorgio d’Abrò, mentre la stufa continuò a fun-zionare almeno fino alla metà del Settecento.Un altro maggiorente della comunità, Gregorio Mirmande Ghirach
, fu livellario, per contratto rogato il 7 gen-naio 1678, della tenuta denominata “Il Buffone”, nellazona di Montenero, la quale era composta da un fabbri-cato padronale e alcune case di contadini; egli fu quindiuno dei primi ad affiancare alla residenza di città un’abi-tazione nella campagna circostante. Un segno tangibiledella presenza armena fu lasciato anche dalla famiglia Sceriman
, che nel corso del XVIII secolo entrò in pos-sesso della tenuta di Monterotondo, consistente in unterreno di oltre sei ettari, con villa e case coloniche.
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Eppure, nonostante il prestigio conseguito, per moltotempo gli armeni non poterono disporre di un proprioluogo di culto e continuarono a frequentare le altre chie-se della città. Tale impedimento era dovuto sostanzial-mente alle resistenze delle gerarchie cattoliche, chevedevano con sospetto e timore la presenza di molti
La nazione armena
e la chiesa diSan GregorioIlluminatore
di Stefano Ceccarini
stefanoceccarini @libero.it


In
storia – pagina 7
IL PENTAGONO
BOLLETTINO DELL ‘ ASSOCIAZIONE LEGBLU

scismatici tra i membri della nazione. In questo conte-sto, nel 1669 la Congregazione di Propaganda Fide or-dinò ai sacerdoti secolari e regolari di Livorno di nonconcedere i sacramenti agli armeni che non avesserofatto la professione di fede, ma l’accorto granduca di-spose che il decreto non fosse esposto nei luoghi pub-blici, bensì nelle sagrestie delle chiese, “
non come attogiudiciale, ma come legge ecclesiastica
”.
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Attraversol’opera di alcuni missionari domenicani, tra cui padre
Sebastiano Knab
, fu comunque possibile avviare unproficuo dialogo con la comunità armena, tanto che nel1672 la Congregazione della Fede concesse al sacerdo-te cattolico
Karapet
di celebrare la messa e recitare l’of-fizio secondo il rito armeno.Nel contempo furono avviati i primi concreti progetti per la costruzione di una chiesa nazionale, intesa non sol-tanto come punto di riferimento religioso, ma anche co-me centro culturale attraverso il quale conservare e tra-mandare l’identità della comunità. Intorno al 1689 si arri-vò addirittura a ipotizzarne la realizzazione di fronte alDuomo, nelle aree edificabili che si sarebbero ottenutecon l’interramento del Porticciolo dei Genovesi, tuttavial’idea, malgrado i pareri richiesti al
gran principe Ferdi-nando
, figlio di
Cosimo III de’ Medici
, non si concretiz-zò a causa delle ingenti spese a cui avrebbe dovuto far fronte la nazione. Pertanto, nel 1692 la comunità decisedi ripiegare su un terreno situato nei pressi della chiesadella Madonna, che acquistò dai Padri Minori Osservantial prezzo di 5.489 pezze.
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In ogni caso, solamente nel1698, a seguito delle grandi pressioni esercitate dalGranducato di Toscana e grazie al contributo di un per-sonaggio armeno vicino alle curia romana, il barone
De-odato Agà di Mathus Oglanckescis
, la Congregazionedi Propaganda Fide accordò finalmente alla nazione ilpermesso di erigere una chiesa cattolica di rito armeno.Ciò però non contribuì a placare le resistenze dell’arci-vescovo di Pisa, la cui opposizione rese necessaria, nelmaggio 1701, l’emanazione di un altro e definitivo de-creto d’autorizzazione.In merito all’ubicazione della chiesa sussistevano peròalcune incertezze, se è vero che, come scrive lo storicoDario Matteoni, nel settembre del 1700 gli armeni ave-vano esaminato tutti i siti ancora disponibili nella Vene-zia Nuova adatti a collocarvi il proprio edificio di culto.
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Superate le ultime riserve, i lavori di costruzione comin-ciarono nel 1701 sul terreno acquistato a suo tempo inVia della Madonna, subito dopo l’omonima chiesa equella greca della Santissima Annunziata, con il chiaroproposito di innalzare un edificio più bello degli altri due.Il citato Agà di Mathus ebbe un ruolo fondamentale an-che nella fase esecutiva, in quanto anticipò alla nazionel’importo previsto per la realizzazione dell’opera; inoltre,il contratto stipulato con la comunità concedeva al baro-ne la possibilità di innalzare case di sua proprietà suilotti lasciati liberi ai lati del tempio.Il progetto iniziale fu redatto da
Giuseppe Lorenzi
,maggiore delle Fortezze e Fabbriche, ma alla morte diquesti l’incarico fu affidato all’architetto e scultore fioren-tino
Giovan Battista Foggini
(1652-1725).
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Risulta im-possibile, nell’ambito di questo articolo, ripercorrere per intero la prestigiosa carriera di Foggini, una delle figuredi primo piano nel panorama artistico dell’ultimo periodomediceo; un ruolo legittimato, del resto, dalle caricheufficiali di scultore di corte, “Architetto Primario della Ca-sa Serenissima” e direttore dei lavori della “Real Galleriae Cappella”.
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Basti pensare poi che alle numerose com-missioni del casato mediceo si aggiunsero quelle di al-cune ricche e influenti famiglie del Granducato, le qualierano desiderose di consacrare la propria ascesa socia-le con la costruzione di raffinate dimore e sontuose cap-pelle. Architetto in grado di proporre una gamma di solu-zioni sempre inedite e di padroneggiare i modelli formaliacquisiti negli anni della sua formazione, Foggini fu arte-fice di uno stile decisamente originale, frutto di una sin-tesi stilistica in perenne equilibrio tra la plasticità baroc-ca e la tradizione toscana dei secoli XV e XVI. A Livorno egli fu protagonista di quella vivace stagioneartistica promossa dal granduca Cosimo III e dal granprincipe Ferdinando, che si concretizzò nell’esecuzionedi importanti fabbriche civili, religiose e militari. In propo-sito, è documentato l’impegno del Foggini per il rinnovodelle decorazioni del Santuario di Montenero, per la pro-gettazione dei cosiddetti “Tre Palazzi” di Piazza Grandee per il riassetto della settecentesca Porta San Marco; siè soliti attribuire all’architetto fiorentino anche la facciatadella chiesa greca della Santissima Annunziata e il pro-getto iniziale di San Ferdinando Re, mentre non trovariscontro quanto riferito da Pietro Volpi e da GiuseppePiombanti, secondo i quali al Foggini si deve anche ildisegno del palazzo edificato sulla Via Borra per conto


In
storia – pagina 8
IL PENTAGONO BOLLETTINO

DELL’ ASSOCIAZIONE LEGBLU
di Ottavio Gamberini.
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Il suo coinvolgimento nelle vicen-de legate alla costruzione della chiesa degli Armeni, at-testato già nel Settecento da Francesco Saverio Baldi-nucci e rimarcato da un fitto carteggio conservato nellaBiblioteca del Seminario Arcivescovile del Cestello diFirenze,
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è tuttavia ignorato da molte fonti locali, le qualisono orientate ad assegnare il disegno e l’esecuzionedell’opera rispettivamente al gran principe Ferdinando ea
Giovanni Del Fantasia
.
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Secondo lo storico dell’arteRiccardo Spinelli, autore di un’accurata monografia sullafigura di Foggini, il tradizionale riferimento a Ferdinandode’ Medici potrebbe essere ricollegabile, anziché a unprogetto vero e proprio, all’interesse dimostrato dal granprincipe nei confronti delle più importanti fabbriche citta-dine dell’epoca, molte delle quali ebbero infatti il suo pa-trocino e la sua diretta approvazione.
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Oltre a ciò, con-siderata la vicinanza con il Palazzo Granducale, sembrache l’erede al trono toscano fosse intenzionato a faredella chiesa degli armeni una sorta di cappella a serviziodello stesso palazzo mediante la realizzazione di un col-legamento tra le due strutture, ma la morte del principe,nel 1713, impedì il concretizzarsi di questo progetto.(
continua
)
Note
1
L.F. Fischer,
“Pro Armenis Unitis cum conditionibus”. La costruzione della Chiesa degli Armeni a Livorno: un iter lungo e accidenta-to
, in
Gli Armeni a Livorno. L’intercultura di una diaspora
, Livorno 2006, p. 29.
2
M.L. Papi,
Aspetti della cultura armena a Livorno. Il palazzo della stufa
, in
Gli Armeni a Livorno
,
cit.
, pp. 111-112.
3
J.B. Labat,
Voyages du P. Labat de l’ordre des FF. Precheurs en Espagne et en Italie
, Amsterdam 1731.
4
R. Ciorli,
L’insediamento urbano della nazione armena a Livorno
, in
Gli armeni lungo le strade d’Italia. Atti del Convegno Internazio-nale (Torino, Genova, Livorno, 8-11 marzo 1997)
, Pisa-Roma 1998, pp. 164-167.
5
L.F. Fischer,
cit.
, p. 32.
6
M. Sanacore
, La costruzione della chiesa nel processo fra gli eredi di Agà di Mathus e la Nazione armena
, in
Gli Armeni a Livorno
,
cit.
, p. 43.
7
D. Matteoni,
Livorno, la costruzione di un’immagine. I palazzi di città
, Cinisello Balsamo 1999, p. 63.
8
M. Sanacore,
cit.
, p. 49.
9
Sulla figura di Foggini si rimanda a R. Spinelli,
Giovan Battista Foggini. “Architetto Primario della Casa Serenessima” dei Medici (1652-1725)
, Pisa 2003.
10
Si veda R. Spinelli,
cit.
, pp. 147-169, 273-280, 338-339 e 342; G. Piombanti,
Guida storica ed artistica della città e dei dintorni di Livorno
, Livorno 1903, p. 75; P. Volpi,
Guida del forestiere per la città e contorni di Livorno
, Livorno 1846, p. 217; M.T. Lazzerini,
Mar-mi e testimonianze artistiche della chiesa di San Gregorio Illuminatore degli Armeni di Livorno
, in
Gli Armeni a Livorno
,
cit.
, p. 58.
11
F.S. Baldinucci,
Vite di artisti dei secoli XVII-XVIII
, ed. 1975.
12
G. Piombanti,
cit.
, p. 221; P. Volpi,
cit.
, p. 167; M. Owl’owrlean,
Storia della colonia armena di Livorno e della costruzione dellachiesa
, 1891, ed. 1990, p. 82.
13
R. Spinelli,
cit.
, p. 156.
Immagini
Pag. 6: una rara foto della cupola della chiesa armena; si notano anche i campanili delle altre chiese di Via della MadonnaPag. 7: in alto, Villa Sceriman, oggi nota come Villa Rodocanacchi; in basso, planimetria di Via della Madonna nel XIX secolo.Pag. 8: i Tre Palazzi di Piazza GrandePag. 8: a sinistra, gli attuali resti della facciata della chiesa armena (foto A. Brondi); a destra, la chiesa dopo la seconda guerra mon-diale, con il frontone che segnava la sommità della facciata originaria.

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