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Grossman: Il Bene sia con voi reportage dall'Armenia ed Adelphi
Scritto da Caterina Maniaci
Martedě 23 Agosto 2011 06:25
Vasilij Grossman
Davanti alla Madonna Sistina, portata a Mosca nel 1955 dai russi che l'avevano requisita a Dresda, dopo il crollo della Germania nazista, la gente fa la
coda per ammirare quest.opera commovente dipinta da Raffaello. In coda cè anche lo scrittore Vasilij Grossman, che poi scriverà La tela ci parla della
gioia di essere creature vive su questa terra. e ci dice quanto deve essere bella e preziosa la vita, e che non c.č forza al mondo in grado di costringerla
a trasformarsi in qualcosa che, pur somigliandole, non sia vita vera.
Una vita che sembra scomparsa nei lager e nei gulag, nei palazzoni sovietici della periferia moscovita, o nei corridoi e nei sotterranei del Kgb, nelle stanze sovraffollate delle case in comune e nei tradimenti di padri, madri, figli, amici. Eppure, anche in questa forma di vita sfigurata agisce la forza dell'amore. Ne è convinto Grossman, un uomo e un artista che incarna perfettamente il destino grandioso e crudele della terra russa, insieme a
quello terribile del popolo ebraico. Il suo capolavoro č il fluviale romanzo .Vita e destino., ma prima di questo traguardo creativo era noto in patria per i suoi straordinari reportage dal fronte di guerra e per il suo sincero impegno in nome della rivoluzione del popolo..

Nel 1960 Grossman porta a termine il suo romanzo, che perň viene subito confiscato dal Kgb: si tratta di pagine giudicate pericolose dal regime, perché
parlano di libertà, di amore per il prossimo, di giustizia, di repressione. E soprattutto si instaura l.impossibile parallelo tra i lager nazisti e i gulag
staliniani, in cui l'orrore č lo stesso, perché identico č il disprezzo per l'uomo, identica la follia del potere che mostra il suo volto bestiale.
Grossman, sempre visto un po. sospettosamente dalle strutture del partito unico, ora diventa decisamente un reietto. Il suo romanzo viene requisito, il
lavoro nei giornali e nelle universitŕ comincia a scarseggiare, lui comincia a soffrire dei sintomi di quella malattia che lo porterŕ alla morte, nel 1963, un cancro allo stomaco. Intanto, perň continua a scrivere: racconti,essenzialmente, e ancora un reportage. Nel 1961, infatti, per un paio di mesi,
lo scrittore si trova in Armenia, per tradurre in russo un poeta armeno, Martirosjan, e qui scopre un mondo diverso, duro e insieme poetico, un popolo
cosě simile a quello ebraico, per sorte, dolore, grandezza.

Queste pagine sono oggi ripubblicate da Adelphi, in un volume dal titolo .Il bene sia con voi!.. Questa č una frase augurale che gli armeni si scambiano
incontrandosi ed è lo stesso augurio che lo scrittore rivolge a tutti, chiudendo il racconto-reportage dedicato appunto all.Armenia. Mentre sente che
la vita lo abbandona, il suo sguardo diventa piů luminoso, piů benevolo, più ansioso di comprendere il senso della vita. Grossman non č credente, si proclama ateo, ma č convinto profondamente che il male viene sempre sconfitto dalla dei singoli, che si oppongono alle mostruositŕ messe in campo dalla
Storia. C.č molto di religioso nel suo guardare agli uomini semplici, alla loro lotta anche contro se stessi, le proprie miserie e le proprie vigliaccherie.
C.č molto dello sguardo rivolto a Dio nel suo fissare la montagna sacra, l.Ararat , o nel contemplare le antiche chiese armene, che fanno scrivere Grossman che .io che non sono credente guardo quella chiesa e penso .Forse Dioesiste.La sua casa non puň essere rimasta vuota per mille e cinquecento anni

Bellaigue racconta i «turchi dimenticati»
in altri mondi di Fulvio Panzeri Puo essere una grande avventura anche il mestiere di giornalista, soprattutto se si č in grado di mettere in discussione quelle che sono state le proprie
.visioni. della realtà - Un esempio ci viene da Christopher de Bellaigue, classe 1971, che dopo la laurea a Cambridge diventa corrispondente dalla Turchia per l'Economist e, per amore, si trasferisce a Istanbul, «ambigua, suggestiva e abbagliante quando il sole tramonta sul Bosforo». Impara il turco e si adegua anche alla mentalitŕ corrente della Turchia, tanto da commettere un errore, leggendo la storia turca secondo quello che è il modo di vedere nazionalista di Kemal Ataturk, un.ideologia che nega il genocidio del popolo armeno e porta a interpretare i tragici eventi d.inizio secolo, come n'insurrezione degli armeni contro i musulmani ottomami. Lo scrive anche in un articolo sulla storia turca per il .New York Review of Books. che riceve pesanti critiche da parte di James Russell, autorevole professore di studi armeni di Harvard. Una presa di posizione che lo fa riflettere sull.unicitŕ delle sue fonti, tutte filoturche, in controtendenza a quanto espresso da chi chiede il riconoscimento del .genocidio.. E si chiede: «Dopo cinque anni che vivevo in Turchia, come avevo potuto non prevedere le conseguenze che avrei scatenato trattando quell.argomento con tanta leggerezza?».
Dopo essersi trasferito in Iran per alcuni anni, decide di tornare in Turchia per riparare al .fatale. errore, capisce che era arrivato il momento in cui «la
Turchia doveva disfarsi dei miti su cui si fondava e rendere conto di come l'Asia Minore, un tempo forse il luogo piů caotico e cosmopolita della terra,
fosse diventata uno Stato Nazionale omogeneo, con quante sofferenze e a quale costo. I miti dovevano essere sfatati, le vittime consolate e le canaglie
chiamate a fornire ufficialmente spiegazioni».
Ha scelto di compiere un viaggio sul campo, di lasciar perdere biblioteche e facoltŕ universitarie, e di trovare le tracce vere della memoria che sono
rimaste in quelle regioni. Ne č uscito .Terra turca., pubblicato da EDT, nella collana .La biblioteca di Ulisse., un viaggio, come dice il sottotitolo, .fra i
dimenticati della storia turca.. Si trasferisce cosě a Varto, una paese dell'Anatolia sud-orientale, e lě parte per i suoi incontri, mescolandosi .ai
derelitti della terza classe., certo che da loro avrebbe ottenuto «la storia, nuda e cruda, dei loro amori, delle loro perdite e dei loro peccati».
Č quello che racconta in questo libro, definito dal Premio Nobel per la letteratura, Orhan Pamuk, «un libro scritto magnificamente, coraggioso e molto
personale», che č anche stato finalista all.Orwell Prize 2010 che riporta alla luce i fatti dolorosi e spesso poco conosciuti legati al genocidio degli armeni e quelli ancora meno noti, legati alla difficile convivenza tra le diverse etnie (curdi e aleviti) e lo Stato Turco. De Bellaigue restituisce la voce a una memoria lontana, sfocata, ma ancora viva, attraverso le figure dei dimenticati, rintracciati anche al di fuori della Turchia, in Iran e perfino in Germania per raccogliere i racconti dei figli degli armeni e dei curdi che avevano scelto di emigrare.
Un diverso modo per descrivere .la parodia della storia e della memoria. di chi continua a sostenere l.inesistenza del genocidio e di affermare che «i massacri sono avvenuti davvero, a centinaia, piccoli e grandi, e le ossa delle vittime piano piano sono penetrate nel terreno».

G.C.

 
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