Zatik consiglia:
Iniziativa Culturale:

 

 

il racconto dell'estate da Corriere della Sera- Sospirolo e i nonni a Ferragosto
Antonia Arslan

«Ma Carlo, non hai ancora cominciato a mangiare l.uovo - disse nonna Virginia seccatissima - di questo passo non arriveremo mai in tempo alla Messa, perché oggi dobbiamo andare più lontano del solito, alla hiesona di Sospirolo. Non ti vergogni? Oggi è festa grande, e guarda i bambini, sono già tutti pronti».
Nonno Carlo sbuffò, agitando per aria il cucchiaino. «Arriverò un pò in ritardo - disse solennemente - pazienza. Voi intanto muovetevi, aria!», e tuffò il cucchiaino nell.uovo alla coque che aspettava sul tavolone dell'anticucina.
Noi eravamo infatti tutti lì, già pronti, tirati a lustro dalle mani svelte e dalle occhiate severe della nonna, che ci spinse fuori nervosamente. Ma io rallentai il passo e mi fermai un momento dietro gli altri. Avevo uno scopo.
Guardare il nonno mangiare il suo uovo, quello per me era un momento magico.
Quanto avrei voluto avere anch.io un uovo alla coque ogni mattina! Soprattutto mi piaceva il delicato cric del cucchiaino che rompeva il guscio, e poi vedere i piccoli frammenti bianchi depositati tutto intorno al piattino, e infine il momento glorioso in cui il cucchiaino usciva fuori tinto di rosso, e il primo goloso boccone di tuorlo veniva appoggiato dal nonno su un pezzetto di pane abbrustolito. Nessun bambino poteva avere l.uovo, riservato al padrone di casa.
Tuttavia, di solito il secondo bocconcino toccava a me, se ero nei paraggi.

Nonno Carlo, ingegnere sognatore, mi viziava spudoratamente, sopportando allegramente il biasimo dell'intera famiglia. Così anche quel giorno, quando si accorse che ero rimasta sulla porta, mi strizzò l.occhio e sussurrò: «Fermati con me. Ti do un po. del mio uovo e poi ce ne andremo a Messa insieme, se vuoi». Io amavo moltissimo il fatto che lui non mi ordinava mai niente, mi diceva sempre «se vuoi» quando mi proponeva di fare qualcosa insieme: andare a prendere il giornale, fare la passeggiata da Susin a Sospirolo e ritorno, gettare un sasso ogni dieci passi nella cunetta che correva a fianco della strada grande, andare a San Lorenzo sulla collina a vedere le stelle. Non parlavamo molto, noi due. Però stavamo bene insieme, il vecchio reduce dalla Grande Guerra, sopravvissuto ai gas ma coi polmoni deboli, e la bambina felice dalle gambette robuste che correva sempre e sapeva a memoria molte prime pagine del Corriere dei Piccoli. Ci rispettavamo, fiduciosamente. Ci davamo ragione a vicenda. A volte il nonno perfino mi chiedeva consiglio, e non ho mai saputo se lo faceva apposta, per farmi riflettere sulle cose e imparare a ragionare con la mia testa, oppure se davvero ci teneva al parere di una bambina curiosa. Quel giorno naturalmente mi fermai con lui, deliziata. Mangiai il mio boccone di uovo col pane abbrustolito, poi ne chiesi un secondo, poi mi pulii la bocca col tovagliolo del nonno e lo rinfilai nel suo anello di legno con sopra inciso «Carlo Marchiori, 1918 - Ricordo». Infine ci avviammo a piedi, mano nella mano,giù per la lunga discesa che dalla villetta dei nonni a Susin portava al paese grande di Sospirolo e all.enorme chiesa di pietra in fondo alla valle. Ma quando passammo, dopo la fila di casette sulla destra, intorno al grande muro curvo sul quale campeggiava in lettere cubitali la scritta dell.epoca della guerra d.Etiopia, che nessuno era riuscito a cancellare e tutti i bambini leggevano solennemente ogni volta, il nonno guardò l.orologio e impallidì sotto la barba. «Mamma mia, siamo davvero in ritardo, cosa dirà nonna Virginia! - esclamò - corri corri bambina», e cominciò a strattonarmi per farmi andare più veloce. Arrivammo ansimanti, entrammo piano piano e ci nascondemmo in un angolino in fondo.

Era il 15 di agosto, e la chiesa era piena di vivaci colori, di gente vestita a festa, gruppi di parenti e di amici che riempivano compatti file e file di banchi. Tutti, mi parve, si voltarono a guardarci con una vaga aria di biasimo, ma il nonno fissava il nulla davanti a sé, fingendo di non vedere nessuno, e io lo imitai. Lontano, si scorgeva la nonna che, alta e solenne, col suo velo ricamato sulle spalle, sedeva nel primo banco, circondata dai miei fratelli e cugini. Mia madre, col suo chignon d'oro ben acconciato, stava dietro, senza velo in testa. La maestosa zia Agnese, col piccolo marito Giuseppe e un paio di nipoti, sedeva anche lei nel primo banco, ma dall.altra parte. C.erano tutti, eccettuati noi due; e le spalle di nonna e mamma, ben diritte, indicavano senz'ombra di dubbio che erano seccate e meditavano fulmini e vendette. Non mi facevano paura: sapevo come cavarmela con loro, evitare le punizioni, scappar via nella valle verso Maras con Lina, la mia amica del cuore. Ma poi improvvisamente mi accorsi che, seminascosto dietro la mamma, qualcosa brillava nella gloriosa luce d.agosto che attraversava la grande navata, qualcosa che mi destò un immediato, nervoso bisogno di fare la pipì e di nascondermi da qualche parte. Era il cranio lucido dell.altro nonno, Yerwant l.armeno. Quando era arrivato? Come mai non ne avevo saputo niente? In casa non era venuto, né aveva telefonato, altrimenti, curiosa com.ero, e capace di infilarmi silenziosamente dappertutto per scoprire i deliziosi segreti dei grandi, me ne sarei accorta.
Probabilmente era venuto su in montagna la mattina stessa, con Antonio, l'autista, che infatti scorsi tranquillamente seduto in fondo alla chiesa. Mi morsi pensierosamente la nocca del pollice. Mi trovavo davvero, pensai, con un grosso problema.

Nonno Yerwant era tanto più difficile da maneggiare dell.altro, e poi andava molto d.accordo con la mamma, che era visibilmente arrabbiata e certo gli aveva già raccontato della mia assenza. Girava con un bastoncino col manico a forma di testa di levriero, che manovrava con elegante perizia, e per noi era il simbolo stesso di un.autorità indiscussa. Io volevo disperatamente essere importante anche per lui. Mi pareva una persona speciale, così esotico e pieno di segreti com.era, e tutti lo guardavano con reverenza; lui aveva parenti dappertutto nel vasto mondo, che arrivavano ogni tanto parlando francese, e una stanza chiamata fumoir, proibitissima a tutti noi, che gli serviva per fumare da solo. Mi incuteva un notevole timore, anche se negli ultimi mesi aveva cominciato a guardarmi come una persona umana, e aveva raccontato proprio a me,e solo a me, le storie della sua infanzia, della sua mamma dalle gote di pesca e dell.Armenia, il suo Paese Perduto. Mi sentivo anche molto protettiva nei confronti di nonno Carlo. Lui si trovava spesso nei pasticci con mamma Vittoria e la nonna per via di me, e di come mi viziava. Spesso le due signore, alleate solo in questo, profetizzavano sul mio capo orrende sventure: i miei fatali capricci mi avrebbero portato diritta in un orribile collegio. «E poi - disse mia madre una volta, come citando il culmine del vizio - non vuole portare le scarpe bianche, le sporca subito apposta». La nonna assentiva gravemente. Ma quel giorno sembravano avermi dimenticata. Nessuno si voltò a guardarmi, e io credevo di averla fatta franca quando, al momento della Comunione, non vedendomi in mezzo agli altri bambini, nonno Yerwant si girò, mi trovò in mezzo alla folla e mi guardò fisso. Improvvisamente mi sentii in bocca un sapore metallico di uovo, e tentai invano di deglutire. Avvilita, presi allora la mano di nonno Carlo, avvilitissimo anche lui, e ci avviammo all.uscita. Yerwant ci raggiunse poco dopo. Era più piccolo di nonno Carlo, ma era pur sempre «Il
Professore», ed emanava autorità. Ammiccando nel sole di quello splendido giorno di Ferragosto, lo guardò con un sorriso, poi gli appoggiò la piccola
mano grassoccia sul braccio, e disse: «Fra poco me ne andrò per sempre. Te la affido, ma spero che saprai essere fermo con lei. Ne vale la pena». E poi ci invitò tutti a pranzo. Morì all.inizio dell.autunno. Ma nonno Carlo non ce la fece, ad ascoltare il vecchio patriarca: un.insidiosa polmonite se lo portò via tre mesi dopo. E così io li persi entrambi, e non mangiai mai più uova alla
coque.

Antonia Arslan
16 agosto 2010

G.C

 
Il sito Zatik.com è curato dall'Arch. Vahé Vartanian e dal Dott. Enzo Mainardi;
© Zatik - Powered by Akmé S.r.l.