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13 marzo 2010 «Un tabu č caduto» si rallegra Markar Eseyan, cronista al quotidiano indipendente di Istanbul,
le tre linee rosse da Le monde diplomatique del febbraio 2010

«Un tabu è caduto» si rallegra Markar Eseyan, cronista al quotidiano indipendente di Istanbul, Taraf, e al settimanale armeno Agos. «Oggi, possiamo finalmente riconoscere il passato. La questione del genocidio armeno era una delle tre linee rosse, con la questione curda e quella cipriota. L'Akp [Partito della giustizia e dello sviluppo] ha avuto il coraggio di affrontare queste
linee e di andare oltre. In un colpo solo, è riuscito a trasformare la visione che la Turchia ha di se stessa e aprirla sul mondo». Eseyan è uno dei cinquantamila armeni rimasti in Turchia: la sua famiglia è originaria di Sivas, in Anatolia.
Cosa pensa dei due protocolli firmati il 10 ottobre 2009 da Turchia e Armenia, che prevedono relazioni diplomatiche tra i due paesi e invitano all'apertura della loro comune frontiera? «Molti armeni della diaspora non vedono l'apertura con l'Armenia come un vero cambiamento ma come una semplice misura pragmatica.
Ma non hanno la nostra esperienza.
Spero che si tratti di un inizio e non di una conclusione.» Rimane la questione del Nagorno-Karabakh: Ankara vuole che Erevan ritiri le sue truppe da questo territorio e da altre zone sottratte all'Azerbaigian (1). Questa dinamica esterna è stata seguita da sviluppi interni. L'assassinio, il 19 gennaio 2007, del giornalista armeno Hrant Dink, accusato, come lo scrittore Orhan Pamuk e altri, di aver «insultato l'identità turca», secondo i termini del famoso articolo 301 del codice penale, ha suscitato un dibattito vivace. Circa 100.000 persone hanno assistito ai funerali, chiedendo l'annullamento di questo articolo, il quale è stato modificato il 30 aprile 2008. «Sebbene non possiamo parlare di genocidio né dire che un milione e mezzo di persone sono state uccise - afferma Eseyan - il dibattito diventa sempre più libero e ci sentiamo meglio.» A proposito di Cipro, in Turchia si ritiene che il governo abbia fatto quello che poteva e che il problema gli sfugga. Dopo anni di blocco e di dissensi interni, il governo dell'Akp ha sostenuto il piano di pace dell'Onu.
Il 24 aprile 2004, i ciprioti turchi hanno votato «sì» (per il 64,9%) al referendum in virtù del quale i due stati - ciprioti turchi e greci – sarebbero stati federati e sarebbero entrati nell'Ue come Repubblica unita di Cipro. I ciprioti greci hanno votato «no» (per il 75,83%) e, una settimana dopo, Cipro è entrata nell'unione senza la parte turca. Tenuta in disparte da Sarkozy e Merkel, la Turchia ha riposto le sue speranze di soluzione del problema nel primo ministro greco nuovamente eletto, Georghios Papandreu, dirigente del Pasok (Movimento panellenico socialista). Ma le difficolà permangono, aggravate dall'intransigenza di certi militari turchi. Yavuz Baydar, cronista del giornale Today's Zaman, considera la vittoria di Papandreu alle elezioni del 4 ottobre 2009 un «cambiamento positivo: abbiamo adesso due partiti pragmatici, entrambi diretti da due uomini forti che dispongono di maggioranze stabili e favorevoli a una soluzione. La Turchia e la Grecia, con il Regno unito – le potenze garanti a Cipro - devono ora spingere congiuntamente in questo senso».
Ma, per questo, bisognerebbe che l'Unione accettasse di impegnarsi, in particolare nei negoziati che sono ripresi in gennaio. Infine, c'è l'apertura verso l'Iraq e la sua provincia settentrionale, vale a dire verso il Kurdistan.
Essa rafforza la sicurezza e comporta ricadute economiche e sociali, in una regione che ancora poco tempo fa, rappresentava una fonte di instabilità per la Turchia e una retrobase per il Pkk. Ma la sua importanza sta soprattutto nelle sue ripercussioni sulla situazione interna. Il governo ha capito che deve disinnescare le tensioni per porre fine alla violenza nel sud-est della Turchia, a maggioranza kurda, e per limitare il ruolo dell'esercito.

G.C

 
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