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Manuela Avakian - Gli armeni nel racconto di Manuela Avakian, popolo nel destino della diaspora
14/8/2011
ROMA - Il visibile e l'invisibile di una geografia tra ethnos e civiltà. Gli armeni nel racconto di Manuela Avakian. Un popolo nel destino della diaspora.
Le geografie visibili tra spazio e tempo nella dimensione delle civiltà, a volte, trovano un loro diretto dialogo con quelle invisibili. La storia che
vive e muore con gli uomini e i territori deve sempre fare i conti con il vissuto delle genti, con la loro diaspora, con le ferite inferte tra vincitori
e vinti, con la disputa tra maggioranze e minoranze.
Una questione che potrebbe trovare una sua chiave di lettura nella specificità o nella specificazione dell.identità o delle identità. Ma non siamo ancora
tanto accorti sia sul piano antropologico che su etno . linguistico se ci sono identità cangianti o appartenenze che smettono di essere appartenenza vissuta e si trasformano in apparenze.
In fondo si potrebbe pensare anche a delle civiltà etniche che sono costantemente in transito. Il concetto di transito tra la storia e il futuro
implica necessariamente un passaggio in cui proprio il valore di etnhos ha una sua peculiarità nella funzione antropologica sia della lingua sia del pensiero.
Ecco perché sono convinto che i linguaggi o diventano un intreccio di eredità culturali (e per tali si indica la letteratura, le arti, la musica e dimensioni
altre rispetto alla lingua stessa), storiche, archeologiche o si definiscono in una funzionalità filologica.
Le civiltà e i popoli si raccontano certamente attraverso la lingua ma la lingua cosa racconta se entro i processi storici non si sottolineano tradizioni che fanno di una cultura il portato di una visibile Tradizione.
Il territorio costituisce la geografia visibile, non intesa in termini di dimensione reale soltanto, e in quanto tale si struttura nella coscienza dei
popoli perchè i popoli abitano il territorio e il territorio ha almeno due caratteristiche: la fisicità del luogo e quindi dei luoghi e la trasformazione
di una etica dell.abitato in una estetica del vissuto come memoria e come proiezione.
La geografia invisibile, ma che ha la sua competenza in una ragione poetica, è quella letteratura che traccia l.anima dei popoli con la difesa della loro
identità in una espressione in cui i codici linguistici diventano interazione tra la parlata e gli effetti antropologici, tra la lingua e le spaccature della storia. La visibilità della geografia di una civiltà è data appunto dal
territorio.
Ciò che è invisibile in una geografia della attesa è la risultante dello strazio letterario che scava tra gli scogli della storia. La storia resta con
la sua durezza tra ciò che definiamo vincitori e ciò che sosteniamo come vinti.
Ogni popolo ha le sue rughe e tra le rughe insistono quelle lacerazioni che sono di natura sia ideologica che religiosa. Nell.una e nell.altra si
intrecciano le filosofie aberranti della perfezione e il dubbio del pensiero che tiranneggia più della purezza della perfezione.
Le civiltà resistono agli urti della storia ma possono anche sfaldarsi nell.impatto dei contrasti tra il silenzio delle appartenenze e la visibilità
sofferente della cultura che diventa espressione etnica.
Il genocidio (sterminio e fuga) degli Armeni nel secolo moderno è da considerarsi come la frattura tra l'aberrante perfezione e il dubbio storico.
Ma c.è anche una ulteriore frattura che è quella indisturbata tra la geografia del visibile che si scontra con quella dell.invisibile.
Un processo etnico sulla base di un ulteriore processo metafisico e ideologico tra la cristianità armena, l'assurdo ottomano e la devastante divisione
marxista..
Una testimonianza tra la geografia visibile e quella invisibile ci è data da Manuela Avakian con uno suo lungo racconto (o breve romanzo) dal titolo .Una
terra per Siran. (Prospettiva editrice). Credo che in questo raccontare ci siano delle pagine di una esemplarità straordinariamente intrigante in cui la
fissazione delle immagini storiche si coniuga con la contestualizzazione dei personaggi, dei luoghi, della tradizione.
Una triangolarità efficacia perché il vissuto di un popolo, il sacrificio e la disperazione di un popolo, l.attesa e il graffio di una speranza nell'avvolgente fragore religioso di un popolo di manifestano in un mosaico dalle tinte nostalgiche.
Gli Armeni è un popolo che ha smarrito una civiltà pur consapevole che nell.appartenenza visibile della loro geografia si intaglia la storia di una
comunità che pone come centralità, forse sarebbe meglio dire che ha posto come centralità, proprio l.ethnos legato alla religiosità e qui la religiosità è la cristianità profonda che ha sempre contraddistinto una .terra. che ha posto la
cristocentricità come diffusa visione della redenzione e il concetto stesso di ethnos è una dichiarazione sostanziale di fede ad una appartenenza.
Non è inscindibile l.etnocentricità, come popolo radicato ad un territorio di una geografia visibile sul piano dell.appartenenza, con il cammino del
cristianesimo che trova radicamenti proprio nel popolo armeno. D.altronde l'Armenia è un territorio baluardo per la difesa della cristianità nei
confronti di un.altra religione qual è quella musulmana.
Ebbene Manuela Avakian al di là del merito prettamente letterario (il quale lo si nota subito dalla incastonatura dei personaggi nel narrato e del narrato che non diventa mai descrittivo e ciò viene ad essere cesellato dalle lettere che si sottolineano nel testo, le quali hanno un senso dal punto di vista di una antropologia dell.umanesimo e direi meglio della carità e della speranza), affonda il bisturi nel camminamento di una famiglia in un articolato che può leggersi come uno scavo generazione.
Credere nel nome, nelle origini ( si legge cos.) significa credere in una appartenenza che è stata tagliata da un .fatto. etnico e religioso.
Ma il dato predominante è questa famiglia di cui si parla nel libro che lascia l.Armenia in una diaspora diffusa e si ritrova nel Corno d.Africa. Un popolo
armeno che slega la sua identità pur restando nella sua appartenenza e si confronta con un.Africa che ha tradizioni, costumi, pensiero completamente
diverso. Non è neppure un.Africa completamente mediterranea eppure quell'Africa centrale riempie di memorie africane i personaggi armeni.
Siran, questa donna che ha il travaglio nel suo inquieto presente e nel suo scorrere del tempo in una lettera indirizzata alla madre intreccia memorie del
popolo armeno e una memoria africana.
Siran si lascia .conquistare. da una nuova terra e nella nuova terra che non l.Europa legge proprio l.intreccio ma a nche il contrasto tra una geografia
visibile e l.invisibile della geografia.
L.omerico viaggio di Siran non è laico però. È profetico perché nelle sue parole la profezia sembra una dichiarazione di fede. Le parole dette o pensate
da Siran hanno una compulsione in cui la memoria avanza con la sua ombrata legge contemplate sul tempo: .E. davvero una fortuna, delle volte che
l.immortalità del passato si manifesti solo tramite a memoria e non nella ricorrenza materiale degli eventi.. Dirà Siran.
Ma Manuela Avakian fa degli innesti precisi e definitivo come in un sogno lucido. Inserisce dei versi di Dylan Thomas in cui la melanconia Armenia è
perfettamente la geografia dell.invisibile. Recita Dylan Thomas: .Sì, desidero./Guardare nei tuoi occhi/E gridare . Armenia!.. E poi: ..la notte è/Il
luogo che ti permette/Di vivere in/Due nazioni./E quell.altra terra nativa/Che tu non hai mai conosciuto/Ti sarà più cara/Ogni giorno che trascorri/In un altro luogo/Che ti è quasi/Altrettanto caro.. Siamo ancora nella geografia
dell.invisibile dove può dominare la metafore dell.ethnos.
Si entra nella stanza del visibile nel momento in cui, un solo esempio, Tartan scrive alla figlia e usa lo strumento del linguaggio che non da tregua al
rancore: .Ma ora so, so che quel vivere dolente l.ho voluto io. Tanto ero intento nel mio odio e nella rabbia contro i Turchi che avevano sopraffatto il
mio popolo, la mia famiglia, me, tanto ero invaso da risentimenti e paure...
Ecco, non ho voluto proporre una visione analitica e tanto meno proporre una critica dello sguardo. Il punto è un altro. Forse strumentale. Ma è bene che
sia così in questi casi soprattutto per uno come me che lavora quotidianamente sul testo letterario e porta a conoscenza esperienze rivolte alla comprensione delle etnie.
Non ho voluto raccontare il testo, volutamente. Ma mi interessa porre all.attenzione l.eredità etnica del popolo armeno e della civiltà chiamata Armenia. Proprio in questo percorso questa civiltà si offre con la duplice lettura.
Il visibile e l'invisibile che comunque c.è. Ovvero la geografia della tessitura etnica attraverso la letteratura, il testo di Manuela si presta a
questa interlocuzione offrendo sfaccettature.
L.Armenia non è soltanto una etnia, un popolo, bensì è una civiltà con le sue identità lacerate e la sua radicata appartenenza sia ad una lingua che ad una
tradizione. Un destino, dunque. Un popolo nel destino della diaspora. Ma il destino è una geografi dell.invisibile. Lo si abita soltanto. L.accaduto è
nella risibile del visibile.
Manuela Avakian (nata a Taranto nel 1977) distrugge le impalcature della retorica o delle giustificazioni o delle geremie per aprirsi un varco, umano e letterario, tra le due geografie definite. Il valore religioso resta l'umanità di questa geografia divisa.
di Pierfranco Bruni



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