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23 - marzo 2010- Lettera al Direttore - vigilare che non si ripetano a novantacinque anni di distanza gli errori e le omissioni che condussero a quel crimine del 1915 in Turchia
Comunicato Stampa
Caro Direttore
Il primo ministro turco Erdogan, irritato per la risoluzione di riconoscimento del genocidio del 1915 da parte del parlamento svedese e ancor più per quella della commissione congressuale USA, ha minacciato di espellere 100 mila (su un totale di 170 mila) armeni presenti in Turchia, privi di cittadinanza turca.
Si tratta per lo più di persone scampate al terremoto distruttivo del 1988 o di gente che fugge dalla povertà in cui versa la popolazione in Armenia.

Questa minaccia di nuova deportazione avviene nel bel mezzo di un processo di riavvicinamento dei due Paesi che nel 2009 si erano accordati per stabilire relazioni diplomatiche e aprire i confini, allorquando i rispettivi parlamenti avessero approvato gli accordi di pace.

Erdogan ha agitato lo spauracchio della rottura del processo di normalizzazione con il duplice scopo di tenere a freno le minacce interne di golpe militare e di lanciare un avvertimento agli USA. Chi rischia di andarci di mezzo è gente che - come scrive Segre sul Giornale del 19 u.s. - umilmente tesse la tela comune della nazione turca. Il miglior modo di prendere le distanze, di interrompere la scia, con la barbarie e la ferocia perpetrata dal governo dei Giovani Turchi nel 1915, sarebbe proprio quello di non rilasciare dichiarazioni come quelle del primo Ministro Erdogan. Egli ha poi spiegato agli artisti turchi, che si sono dimostrati turbati da simili dichiarazioni, di voler far capire al mondo occidentale, quanto la Turchia può essere tollerante e umanitaria e di non volere nell’immediato espellere i clandestini. Nell’immediato non suona esattamente come rassicurante. Ed è proprio questo ricorrere alternativamente a minacce e rassicurazioni che preoccupa. Del resto anche il genocidio del 1915 fu preceduto da una serie di azioni più o meno gravi ma tutti di carattere violento. Sono di quei refoli di vento che poi scatenano la tempesta. Non è con le minacce che l’attuale governo turco può convincere che nel 1915 non fu consumato un genocidio, ma piuttosto metterebbe a tacere le accuse contro la Turchia un gesto, un passo in più verso il riconoscimento della presenza culturale armena in territorio turco; si pensi soltanto ai siti archeologici cristiani in terra anatolica e al loro stato di abbandono.
Quanto più la Turchia si mostrerà aperta e disponibile, non irritata verso l’Occidente e gli armeni, tanto più onorerà la propria cultura e riscuoterà simpatie anche da parte di chi chiede ora che faccia mea culpa per il genocidio del 1915. Spetta all’Europa, ai Governi e alle Istituzioni che si sono espresse sul genocidio, vigilare che non si ripetano a novantacinque anni di distanza gli errori e le omissioni che condussero a quel crimine.
Graziella Falconi;
Presidente dell'Associazione di Amicizia Italia Armenia - ZATIK

V.V

 
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