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050723 - il genocidio degli armeni
Campi nel mondo, il genocidio degli armeni
> di Mariacristina Nasi - 23 luglio 2005
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> Nonostante il rifiuto del governo turco di riconoscere il genocidio armeno, «la dimensione dei massacri testimonia che vi furono, se non proprio un genocidio, uccisioni di massa assimilabili ad un genocidio. I Giovani turchi dell'Ittihad (Comitato Unione e progresso) non hanno infatti concesso scampo alle popolazioni evacuate dalla grande e dalla piccola Armenia (Cilicia)», dalle quali gli armeni, «che pure nel 1915 erano circa 2 milioni, sono quasi del tutto scomparsi». Il genocidio armeno si pone in aperta rottura con la tradizione culturale ottomana: per secoli, infatti, l'Impero ottomano aveva adottato un sistema, che garantiva ampia autonomia alle minoranze dell'Impero, ovvero armeni, ebrei e ortodossi. «Tuttavia, a partire dagli anni 1910-1914, i Giovani turchi si radicalizzarono, optando per il panturchismo, un'ideologia destinata a riunire sotto l'egida della Turchia ottomana tutti i popoli di lingua turca». «Il nazionalismo turco si scontrava però contro due ostacoli, uno fisico, l'altro geostrategico, rappresentati rispettivamente dagli armeni e dall'Impero russo. La prospettiva di un'autonomia armena era percepita dai Giovani turchi come una minaccia mortale da recidere».
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> «Si fa risalire l'inizio del genocidio armeno alla retata di sabato 24 aprile 1915, in seguito alla quale, in due giorni, furono arrestate a Costantinopoli 2345 persone, tra giornalisti, medici, avvocati, sacerdoti e scrittori. Questa élite costituiva la quasi totalità dei quadri politici e degli alti dignitari della comunità armena». Il ministro dell'interno emise, poi, un ordine provvisorio di deportazione, che ufficialmente «doveva rendere più sicure le zone vicine al fronte, procedendo al trasferimento delle popolazioni sospette verso l'interno del territorio»; «la legge prevedeva che le deportazioni dovessero svolgersi nelle "migliori condizioni possibili" verso i deserti della Siria, dove si era deciso di trasferire gli armeni», accusati di atti di tradimento e di separatismo. «Questa legge costituiva un duplice stratagemma: anzitutto distoglieva l'attenzione delle vittime dalle intenzioni reali, che contemplavano lo sterminio, e soprattutto poneva le basi per il successivo atteggiamento di discolpa, una volta compiuto il genocidio. In realtà l'ordine di deportazione dei prigionieri era soltanto illusorio»: numerose prove dimostrano che «furono condotte alla morte anche comunità armene stanziate alla periferia dell'Impero, lontane dalle zone di combattimento», il che rivela la «volontà irrevocabile ed esplicita del governo turco di risolvere una volta per tutte la questione armena».
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> «Nella cronologia del genocidio armeno si possono distinguere quattro fasi, che corrispondono ciascuna a un particolare metodo di sterminio e a una specifica classe sociale. La prima fase coprirà il periodo aprile-maggio 1915 e si concentrerà essenzialmente sull'eliminazione delle élite e dei militari di origine armena»: «i turchi procedettero alla pulizia etnica dell'esercito e dell'amministrazione". "Gli armeni arruolati nei contingenti ottomani furono disarmati: raggruppati in un primo tempo in battaglioni incaricati di lavorare alla rete stradale, quasi tutti saranno giustiziati». La seconda fase coprirà il periodo aprile-giugno 1915, «durante il quale i Giovani turchi tortureranno ed elimineranno a pochi chilometri dai villaggi i notabili locali, i membri dei partiti armeni e, in generale, tutti gli uomini validi e in età per servire nell'esercito. Non tutti furono però uccisi immediatamente: molti presero la via dei convogli e delle deportazioni». Nell'ottica turca, all'inizio dell'estate del 1915 dovevano restare in vita soltanto donne, bambini e anziani. La terza fase riguarda la popolazione civile: più del 40% della popolazione armena residente nell'Impero ottomano alla vigilia della prima guerra mondiale fu deportata e insediata in Siria. Bisognerà aspettare il luglio del 1915 per la quarta e ultima fase del piano, «consistente nell'invio sistematico nei campi di Siria e Mesopotamia degli armeni residenti in Asia Minore, Tracia e Cilicia».
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> Le testimonianze e gli archivi confermano l'esistenza di venticinque campi, cui se ne aggiungono cinque di transito. Essi non assomigliano ai campi di concentramento "classici", nazisti, sovietici o cinesi: non vi sono torri di vedetta, filo spinato, cani, baracche o massiccia presenza di soldati. La loro funzione non è isolare né punire né rieducare né sfruttare manodopera. Dunque non possono «essere definiti "campi di concentramento", ma appartengono piuttosto ad un genere nuovo e unico, che mira a lasciar marcire sul posto per giorni o settimane i detenuti prima di costringerli a marciare verso altre destinazioni, finché i convogli non si riducono a pochi superstiti». «I campi di transito o i centri dove si mandavano a morire i deportati erano semplici spazi aperti, lontani dai centri abitati»; mancavano misure di stretta sorveglianza e di repressione, perché i detenuti erano troppo deboli per ribellarsi, e comunque non v'era possibilità di sopravvivenza per chi cercasse di fuggire attraverso il deserto. «I convogli erano sorvegliati da guardie, reclutate perlopiù in Siria», mentre i guardiani dei campi erano scelti tra gli armeni più poveri o predisposti alla violenza.
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> «Il genocidio degli armeni si è compiuto in un lasso di tempo relativamente breve, dall'aprile 1915 al giugno 1916. In poco più di un anno circa 1 milione 200.000 persone sono state uccise dagli ottomani»; le altre «sono riuscite a sopravvivere soltanto grazie a circostanze fortuite o fuggendo all'estero». Oggi le autorità turche rifiutano di vedervi uno sterminio pianificato, un genocidio. Esso costituisce «un caso particolare nella storia dei sistemi di concentramento. La disorganizzazione evidente, le misure di sorveglianza minime e la mancanza di infrastrutture contrastano con la cura metodica e programmatica che comunisti russi e asiatici, al pari dei nazisti, misero nell'organizzare i loro campi. Tutto concorre a dimostrare che l'unica funzione dei campi turchi era quella di luoghi di morte. Ma la specificità di questo genocidio risiede senza dubbio nelle lunghe marce attraverso l'Impero effettuate dai deportati», il cui unico obiettivo era «provocare la morte in vari modi, sulle vie del deserto o nei centri».
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> Mariacristina Nasi
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V.V

 
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