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19 marzo 2010
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Ankara dovrebbe riconoscere i suoi errori, senza reazioni sopra le righe

Per girare pagina, la Turchia chieda scusa agli armeni


di Francesco De Palo

«Non bisogna cercare di ritornare all’origine, perché non si può tornare indietro- diceva Alain de Benoist- Non bisogna fare un ritorno, ma un ricorso all’origine». Per imparare dai propri errori, progettando un’azione politica che faccia meglio di quella di ieri, insegnando ai propri cittadini che la democrazia passa da una ferrea condanna della violenza e del fanatismo, di qualunque specie essi siano. Politico, religioso, ideologico, sportivo. E poi per liberarsi da un peso, per scrollarsi di dosso le scorie di ieri, al fine di proseguire più lucidamente il proprio cammino. Senza strascichi, senza veti postumi, liberi da ingombri di coscienza. E senza ghettizzare le minoranze, quei gruppi numericamente inferiori ma che proprio in virtù di tale peculiarità, possono offrire un valido contributo e meritano, per questo, più rispetto.
Non solo all’indomani della risoluzione della Commissione esteri della Camera statunitense (“il genocidio armeno venne concepito e attuato dall’Impero Ottomano dal 1915 al 1923”), appare una nota stonata il richiamo dell’ambasciatore dagli Stati Uniti da parte del governo turco, ma destano sorpresa anche le gravi parole del premier Erdogan. Interrogato dalla Bbc ha dapprima imputato ad Usa e Svezia di fomentare gli armeni, per poi lasciarsi andare ad una minaccia: «Se sarà necessario dirò loro di tornarsene a casa, non sono obbligato a tenerli nel mio paese». Ma come, proprio in una fase caratterizzata dal riavvicinamento diplomatico fra turchi ed armeni, quando si pensava che una ventata di europeismo e di buon senso potesse essere la medicina ideale per sanare ferite del passato, ecco che il primo ministro scivola così maldestramente.

A cosa serve negare, stizziti, incrinando rapporti che invece potrebbero portare benefici? E per cosa poi? Per alzare le mani, ignorando colposamente il proprio passato? È di pochi giorni fa l’arresto in Turchia di alcuni alti gerarchi militari pronti ad un colpo di stato. Un altro segnale di malessere, preciso, che si insinua come un macigno nello stagno euromediterraneo, già falcidiato dalla crisi economica della Grecia e dalle assurde provocazioni tedesche («Atene venda il Partenone o le isole Cicladi per risanare i bilanci»). «Nel destino del Mediterraneo- diceva Giorgio La Pira- la tenda della pace».

L’intelligenza europeista del governo di Ankara dovrebbe farsi avanti proprio in questi frangenti, anziché spargere veleno. Per stimolare chi ha l’obiettivo di avvicinarsi all’Europa a fare un passo indietro, così come fatto dalla Germania in occasione dell’Olocausto. Professare delle sincere scuse per fatti storici incontrovertibili, dando in questo modo una sterzata decisiva verso il processo di democratizzazione costituzionale, imprescindibile per modernizzare il paese. Quest’ultimo, risentito, avrebbe dovuto cogliere l’occasione per fare i conti con il proprio passato e chiudere definitivamente una pagina – triste – della storia nazionale, così come altre ne sono state scritte da altri paesi di tutto il mondo. Ed evitare inutili isterismi, sintomo del profondo scontro interno tra laicismo ed slamismo.

Un irrigidimento che non fa bene e che riguarda fatti ormai appurati: in occasione del primo conflitto mondiale, infatti, circa un milione e mezzo di armeni vennero massacrati dal soldati dell’Impero Ottomano. Mentre i turchi sostengono che si sia trattato di 300mila morti per una guerra civile, il popolo armeno parla apertamente di genocidio, sostenuto da testimonianze dirette. Oggi, in prossimità dell’anniversario di quel sangue versato, il passo di un’ammissione reale del genocidio, termine peraltro vietato da una legge turca, sarebbe un punto segnato a favore della Turchia. E non l’inizio dell’ennesimo braccio di ferro, che rischia di complicare tutto.

Certo, la serie di sforzi istituzionali posti in essere della Turchia in questi anni hanno visto la luce solo in parte. Frenati proprio da una sorta di zavorra pesantissima, quei militari che ad Ankara hanno ancora un peso specifico non da poco. Accanto alla mancata ammissione del genocidio armeno vi sono però altre emergenze strutturali. Si pensi, in prima battuta, al mancato rispetto delle minoranze religiose, che non offre il sufficiente spazio di manovra a credi numericamente minori. Altra nota dolente l’assenza di rappresentatività parlamentare per il partito curdo, con traversie non indifferenti, senza dimenticare i diritti civili delle donne non ancora focalizzati anche sotto l’aspetto legislativo.

Oltre ad una precaria indipendenza di alcuni mezzi di informazione, troppo spesso appiattiti su posizioni piuttosto aggressive. Un quadro che invece meriterebbe rapporti internazionali più fluidi e soprattutto atteggiamenti distensivi. Quando il ministro degli esteri turco fa dire al suo portavoce che «ci saranno conseguenze, gli americani sanno benissimo cosa rischiano», sembra quasi sventolare la bandiera del conflitto in Iraq come separè ad un fatto storico accaduto e, quindi, incontrovertibile. Ma che si vuole ancora ignorare o cancellare. Se da un lato questo appare come un atteggiamento sopra le righe, del quale al momento non si sente il bisogno, dall’altro non sarebbe neanche saggio rammentare in eterno ad Ankara i suoi errori.

Senza dimenticare che le minoranze rappresentano una ricchezza, in quanto sono proprio i personaggi minoritari che, trovandosi in minoranza, si sforzano di proporre alternative all’attuale. Chissà che il premier turco non possa trovare giovamento nel leggere le pagine del volume di Goffredo Fofi La vocazione minoritaria, dove il critico italiano illustra, tra l’altro, che scopo delle minoranze è di mettere «zucchero negli ingranaggi, sperimentando modelli più sani, ed evitando che siano conquistati dall’autoconsolazione».
E allora potrebbe essere utile ricordare quelle parole di Churchill, «è un peccato non fare niente col pretesto che non possiamo fare tutto». È ovvio che i dissidi della Turchia con gli armeni, i greci, i ciprioti, i curdi non potranno essere sanati in un batter di ciglia, ma è altrettanto vero che una volta tanto un buon punto di partenza potrebbe essere rappresentato da un attimo di silenzio. Giusto il tempo di fare ammenda dei propri errori, prima di ricominciare. Basta poco.
19 marzo 2010

G.C.

 
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