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EDIZIONE dell’associazione DEI GIOVANI ARMENI - 1917
Dott E Badarzjan
Milano 1917 - Via Bocaccio 43
Gli ultimi quarant’anni terribilmente insanguinarono le pagine dei a stona armena, da costringere la niente umana ad associare insieme due idee: Armenia e massacro
La grande maggioranza del pubblico .pensante europeo non co-nosce la vera Armenia; e conosce poco anche l'Armenia creata al congresso di Berlino col fatale art. 61 e messa nominalmente sotto la protezione collettiva dell'Europa, ma votata effettivamente allo sterminio per mano della razza turca, la più ignobile sulla terra Molti credono non aver l'Armenia altro titolo di vanto fuorché la sua religione, non esser gli armeni altro che un popolo massacrabile; un Armenia, insomma, cristiana, ed Armeni imbelli i quali invece di ribellarsi e punire chi li offende e li martoria gemono gridano, protestano.
Gli armeni coscienti provano la più profonda e dolorosa umiliazione che si voglia compendiare l'Armenità nel breve e traffico periodo degli ultimi quattro decenni, ignorandone la gloriosa storia di quaranta secoli.
La nazione armena è l'una delle più antiche, potendo essa vantare un'esistenza di almeno quaranta secoli nei confini di una. Pa-tria II paese Araratiano fu la culla della gente armèna, come lo fu dell'umanità, secondo la testimonianza della Bibbia- «E 1’arca di Noe si posò sul monte Ararat. » Non solo le tradizioni armene più antiche, quelle dei paesi confinanti, ma anche i più recenti studi confermano la grande antichità della razza armena. Le scritture cuneiformi assicurano che un millennio prima dell'era volgare, l'Aràrat e le regioni dintorno si chiamavano già Armenia ed Armeni coloro che vi abitavano. '
Quante nazioni, quanti popoli, regni, imperi, sorsero e caddero per non risorgere più, mentre gli Armeni vissero e vivono tutt'ora, in tanto volgere di secoli, una vita nazionale ininterrotta sempre più salda e sempre più cosciente, malgrado i cataclismi politici che sconvolsero l'Armenia, senza poterne sommergere l'esistenza, cancellare il nome Armeno dal novero delle nazioni vi-venti. Della .gigantesca Assiria contro la quale l'Armenia un dì lottò, non è rimasto che il nome. Si sfasciò il formidabile impero romano che volle ridurre in provincia l'Armenia. Scomparve l'im-pero orientale. Poco rimane del potente impero persiano contro il quale l'Armenia, in passato, combattè e si difese per sei secoli Tramontarono tutti quei popoli e Stati dell'Asia Minore di cui parla la Bibbia e che furono già provincie romane.
Quale nazione come l'Armena ha potuto dimostrare una vitalità così straordinaria e tenace da poter resistere e persistere, quaranta secoli, a traverso tanti e profondi sconvolgimenti politici, , conservando intatti i profondi istinti della razza, mantenendo vive e salde le nobili aspirazioni del genio nazionale, circondata, come essa fu, da popoli pagani o mussulmani, selvaggi, feroci? L'armeno, che oggi si batte contro la belva turca, per la sua libertà, è il medesimo che combattè la Persia pagana, per la sua religione, quindici secoli fa. Non è un'asserzione sciovinistica, una ridicola vanteria raffermare che l'amore della libertà e dell'in-dipendenza fa parte degli istinti vitali dell'ar-meno, è un elemento della sua esistenza fisica.
'Ecco la ragione del suo cosciente martirio secolare ed il perché, uno sterminato numero di mirabili eroi armeni salirono serena-mente il •patibolo sacrificandosi per la loro' patria. Nessuna nazione come l'Armenia ha versato tanti torrenti di sangue, nessun popolo come l'Armeno ha affrontato lotte così lunghe e sanguinose per l'ideale della libertà. Questa è una verità che l'Armeno ha iscritta nelle pagine della sua storia col proprio sangue.
Lynch, profondo conoscitore dell'Armenità, ne è così convinto, che esclama con ammirazione : « Gli Armeni sono i più ostinati nazionalisti che la storia ricordi». Nel quinto 'secolo la Persia pa-gana minacciò gli Armeni di ster-minio se rifiutassero, abbandonando la religione di Gesù, di convertirsi al mazdeismo e di adorare il fuoco. Benché l'Armenia fosse allora sguernita del proprio'eser-cito, gli armeni accettarono il duello mortale rispondendo : «Vieni». dieci secoli dopo il Sultano d'Egitto rivolse l'uguale minaccia all'ultimo Rè Lusignian dell'Armenia minore. L'eroico sovrano, ferito alla faccia in un'epica lotta, accerchiato da forze 'soverchianti, assediato nel proprio palazzo, colla dolorosa visione della perdita del suo trono dinanzi agli occhi, non esitò a rispondere : «Ho im-pugnato la spada per difendere la mia religione e la mia patria, . non per tradirle».
E' una follia questo sublime eroismo che rifulge in ogni pa-gina della storia armena, oppure esso è il genio della razza che si ripete e si perpetua nei secoli? Chi trasse l'Egitto dalla 'servitù turca portandolo a11a sua prosperità presente, fu l'illustre armeno
Nubar Pacha. E chi salvò la Persia, pochi anni fa, dalla tiranni-de. ridonandole la Costituzione, fn mire un armeno, "Eprem Khan, il Dittatore della Persia, il Garibaldi dell'Oriente, come lo qua-lificarono i giornali inglesi. Non furono gli armeni a strappare ' al sultano rosso la costituzione turca?
Nella rp'rima 'ebbrezza della libertà, i Giovani Turchi recan-dosi a baciare la terra che copre le ossa degli eroi armeni, lo con-fessarono. Niazi Bey, albanese, l'unico convinto rivoluzionario ot-tomano, lo proclamò, a Costantinopoli, alla folla plaudente, a In-ginocchiatevi — disse egli — dinnanzi agli Armeni ; furono essi a liberarci dalla vergognosa servitù secolare ». E quei mostri di
Giovani Turchi }o trucidarono dopo pochi giorni, come trucidarono, quei .mostri di Giovani Turchi, venti mila Armeni inermi in Adana pochi mesi dopo la proclamazione della Costituzione-ottomana. Ricchi di gloriose tradizioni che hanno perpetuate nel corso dei secoli, consci del 'proprio valore morale ed intellettuale, gli armeni 'non possono non indignarsi e 'non respingere l'accusa di codardia che loro lancia in Caccia qualche scrittore ignorante o scrupoloso, aggiungendo la viltà alla calunnia, qualifican-doli imbelli ed incapaci di difendere il loro onore, la loro vita. I generali turchi dichiararono pubblicamente essere stati i soldati armeni, .nella Campagna balcanica, i più valorosi dell'esercito ottomano.
E nei Balcani gli armeni non morivano punto per il sacro suolo della loro Patria. La gloriosa Zeitun, questo minuscolo Montenegro, con appena dodicimila abitanti, inflisse nel secolo scorso dodici sconfitte agli 'eserciti ottomani.
Non basta forse questa luminosa prova di valore e prodezza-a sfatare la stupida e calunniosa leggenda sullo scarso coraggio armeno?
La legge dell'inerzia vige nel campo psichico come in quello fisico. Da oltre du'e secoli l'impero ottomano viene periodicamente amputato. Esso, che una volta aveva cento milioni di su4diti si è ridotto ad una semplice colonia tedesca. Nonostante ciò si continua a discorrere del valore e della fine politica dei turchi come della bontà, lealtà, e gentilezza di questa razza igno-bile e feroce, la quale ovunque ha messo piede, non ha portato che massacri e rovine. E a maggiore vergogna dell'umanità ci sono ancora nei paesi dell'Intesa dei turcofili, vittime di mostruoso pervertimento morale. I paesi civili invece di rivoltarsi e di ma-nifestare una generosa indignazione collettiva contro la barbara politica turca, hanno accolto i terribili massacri Armeni come notizie di cronaca, con sterili e pietose esclamazioni di «povera
Armenia ! No, « povera » Armenia, .ma eroica e gloriosa. Non bisogna considerare semplicemente il numero degli Armeni vittime della inaudita ferocia turca. In quest'ultimi anni le perdite armene ascesero a proporzioni così spaventose da far crédere che tutto un popolo si sia votato a un folle suicidio collettivo.
Un popolo non sceglie la via del martirio senza necessità ineluttabili, senza profondi ideali» dominanti la stessa sua esi-stenza fisica. La lotta Armeno-Turca esistente da secoli, si è resa acuta e mortale negli ultimi decenni.
L’antagonismo irreconciliabile, eterno, fra il turco vile, feroce pigro, parassita, distruttore, e l'armeno produttore creatore, laborioso; intelligente, e antico ed ha origini assai remote.
L'armeno è d'origine indoeuropea, avendo un'antichissima pa-rentela di sangue colla gente d'Europa ; egli non ha mai smentito ne questa nobiltà d'origine, ne il genio, proprio delle razze indo-europee, di creazione, di produzione e di civiltà.
La sua origine si collega a nobilissime tradizioni. Il fondatore - della razza armena, il leggendario eroe Haik fu il primo a ribellar-si contro il Bei, tiranno di Babilonia, che uccise in un epico com-battimento. Aram, che riunì sotto il suo scettro i vari piccoli stati araratiani, imponendo il suo idioma ai popoli cui comandava e diede a quelle regioni il suo nome, creando così l'Armenia cat-turò il tiranno, Niukar il meda e l'inchiodò di sua mano per la fronte in cima alla torre di Armavir, a memoria dei posteri ed a ' monito dei nemici. Accanto a queste tradizioni di leggendario va-lore e amore di libertà, non manca alla storia Armena una grazio-sissima leggenda caratterizzante, la purezza dei costumi e santità dell'affetto presso gli antichi armeni. La Semiramide s'invaghisce del principe armeno Ara il Bello, il quale fedele al talamo coniugale, piuttosto che cedere alle impune voglie della lussuriosa Regina, si batte contro l'esercito di lei e cade da valoroso nei din-torni di Van.
Uscendo dalle leggende e tradizioni, noi troviamo sulla pianura d'Arbela il principe armeno Vahè affrontare con un esercito, in-sieme a Dano, Alessandro Magno. L'invasione macedone in Orien-te, introduce nell'Armenia la cultura ellenica di cui gli armeni si innamorano. L'antico legame del sangue ritrova nella civiltà del1’ Ellade le affinità spirituali di due razze che dopo un distacco multisecolare s'incontrano e si riconoscono. Fin da allora l'Armenia 'si sente attaccata ali'Occidente. Già due secoli avanti l'èra volgare il fondatore della Dinastia Armena Ardascide Ardascès I a capo di uno stato armeno indipendente, entra in trattative di alleanza con Roma.
Iniziatasi nella cultura Greco Romana l'Armenia raggiunse l'a-pogeo della sua potenza politico-militare, regnante Tegran II il Grande, il più illustre e potente dei sovrani armeni, il quale con-quistò ,e soggiogò tutti i paesi dal Caspio al Mediterraneo, dal Mar
Nero all'Egitto, all'Arabia, e si fece venerare dai popoli tributari come una divinità, come « II Rè dei Rè della terra ».
Questo orgoglioso imperatore armeno che si compiaceva d'esser servito dai Rè catturati, fu appassionatissimo della civiltà o-reca adorno la sua capitale Tigrainocerte d'arte e monumenti ellenici; accolse nella sua corte pensatori ed artisti greci che vi davano rappresentazioni di tragedie greche.
Roma impressionata della smisurata potenza di si grande e te-mibile rivale mandò in Asia i suoi migliori generali cui Tigran il grande diede molto fil da torcere. Avendo i Romani impostogli di conseagnare nelle loro mani il l'oro mortale nemico Mitrridate il magnanimo sovrano armeno rispose. « Non posso consegnare il mio ospite senza violare le convenzioni internazionali. Però se per questo Roma gli dichiarasse guerra saprebbe difendere il suo ono-re e la sua indipendenza ».
Alla morte di lui avvenuta nel 55 avanti Cristo, la stella dell'Armenia comincia a impallidire. Il suo successore Ardavazt II immortalatesi nelle lettere greche per il suo genio poetico, ebbe una tragica fine. Antonio lo catturò a tradimento per condurlo in Egitto. Con promesse di libertà lo si volle veder inginocchiato din-nanzi al trono di Cleopatra a dichiararla Regina delle Regine.
Lo sventurato e fiero sovrano preferì il carcere all'umiliazione; onde la crudele Regina lo fece decapitare prima che Ottaviano l'avesse potuto rendere al suo trono, risparmiando un'onta al nome di Roma. Ardaschès II se ne vendicò scacciando dall'Armenia tutti i Romani. Nel primo secolo dell'Era cristiana succedette alla Di-nastia Ardascide, quella Arsacida, - un ramo della .casa regnante allora sulla Persia - assicurando all'Armenia quattro secoli d'in-dipendenza e prosperità. In questo periodo della storia avvengono nell'Armenia, due fatti della più alta importanza, determinanti la posizione politico-sociale della razza Armena per tutti i secoli.
Proclamazione cioè del 'Cristianesimo, come religione ufficiale dello stato armeno, alla fine del terzo secolo, e alla distanza di un secolo la creazione dell'alfabeto armeno con caratteri nazionali pro-pri e della letteratura iscritta, eliminando quello assirio e persiano fino allora usati dagli armeni. All'antico legame del sangue, colla gente d’europa, l'Armenia aggiunge prima quello di affi-nità intellettuali abbracciando con entusiasmo la cultura greco-romana; poi l'altro del cuore, della fede; facendosi Cristiano il popolo armeno si distacca definitivamente dall'Asia barbara at-taccandosi all'Occidente, tirandosi addosso l'odio e l'ira dei po-poli asiatici e delle orde mussulmane. L'Armenia, antica culla del-le nazioni europee; l'Armenia, oasi di cristianità e civiltà in mezzo ad un mondo barbaro, si erge fin d'allora baluardo contro le invasioni asiatiche; quest'Armenia, sentinella ed avanguardia del-la civiltà occidentale contro le irruzioni scatenantisi dall'Oriente si sacrifica per fermarle o ammortirne la violenza dell'urto col tramonto dell'ultimo regno armeno, cessata la resistenza armena i turchi selgiudici varcano l'Ellesponto, invadono la Balcania mi-nacciando alle porte di Vienna tutta l'Europa. L'Armenia da' sola potè arginare per quindici secoli le travolgenti irruzioni pagane e mussulmane contro l'Occidente; mentre le varie crociate appena poterono ritardare per poco tempo, l'invasione, ini Europa dei seguaci di Maometto.Il primo urto fra le due civiltà occidentale e orientale, avvenne in Armenia verso la metà del quinto secolo quando la Persia pagana, tento di convertire, colla. forzaglii armeni al Mazdeismo, invadendo 1 Armenia con un potente esercito.
II principe e Generalissimo Vartan Mamigonian lanciò alla na-zione un appello di rivolta e di resistenza. Sessantamila volontari armeni si offrirono pronti a sacrificarsi per la patria e la religione. Nella storica pianura di Avarair essi affrontarono il formidabile esercito persiano. Nella battaglia caddero eroicamente il genera-lissimo Vartan, molti nobili armeni e milletrentasei volontari.
La Persia per allora soverchiando gli armeni per il suo numero provoco nell'Armenia una generale e violenta rivolta; e dopo incalcolabili sacnfizi e perdite da parte sua fu costretta a ritirarsi dal-1 Armenia. Una seconda spedizione col medesimo scopo non sor-tendo i risultati isperati dovette essa venir a patto cogli armeni lasciando loro la più ampia libertà di coscienza, accontentandosi di una sovranità nominale sull'Armenia. La rivolta armena del quinto secolo contro l'imposizione persiana fu non solo una guerra religioso-patriottica ma anche una sollevazione dello ispirito con tro la barbane. La Chiesa Armena santificò gli eroi che s'immolarono per la patria e li commemora ogni anno, colla più grande solennità. L'Armenia quindi, fin dal quinto secolo, piuttosto che cedere alla sopraffazione brutale e confondersi colle razize asiatiche accetto il suo martirio cosciente, e da tanti secoli io sopporta senza vacillare, senza perdere la speranza nella vittoria dello spirito sulla forza materiale. L’Armenia, unica nazione cristiana e civile in latta l'Asia, ha lottato per si lungo tempo; dopo tante catastrofici, vinta ma non doma, senza rinunciare alle sue tradizioni, ai suo caratteri nazionali, mantenendo vivi i suoi sogni e le sue speranze, attende essa adesso l'ora della sua risurrezione miracolosa L’intesa vittoriosa non può negare agli armeni il premio meritato e guadagnato a prezzo di torrenti di sangue: la loro indipendenza, senza disonorare la dignità umana, senza calpestare la giustizia sociale.
Verso la metà del settimo secolo i Califfi arabi abbattuto i Sassanidi, aggettato la Persia e tutti i paesi dell'Asia Minore invadono anche l'Armenia, la quale non piega il capo dinnanzi agli invasori senza ribellarsi. Le continue rivolte armene obbligano i dominatori dell'Armenia a ridarle la sua indipendenza politica.
Quindi di mezzo alle rovine e al sangue sorge la Dinastia Ar-mena dei Pagratidi che regna fino al secolo dodicesimo. L'Armenia raggiunge in questo periodo della storia un elevato grado di civiltà.
Fioriscono il commercio, le arti, le lettere. Ami, capitale dei Pagratidi, un gran centro di cultura, diventa una sorella, un'emula asiatica di Bisanzio ; le rovine di questa Gerusalemme armena dal-le mille e una chiesa testimoniano dell'antica gloria e dell'antico splendore dell'Armenia.
Ma eccoci scatenarsi sul capo dell'Annemia un nuovo uragano.
I turchi selgiucidi con a capo Dugril Begh, dopo aver spazzato via gli arabi, inondano l'Armenia per affogarla nel sangue. La resistenza armena non potè stornare questo flagello. Essi si batte-rono disperatamente contro le sterminate orde barbare.
Nella sola provincia di Vanant caddero eroicamente trenta- grandi nobili Armeni. Alla prima invasione seguirono altre ancora capitanate da Alp Aslan, Melik Scia, Ginghskan, riducendo l'Armenia in un. «mucchio di rovine, massacrando distruggendo radendo al suolo quanto una civiltà di venti secoli aveva faticosamente creato e accumulato. Bisanzio perfida, effeminata, distratta da sterili discussioni teologiche, coni velleità conquistatrice e con intrighi con-tro la chiesa armena, invece di soccorrere l'Armenia, sua alleata per origine, per cultura e per fede, scongiurando l'uragano che stava per scatenarsi anche sul suo capo», con una politica odiosa e scel-lerata ne disperse le forze di resistenza, da non poter più sperare in una ricostituzione di uno Stato Armeno nella Madre-Pataria.: Gli Armeni. trasportarono allora la Casa Nazionale nell'Armenia Minore, nella Cilicia, ove il prode principe Pagratide Rupen fondò la Dimastia Rupeniana,
II regno armeno Cilicio ebbe tre secoli di esistenza, ma dovette continuamente lottare contro le forze mussulmane che l'accerchia-vano d'ogni lato.
Siccome i sovrani armeni non cessavano di coltivare rela-zioni colle potenze cristiane dell'Occidente e dare valido aiuto ai Crociati, i sultani d'Egitto ne affrettarono la fine nel 1393. E gli armeni si sacrificarono ancora una volta non volendo tradire la causa dell'Occidente. Allora cominciò il .periodo più tragico della storia armena. Perduta ogni traccia di autonomia politica, dopo trenta secoli di indipendenza assoluta o 'relativa, gli armeni cad-dero sotto il giogo odioso dei barbari.
Il capo tartaro Langtimur irruisce colle sue orde sanguinarie nell'Armenia Maggiore per spargervi tanto sangue ed accumularvi tante rovine quante non avevano potuto fare tutte le invasioni anteriori prese wsieme. Dal secolo decimoquinto comincia il duello Turco-Persiano .per il possesso dell'Armenia, la quale diventa infinite volte teatro di guerre. Vincitori come vinti si vendicano ogni volta isulla popolazione cristiana, sfogando la loro ferocia e brutalità col saccheggiare la vittima, col massacrarla : finalmente ai turchi riesce a conservare l'Armenia occidentale, restando sotto la dominazione persiana l'Armenia Orientale. Gli orrori che conobbe e visse l'infelice Armenia sotto il doppio giogo musulmano non hanno riscontri; solo le popolazioni gementi, da due anni, sotto l'oppressione tedesca, e ne possono formare una pallida idea. Ec-co come riassume il Sig. Ciobanian il martirio atroce degli armeni d'allora.




«Sotto il giogo dei turchi, come sotto quello dei persiani, la vita del popolo armeno fu un 'perpetuo ed atroce martirio. L’abuso della forza e lo sprezzo della dignità umana non sono mai stati spinti all'estremo quanto presso i mussulmani dominanti su na-zioni cristiane. Le persecuzioni ed i .massacri non erano nulla a confronto delle sofferenze morali che .essi hanno fatto subire ai cri-stiani colmandoli delle più crudeli umiliazioni. I persiani si ri-tenevano insudiciati nientemeno che a toccare gli abiti di un cristiano, e molti armeni hanno pagato colla loro vita il crimine di aver inavvertitamente profanato del loro contatto la persona sacra di un persiano. Quanti preti e vescovi, ammanettati come semplici malfattori, sono stati oltraggiati, gettati in, carcere, torturati per esser spiaciuti a un Khan, oppure per non essersi sot-tomessi coni bastante sollecitudine ai capricci di un signore persiano! Quante volte la Cattedrale di Etchmiadzin, il santuario supremo dell'Armenia, s'è vista trasformare in, stella dai despoti fanatici, i quali per offendere i sentimenti più sacri della nazione vedova della sua libertà, attaccavano i loro cavalli, quando arano di passaggio a Etchmiadzin, per fino mell'interno dell'augusta ba-silica ! E i turchi ! che di più ridicolo della leggenda del turco generoso, tollerante, buono, leale! sì, il turco ha lasciato che l'ar-meno o il greco conservi la sua lingua e le sua religione, perché? Non punto per una larghezza di veduta filosofica, ma perché il cristiano rimanga scartato dalla casta dominante, la serva, la-vori per lei, affinché essi, i padroni, possano condurre ,a loro pia-cimento, la loro vita di guerrieri parassiti e funzionari oppressori. E a qua! prezzo ancora, questa tolleranza calcolata? L'uso delle armi era interdetto ai Rata cristiani, i quali dovevano portane un abito speciale, una livrea di servitù; le loro chiese dovevano essere piccole, umili ; era proibito il suonare le campane ; it turco buono si divertiva talora a condurre per le vie il calice attaccato al collo di un cane.
Alla prima esplosione del furore fanatico, il massacro ed il saccheggio erano immediatamente accompagnati coi più vili ol-traggi agli edifici sacri; e la tolleranza turca si manifestava colle scene più orgiastiche e più scatologiche svolgentisi nel seno delle chiese infelici. Il fatto, del resto, del lasciare ai cristiani la loro lingua e la loro religione no» era che uni favore, una grazia che il padrone musulmano poteva togliere ad ogni istante. In qualche città come a Cesarea, i turchi hanno tagliata la lingua a gran parte della popolazione armena maschile affinchè, i bambini allevati nel terrore del padrone musulmano non parlino che il turco. I più belli, i più forti e i più bravi dei giovani cristiani erano co-stretti ad abbracciare l'islamismo ed entrare nel corpo dei gianizzeri. Quanti armeni decapitati dopo esser stati orribilmente tor-turati per aver rifiutato di apostatare ! La nostra antica poesia po-polare è piena di lamenti consacrati a questi martiri eroici che mantenevano la prodezza dell'anima della razza colla loro sublime fedeltà alla fede e alle tradizioni dei loro padri. Legge, giu-stizia, sicurezza erano cose sconosciute. La testimonianza di un cristiano non aveva alcun valore dinanzi ai tribunali contro quel-la di un mussulmano. La vita, i beni, l'onore del focolare d'ogni Cristiano erano, ad ogni istante .alla mercé del primo mussul-mano venuto. Era una sventura, oimè, per i genitori l'aver'belle figlie, poiché esse erano costantemente esposte a esser tolte rapite e rinchiuse in un harem qualunque, per diventare il giocattolo doloroso d'elle passioni di un ignobile bruto. E quali tenebre d'ignoranza, di inebetimento, di degenerazione intellettuale sparse imposte da questa tribù di conquistatori saccheggianti, pigri e ste-rili, nei paesi, ove una civiltà tanto .bella e vivente era fiorita un tempo. Ogni scienza era considerata come cosa diabolica e male-detta, perché venuta dall'Europa, dal paese di quei cani di giauri.
La profonda sofferenza di questa 'nazione sentendosi sola, ab-bandonata in quest'angolo remoto, lontana dall'Europa, in mezzo a razze selvaggi e feroci , chinata sotto il giogo abominevole di una tirannide potente, contro la quale ogni tentativo di rivolta non poteva che provocare catastrofi; la sofferenza pungente di questa antica nazione, la quale memore del suo nobile passato, sente la più dolorosa vergogna delle condizioni di patria, ove un destino crudele l'ha gettata, non si può esprimere!
Ecco un'antica poesia popolare anonima esprimente questo stra-zio senza pari del popolo armeno.
Piangete chiese spose del Celeste Sposo, Sorelle fratelli ed amici che siete ai quattro angoli del mondo, Città e villaggi, popoli e nazioni che esistete sulla terra, Ove sono i satrapi dei Rè del paese dell'Ararat? Ove sono i principi che marciavano in testa ai soldati .che li segui-vano? Ove sono le truppe in arena e le legioni schierate in battaglia? Ove sono i grandi sui loro divani e la tavola colma di beni ? ^ Ove sono i nobili nei loro palazzi e i delfini nei loro giardini? Oimè! tutto ciò ci fu rapito ed è scomparso senza lasciar tracce!
E 'non si creda che tanta odiosa e avvilente servitù avesse svelto dal seno della nazione il sentimento dell'emancipazione. In alcune regioni dell'Armenia Occidentale come a Sassun, Hadijn, sopratutto a Zeitun, avendo potuto gli armeni conservare l'uso del-le armi, mantennero nuclei di semiautonomia. Fin dal secolo de-cimo settimo i Melik o principi di Gharabakh pensarono di innal-zare la bandiera di rivolta contro la Persia. Nel 1720 il principe David Begh di Gharabakh, scacciandone i persiani si proclamò indipendente. Il principiato morì colla morte del suo fondatore. Gli armeni invitarono allora la Russia a occupare l'Armenia, avendo promesso Pietro il Grande come l'imperatrice Caterina II di rico-stituire il regno armeno. Col valore dei Condottieri Armeni e colla valida cooperazione del popolo armeno " gli eserciti russi in varie guerre vittoriose conquistarono l'Armenia Orientale.
Intanto il turco incrudeliva ed opprimeva ognora più gli armeni restati sotto il suo dominio. La Russia vittoriosa nel 78 inserì nel trattato di S .Stefano l'Articolo 16 a favore degli armeni, il quale articolo se fosse stato realizzato li avrebbe liberati dal giogo turco. Al Congresso di Berlino le potenze sostituirono alla protezione efficace della Russia l'articolo 61 col quale garantivano collettiva-mente le riforme armene. La Turchia anzi che realizzare le riforme,



procedeva col massimo rigore nel suo progetto di distruzione dell'elemento almeno. La classe intellettuale Armena incitò il po-polo a organizzarsi e difendersi. A- questo risveglio nazionale ri-spose il Sultano massacrando alcune migliaia di armeni e distruggendo 27 villaggi armeni. Dopo 17 anni di criminosa apatia, fra le potenze firmatarie del trattato di Berlino, Francia, Russia ed Inghilterra pensarono finalmente a ricordare alla Porta le riforme pi omesse. Il 30 settembre del 1895 gli armeni fecero una dimostra-zione pacifica a Costantinopoli reclamando l'esecuzione delle Ri-forme; la dimostrazione fu repressa atrocemente.
Nei due mesi successivi il Sultano massacrò 300.000 armeni innocenti ed inermi devastando tutte le città e i villaggi armeni. Nel febbraio 1896 gli ambasciatori misero sotto gli occhi del Sultano ' lo spaventevole .numero delle Vittime.
La protezione collettiva delle potenze controllava, invece che Riforme, l'esecuzione di si mostruose ecatombi. Un pugno di au-daci intellettuali armeni s'impossesso, nel 96, della Banca Ottoma-na, allo scopo di farla saltare in aria e colpire così la borsa la parte più sensibile dei governi europei che sfruttavano, col silenzio, i torrenti del sangue armeno. Gli ambasciatori s'affrettarono a Fregare i rivoluzionali di sgombrare la Banca, garantendo la p-on-ia esecuzione delle riforme (famose. Non appena furono partiti quelli, 10.000 cadaveri armeni coprirono le vie di Costantinopoli. Con audacia inaudita nella storia turca gli armeni se ne vendica^ rono attentando alla vita dello stesso Abdui Hamid. Per l'espio sione delle bombe caddero alcune diecine di Turchi ; il sultano ros-so rimase illeso, ma fu talmente terrorizzato da non osare di toc-care, per questa volta, alcun armeno. Il martirio armeno continuava. Nel 1907 i Giovani Turchi chiesero l'aiuto dei rivoluzionari armeni per stabilire in Turchia un 'regime costituzionale. Ebbero l'uno e l'altro. E per compensare gli armeni, del loro aiuto ammucchiarono pochi mesi dopo 20.000 cadaveri armeni in Adana. La Russia, la Francia e l'Inghilterra imposero, nel 1914 finalmente alla Porta, malgrado la viva resistenza della Germania l'esecuzio-ne effettiva dell'articolo 61.
Sopravvenne questa guerra mondiale. Per poter invadere le province Caucasiche i turco-tedeschi tentarono di stringere una alleanza cogli armeni, promettendo a questi di creare uno stato armeno autonomo, annettendo all'Armenia Orientale alcune pro-vince dell'Armenia Occidentale ; uno stato armeno insomma tipo Polonia. Gli armeni respinsero la proposta non volendo commet-tere una fellonia contro le potenze liberali , specialmente contro la \ Russia. I turco-tedeschi se ne vendicarono massacrando mezzo milione di armeni, deportandone oltre un milione nei deserti della Mesopotaima. Ciò che tutte le invasioni barbariche anteriori non poterono effettuare il turco lo fece coll'incitamento e coll'aiuto de1 Kaiser.
L'Armenia costretta durante lunghi secoli a difendersi con-tro l'Oriente, quindi in lotta continua con le razze a lei ostili non esaurì tuttavia tutte le sue energie nelle lotte cruenti, ma seppe creare una civiltà armena, distinguendosi nel remoto come nel prossimo passato e nel presente in ogni campo dell'attività umana.
La letteratura e l'arte dell'Armenia pagana, disgraziatamente si è andata perduta; non ne possediamo che tracce scarse ma nota-bili. Ma dal fatto stesso gli ajmeni avendo ai primi secoli dell'era volgare una lingua propria, ricchissima, capace di dare la più bella traduzione della Fibbia, a dire dei competenti, possiamo dedurre che dovevano aver anche una letteratura ricca e varia. Una lin-gua perfetta, formata, non può esistere senza una copiosa lettera-tura e letterati compiti.
Le relazioni dei sovrani armeni con Roma, le guerro-armeno-romane avevano messo gli armeni in condizioni d'i poter approfit-tare della civiltà, in lato senso, che irradiava da Roma .Iniziatisi alla cultura greco-rmana, fin dal terzo secolo gli armeni si recava-no nei maggiori centri occidentali per apprendere e a loro volta illuminare la propria Patria. Al quinto secolo tutti i filosofi pagani e cristiani erano noti agli armeni. Uno dei primi e principali au-tori di questo secolo, Eznig Koghpatzi, vescovo, ha scritto una pregevolissima opera filosofica per confutare non solo le false cre-denze della Persia pagana, ma anche alcune teorie filosofiche delle scuole elleniche. Aristotile, Plafone, Pitagora, epicurei e stoici sono fieramente combattuti da questo zelante religioso armeno.
Quando la Persia aggredì nello stesso secolo l'Armenia, questa aveva già una salda coscienza nazionale e le era intellettualmente assai superiore, onde si potè difendere eroicamente. Ad esaltare quest'epica lotta dell'Armenia sguernita contro la Persia potente sorse Elise, dottore in teologia, il più squisito ed elegante poeta epico del quinto secolo. Testimonio oculare delle gesta eroiche dei suoi connazionali, Elise ha cantato in sette poemi l'eroismo dei combattenti, il grande spirito di sacrificio della nobiltà e del po-polo sopratutto il sublime martirio morale delle nobili dame e donzelle armene.
Dopo Ghazar Parbetzi, insigne storico, lo scrittore armeno più illustre che maggiormente esaltò l'amor patrio, fu Mosè da Coren poeta ed i storiografo, noto universalmente. Egli animò le pagine della sua storia di un potente soffio poetico .e patriottico, evocando il grande e glorioso passato armeno, ispirando alla nazione una fede illimitata nei suoi destini futuri. Il genio nazionale si creava di questo modo, una forza morale di difesa 'e di resistenza più efficace della stessa potenza politica che accennava a declinare ; e non fece opera vana ; poiché, mentre fin dal secolo decimottavo, quando cioè l'impero ottomano rappresentava ancora una forza formidabile, se ne .discuteva nella politica europea, come di un organismo malato destinato a scomparire tosto o tardi, agli armeni invece arrideva la speranza di risurrezione.
Malgrado le condizioni politiche tristissime dell'Armenia, il movimento intellettuale armeno non .s'è mai arrestato. Nel secoli undecimo si nota un vivo fermento in alcuni pensatori armeni; si determina cioè una ribellione di coscienza contro alcuni dogmi cristiani. Una setta religiosa predica audacemente principi che solo parecchi secoli dopo sorsero nel seno della chiesa romana sotto il nome di Riforma. Una pronta ed energica azione del clero potè soffocare nella -Sua origine quel movimento religioso. Non è improbabile che Lutero ne abbia avuto conoscenza come positi-vamente si è accertato che l'architettura così detta araba e i fon-damenti dell'architettura gotica sono pure creazioni del genio armeno, introdotti e diffusi in Europa dagli stessi armeni emigrati in Polonia, Russia, Ungheria.
La mente però che illumina colla luce abbagliante del suo ge-nio poetico il secolo undecimo è Gregorio da Nareg, mistico monaco, santificato dalla Chiesa armena. La sua apparizione nel pe-riodo più tragico della storia armena dimostra luminosamente che i barbari potevano uccidere il corpo, non l'animo degli armeni. Gregorio da Nareg, il Dante armeno — è uno dei maggiori geni dell'umanità ed il più spirituale, come afferma il grande poeta russo Brussoff, ed è anche il più puro ed il più forte rappresentante del misticismo e lirismo armeno. In una prosa vigorosa e rit-mica egli ha illuminato il 4ramma dell'anima umana dell'epoca cristiana con irraggiungibile profondità ed esaltazione di senti-menti religiosi. Nessuno tanto si è lacerato l'animo e macerato il corpo, quanto lui, nella lotta contro il peccato.
Il secolo decimoquinto da all'Armenia il poeta più dolcemente ' secolare, Naha'bed Kuciag, il divino cantore dell'amore, della donna, della bellezza. Egli; Taerita un piccolo posto accanto ai più grandi poeti per il sentimento, per l'effusione schietta, limpida, per la tenerezza quasi infantile e mirabile delle sue quartine. Così scrive Mercure de France, sulle poesie del Kuciag tradotte da Ciobanian.
« L'aver dato alle lettere un'ammirabile poeta quale Kuciag sarebbe sufficiente di per sé perché la razza armena meritasse uni-versale stima e gli armeni fossero fieri di sentirsi tali. Kuciag non ha fatto che mettere il suo cuore, tutto il suo cuore in canti che sgorgano come fontane, crescono come fiori di montagna, e scin-tillano colla serenità di una stella di notte d'estate. Ma il suo cuore ha una tale dolcezza che non si acquista, ma viene dalla na-tura data a temperamenti singolari. La lira di Kuciag non si piega dininanzi ad alcun sultano, ad alcuna autorità terrena ; l'unico sultano innanzi al quale egli s'inchina e di cui fa l'elogio è « La bel-la fanciulla », « La luna terrestre » di cui il seno fa luce alle stelle. Kuciag non esita a paragonare le attrattive corporali della sua diletta ai sacri oggetti della Chiesa :

II tuo seno è un tempio bianco;
Le tue tette ne sono le lampade accese ;
Mi voglio fare sacrestano,
Per mettermi al servizio del tuo tempio.
Sentite quest'altra quartina tutto oro :
Dacché mia madre 'mi ha messo al mondo
Non mi sono mai confessato ad un prete.
Ogni volta che ho visto un prete,
Ho cambiato strada per evitarlo.
Tutte le volte che ho vieto una bella,
Sono corso braccia aperte incontro ad essa.
Ho fatto della sua gola la mia Chiesa,
E mi sono confessato al suo seno.

Ecco un'altra quartina di grazia luminosa: O luna che ti vanti, m'han detto, di rischiarare il mondo, Eccoti una luna terrestre nelle mie braccia, la guancia contro la mia Se tu non mi credi scosterò la veste che la copre; Ma temo che tu tè ne innamori e tolga al mondo un po' della tua luce.
Gregorio da Nareg e Kuciag non sono Ì soli autori armeni che possano competere coi maggiori "scrittori del mondo. Brussoff considera, per esempio, Nerses Scinorhali, detto il Grazioso, come una delle maggiori figure della letteratura ecclesiastica, affermando che nel secolo decimonono solo Verlaine gli può essere paragonato.
Verso la fine del secolo decimosettimo il monaco armeno Mekitar volendo creare un sicuro rifugio di cultura armena si stabilì nell'incantevole isola di S. Lazzaro, a Venezia, fondandovi un convento; donde uscirono religiosi dotti e patriotti a diffondere la cultura occidentale nell'Armenia. Il poeta armeno più illustre del secolo scorso, Leonzio Aliscian, moto e stimato universalmente nel mondo scientifico e letterario, lanciò, da Venezia, i suoi canti nostalgici d'ardente e doloroso patriottismo, alla nazione commovendo profondamente l'animo della gioventù studiosa. Lo imitarono poeti secolari, come Bescigtascilian, Terzian educati ed i&fcniiti in Italia, mirando tutti a ris vegliare e tenere acceso l'amor patrio fra gli armeni. Testimoni delle eroiche gesta che i combattenti armeni compirono nelle ultime vittoriose guerre russe contro i turchi e persiani, gli scrittori armeni del Caucaso credettero giunta l'ora di scuotere il giogo dell'oppressore mussulmano; e fin dalla metà del secolo scorso predicarono alla inazione apertamente la rivolta armata. Pubblicisti valorosi come Ardziuni, romanzieri e poeti ispirati al più illuminato patriottismo come Apovian, Raffi, Badganian Naibandian si misero alla testa del movimento armeno. Ecco un canto di Badganian che ogni fanciullo armeno impara a memoria :
Taceremo ancora ?
fratelli, taceremo ? Taceremo ancora mentre il nostro nemico contro il petto ci ha appuntata la spada; hi sua omicida spada, e non ascolta punto i la.menti e i .gemiti nostri ? Dite, fratelli ar-meni ! che faremo ? Taceremo ancora ?
Taceremo ancora mentre il nostro nemico tenendoci sospesa sul capo la sua terribile arma, ci ha fatto piangere tanto tanto, .deri-dendo le nostre strazianti proteste contro la sua iniqua condotta? Taceremo ancora ?
Taceremo ancora mentre il .nostro nemico gonfiando l'anima di una insolente tracotanza e bandendo dal cuore la voce della giu-stizia, ci scaccia dalla stessa patria nostra ? .Stranieri, perseguitati dove ci rivolgeremo, fratelli ? Taceremo ancora ?
Se taciamo noi, mentre le pietre, le rocce parlano in vece no-stra, che ne diranno gli uomini ?
Non diranno forse che gli armeni meritavano questo vile stato di schiavitù ? Noi conosciamo gli atti .dei nostri prodi e santi ante-nati, fino a quando taceremo?
Che tacciano i muti, i paralitici, quelli oppure cui è gradito il giogo del nemico. Ma noi che abbiamo un'anima e un cuore valorosi, muoviamo intrepidi .contro il nemico ! Almeno la nostra gloria riconquistiamola colla morte, e taciamo allora.
Più esaltato ed acceso d'amore di libertà è il poeta Naibandian, l'autore dei seguenti focosi versi, che suonano per la gioventù ar-mena come gridi di assalto : Libertà! che il lampo, il fulmine, il ferro, il fuoco tuonino sul mio capo; che il nemico le sue insidie tenda! fino alla morte, fino al patibolo, fino alla gogna dell’ignominioso supplizio, io griderò, io ripeterò senza tregua: libertà!
Bedros Turian dalla lira vibrante d’amore e di dolore, spentosi nei suoi più verdi anni, morì, il sacro nome, dell’Armenia sulle labbra. Ecco una delle poesie ultime del poeta straziato dalla tisi.


IL MIO DOLORE

Assetato di casti desideri
Esausta trovar ogni sorgente
Sentirmi appassito quando l’età infiora,
oh, non è questo che più mi addolora.
Prima che al bacio ardente si arrubini,
pensare che questa fronte diaccia e pallida,
poserà tosto sul guanciale di terra
oh, non è questo m’addolora.
Prima d’aver posseduto un fior vivo
Pieno di grazia e giocondità
Già disposato sentirmi alla morte,
oh, non è questo che più m’addolora.
Né aver vissuto in una tana oscura
Né respirato l’aria intossicata.
E d’ogni parte raccolto l’angoscia,
oh, non è questo che più m’addolora.
Ma aver la patria piagata e tradita,
ramora secco dall’umanità,
morir ignoto senza darle aita,
è questo, ahimè, che mi strazia di più.

Mentre la gioventù armena cresceva ispirata a questi canti il governo turco non tralasciava occasione di accendere vieppiù l’amor patrio degli armeni raddoppiando le persecuzioni e le atrocità contro di loro. A dare unità agli intenti e salda coscienza alle aspirazioni della nazione, sorse Megherditch Krimian, questo Mazzini armeno. Egli fu il più ardente e più fervido apostolo della causa armena. Dal Sultano fu internato sette volte, si rese oggetto di più d’un attentato, organizzato, s’intende dal governo di Costantinopoli. Fu delegato armeno al congresso di Berlino; più tardi esaltato. Per unanime desiderio nazionale, al trono di supremo Capo della Chiesa apostolica armena, Lynch, che lo conobbe personalmente , ne parla in questi termini:”ero colpito della spiritualità e finezza che sono scritte su ogni linea di questa belle figura. Io non mi ricordo di aver visto un volto più bello e attraente; e provavo un fremito di piacere solo ad essergli seduto accanto. L a sua voce è una delle più dolci che io abbia intese e dal suo essere emana una dignità tranquilla, traverso la quale si sente la forza”. Gli fu compagno nel dolore e nella speranza Coren di Lusignian, arcivescovo armeno, pure gran poeta, onorato dell’amicizia di Hugo e Lamartine, e fu delegato anche lui al congresso di Berlino. Egli morì nel ?93 avvelenato d’ordine di Abdul Hamid. In una sua poesia questo grande prelato armeno ha espressi l’animo e tutto l’amor patrio più puro più ardente dell’intera nazione



ECCCOLA ALL’ ARMENIA
Se mi dessero un diadema ed uno scettro di diamante
A tè li offrirei, Armenia, Regina delle Regine,
se mi dessero un mantello di porpora splendente,
Sulle tue spalle io getterei, o Madre, povera Armenia!
Se mi rendessero il fuoco e la fiamma dei giorni della gioventù,
A tè, Armenia, offrirei l'entusiasmo mio; e l'estasi.
Se mi dessero l'infinito corso dei secoli, con amore
Ti darei. Armenia, la vita e l'anima mia.
Se mi cingessero la fronte di una corona di perle,
Preferirei, Armenia, una lagrima degli occhi tuoi.
Se mi concedessero una fiera ed assoluta libertà,
Preferirei, ancora, Armenia, la tua sublime schiavitù.
Se mi dessero per Patria la superba Europa
Tè, Armenia domanderei, tè con i colori tuoi.
Se 'concesso mi fosse di scegliere il soggiorno del mio cuore, direi
Che le tue rovine, 'Armenia, sono il paradiso per me.
Se mi dessero la lira dalle corde d'angelica fiamma,
Tè, Armenia, tè canterei, con tutta l'anima



Tutti questi fervidi voti, queste ardenti rosee speranze furono ahimè, spenti quando il sultano rosso, incoraggiato dalla connivenza del mondo civile, immerse tutta l'Armenia, in un mare di sangue armeno.
Ascoltate questo gemito sommesso, pungente, straziante del Siamanto, del più robusto e profondo genio poetico .dell'umanità
Esule e lontano dalla patria adorata, consunto dall'incurabile nostalgia per la casa paterna, questo immenso cantore dell'epopea rivoluzionaria armena, s'intenerisce e il suo cuore esulcerato e sanguinante di emigrato, così sospira e piange.

CASA PATERNA.
Credi, casa paterna, che dopo la mia morte,
Sul nero delle tue rovine, l'anima mia, quale
Tortorella esule verrà a cantare la sua canzone e
Piangere le sue lagrime di sventurata.
Ma chi porterà, dimmi, chi porterà delle tue sacre ceneri un pugno,
il giorno della mia morte,
Nel mio feretro, a mescolare alle ceneri,
di me cantore della Patria?
Un pugno di cenere, insieme alle mie ceneri
Casa paterna: del tuo ricordo, del tuo dolore,
Del tuo passato un pugno di cenere....
A cospargerne il mio cuore?


Quei mostri di turchi, ahimè', hanno soppresso questa meraviglia del genio armeno.
Leggerò in ultimo alcune strofe di un altro gran poeta armeno di Ciobanian, esule anche lui, da 25 anni a Parigi. Valoroso cri-tico letterario e d'arte, squisito cesellatore di versi, il migliore stilista armeno, primo fra i pubblicisti e propagandista infatica-bile, fu lui, Ciobanian, il primo a squarciare il fitto velo di silen-zio di certa stampa europea corrotta dall'oro turco per restare muta dinnanzi agli orribili massacri armeni.
In una canzone dal soffio Leopardiano egli scrive :

ALLA NOSTRA MADRE PATRIA.
O madre Patria,
Quale malvagia fata tesse il filo della tua sorte?
Chi, vedendoti atterrata e morente
Ricorderà che tu un tempo fosti la vergine
Possente dai fieri e radiosi occhi?
I barbari le mani t'Incatenarono
Essi lacerarono /la tua carne e la contaminarono
E tu diventasti la sanguinante madre dalle mille ferite
Trascinata sulle vie del Calvario...
Dormano in pace i pallidi fratelli che caddero.
O madre, alzati, benedici noi, su noi stendi
Le tue immense braccia. Il nostro sangue si versi
E le nostre vite siano immolate per tè.

Questo popolo di artisti e di poeti, che diede al mondo pittori come Aivazovoski, Sciahinian, attori meravigliosi come Adamian, musicisti come Gomidas, virtuosi, cantanti, ha coltivato con rara abilità anche la musica di un gusto e carattere assolutamente inazionali.
Louis Laloy entusiasta della musica popolare armena ne fa de-gno elogio sul Mercure de France. « Nessuno di noi — egli scrive — salvo rarissimi iniziati, non poteva sospettare neppure la bellezza di quest'arte, che in realtà non è ne europea ne orientale, ma possiede un carattere unico al mondo, di graziosa dolcezza, d'e-mozione penetrante, di nobile tenerezza. Melodie dalle inflessioni delicate, ma precise; ritmi agili, vivi; una musica che viene tutta dal cuore e sgorga come acqua fresca, trasparente e luminosa.
Vi è sole in questi camiti, ma non certo il sole divoratore dei de-serti d'Arabia e della Persia, un chiarore dorato, tutto celeste, il cui ardore è una carezza alla bianchezza delle vette, al verde delle foreste ed ai riflessi dei ruscelli mormoranti. Forse non hanno torto coloro che pongono in Armenia, ai piedi del monte Ararat, il para-diso terrestre » Porrò termine a questa sommaria esposizione della cultura ar-mena, — non ricordando che per nome i poeti armeni Hovhannessian, Tumanian, Issahakian, «Le tre stelle», secondo Brussoff, dell'Armenia orientale, e il più giovane, ma non, meno illustre e geniale, Varoujan il quale fece i suoi studi in Italia che amava come una seconda patria, — recitando il grazioso e bellissimo so-netto del Prof. Adriano Gimorri nel cui nobile cuore il grido do-loroso dell'Armenia ha trovato un eco di dolorosa simpatia. Questo gentile poeta italiano vanta una lontana origine armena e se ne stima onorato:
ARMENIA.
Se mai travolto nell'oscuro gorgo,
Tra i neri grumi del mio sangue io giaccia,
O madre Armenia, ne«e grandi braccia,
La mia recisa gioventù ti porgo.
D'un tuo sangue vetusto esulo sorgo
E tè riguardo e la cruente caccia
Che invermiglia dei tuoi figli ogni traccia
Per ogni dove, O Desolata, scorgo.
Oh, presso i laghi tuoi, lungo le arene
Dei sacri fiumi, alle scerete fonti
Coglier tu possa tue sanguigne rose
Quando le braccia radiose
La nuova libertà cinga a' tuoi monti
Come un amplesso d'iridi serene.




L'Armenia fu sacrificata agli interessi materiali di quelle potenze che avevano il diritto ed il dovere di fare eseguire le Riforme armene, in base al fatale art. 61 del trattato di Berlino. Nel solo anno 1895 le vittime armene ammontarono a 300.000. Ma l'Europa non co-nosce che la cifra di queste spaventevoli ecatombi, non il modo orrendo in cui perirono tanti innocenti.
Il dottor Lepsius, un tedesco puro sangue e fedele suddito del Kaiser scrisse allora un libro, intitolato.

L'EUROPA e L'ARMENIA
(Un atto d'accusa)

La sua testimonianza è dunque inoppugnabile; tanto più che questo uomo dal cuore nobile cita dati e fatti dettagliati.
Ne traduco qui alcuni brani per dimostrare che se le belve tur-che perpetrarono i più orrendi misfatti, l'Europa civile, malgrado impegni internazionali, fu di un cinismo ripugnante e rivoltante, riguardo l'infelice Armenia.
« Non vi è dubbio alcuno — scrive il Dott. Lepsius — che lo sgozzamento degli armeni è stata una festa per i turchi organiz-zata perfettamente dal governo di Costantinopoli. I turchi presto si stancavano decapitando, pugnalando, strangolando, impiccando o sfracellando gli armeni senza armi essenza difesa.
Quindi per mettere un po’ di varietà nel loro mestiere, 'pensarono di arrostirli, impiccarli colla testa in giù, amputare loro le membra per cacciarle in bocca ancora sanguinanti, squarciare loro gli occhi, tagliar gli orecchi, il naso, sfogandosi sopratutto contro i preti che non volevano rinunciare alla religione cristiana. Perciò si mi-sero a scorticarli vivi, ma nemmeno questo procedimento procurava ai turchi gran godimento. Ricorsero a sistemi più spicci. Cosparsero gli armeni di petrolio, dando poi il fuoco. Il turco Abdullah si vantava di aver tagliato con un colpo di spada due teste armene.
Il turco Gefer legò due fratelli insieme e li impalò. Un fornaio di Kosserik aveva conservato come trofei gli orecchi e i nasi di ben 97 armeni, dolendosi di non aver potuto raggiunger i 100; mentre che Hadji Begas l'aveva già raggiunto. Il macellaio di Aintab aveva ucciso e appeso nel suo negozio i corpi di sei armeni.
I Mussulmani di Marach per liberare i bambini armeni rimasti orfani dopo l'uccisione dei genitori li gettarono vivi nel fuoco. A Baiburt i turchi bruciarono in 14 case le puerpere coi loro neonati.
Un turco di Trebisonda non esitò a strangolare i bambini sul seno delle madri. In molti villaggi i turchi sventrarono le madri per strappar loro il frutto del concepimento. Fra 420 cadaveri sepolti nel cimitero di Sivas tutte le donne erano state sventrate a 'segno di croce. A Sciabin Karahissar i turchi fecero uscire dalla chiesa 2000 armeni per sgozzarli tutti fino all'ultimo.
Bisogna gridar alto agli ammiratori dell’organizzazione dell’esercito turco e ai panegeristi della moralità musulmana. La barbarie delle orde curde e il cinismo del popolaccio della città si eclissano davanti ai misfatti perpetrati dagli ufficiali e soldati. Benché mi ripugni l’immergere la mia penna nel fango bisogna che si sappia di che sono capaci i guardiani dell’ordine e della legge nel paese delle Riforme dell’Armenia nel villaggio di Housseinik (vilayet di Karput) circa 600 soldati e dove sono i soldati ivi sono anche gli ufficiali riunirono nella caserma un numero eguale di donne e ragazze armene e dopo aver soddisfatto le loro turpi voglie su esse , sgozzarono fino all’ultima le vittime della loro spaventosa lussuria”.
Queste inaudite atrocità erano note, arcinote ai governi di tutti i paesi civili, se esse, nonostante ciò furono tollerate, se i loro autori non furono puniti, ammettiamo, per l’onore dell’umanità, che tutto ciò fu possibile, perché il gran pubblico del mondo civile, non ne fu informato, e il delitto più nero e mostruoso fu consumato al buio. Ma la presente tragedia armena che supera cento volte per la sua vastità e per la sua ferocia, l’altra di venti anni fa, mezzo milione di armeni sgozzati, oltre in milione deportati nei deserti della mesopotamia e condannati a morire di fame, è conosciuta da tutto il mondo. Un delitto di questo genere non deve rimanere impunito. Il sangue degli innocenti grida vendetta. E non sarà fatta piena giustizia se non rendendo padrone il popolo armeno dei suoi destini, restituendogli la sua patri e la sua indipendenza; e il delitto non sarà punito ed espiato completamente se non verrà schiacciata la testa al mostro; bisogna domare la belva turca strappandole le zanne, distruggendo ogni traccia dell’Impero degli Osmanli covo di briganti e di assassini. Il grande Gladstone invano avvertiva l’Europa: difendere l’Armenia è difendere la civiltà. L’illustre uomo non fu ascoltato. Il massacro sistematico di un popolo cristiano e civile sembrò alla politica europea una necessità ineluttabile, perché fonte di concessioni e di vantaggi finanziari. La coscienza umana avvezzata al delitto e smussata fu insensibile alla vo ce della giustizia, al grido del dolore. Nessuna delle potenze protettrici dell’Armenia fece un monito severo al sultano Sanguinario. L’Armenia non poteva difendersi da sola contro i suoi carnefici, come non lo poterono fare , Belgio Serbia e Montenegro. Ma ciò che commisero gli eserciti del blocco tartaro-teutonico nei paesi invasi da essi non è nulla in confronto di quanto perpetrarono i turchi in armenia. Per protestare contro l’esecrabile deportazione dei belgi e la feroce esecuzione di Miss Cavel dedicano, i giornali dell’intesa, intere colonne quotidianamente. Mentre il martirio armeno cento volte più atroce appena viene ricordato in poche righe e come notizia di cronaca
L’Armenia merita una simpatia più calda dei popoli dell’Intesa. Nessuno può metter in dubbio il fatto che se gli armeni si fossero alleati coi turco-tedeschi non sarebbero andati incontro agli spaventevoli orrori. L’Aremnia fu un’alleata preziosa per la causa dell’intesa, come lo furono Serbia, Belgio e Montenegro. Nei rapporti ufficiali turche caduti in mano dei russi e armeni, si legge il sintomatico commento seguente: “ se non fossero gli armeni, saremmo a quest’ora a Tiflis. I russi mirano al nostro piede, gli armeni al nostro cuore”.



La rivolta armena della Cilicia vi trattenne due divisioni turche destinate a invadere l'Egitto. In vari centri armeni, sopratutto al confine orientale dell'Armenia, la rivolta armena disperse l'e-sercito ottomano, ritardandone la marcia verso il Caucaso. Il con-flitto armeno-turco nella regione di Monche e Sassun prese l'aspetto di una vera guerra durata molti mesi.
Quanti sacrifici accettarono gli armeni, quanti torrenti di sangue versarono essi per restare fedeli alla divisa dei popoli li-berali ! Secondo un rapporto ufficiale del console italiano a Trebisonda i Turchi vi massacrarono tutti i 15000 abitanti armeni senza alcuna provocazione ostile da parte di costoro. L'annien-tamento del popolo armeno era dunque progettato dai turco-te-deschi in tempo 'di pace. Tutti gli orrori armeni furono commessi in presenza dei rappresentanti ufficiali tedeschi. In un rapporto ufficiale degli insegnanti superiori tedeschi del collegio tedesco in Aleppo si leggono raccapriccianti fatti.
Il console tedesco di Mussul rapporta il surricordato documento, afferma, su molti tratti della strada da Mussul a Aleppo, d'aver visto tante mani di bambini mozzate, da poterne selciare la .strada. Anche nell'ospedale tedesco di quella città c'è una bambina armena cui i turchi hanno mozzato ambe 1e mani. Vi e pure una bambina armena — sono i suddetti insegnanti che con-fermano — di' quattordici anni, impazzita ie gravemente amma-lata, dopo essere stata straziata, tutta una notte, dai soldati turchi.
Il cuore umano non regge a enumerare quanto i cannibali Turco-tedeschi fecero subire al popolo armeno. L'ora della vendetta e della giustizia s'avvicina.
Gli armeni reclamano la loro parte di diritto e di giustizia. E non si può rendere la meritata giustizia all'Armenia, che erigendola a Stato Indipendente, per l'amore che hanno da Quaranta secoli, gli armeni portato alla loro Patria, per il loro martirio se-colare. Ogni altra soluzione della questione armena significhereb-be apologia dello sterminio. Per sopprimere la questione armena i turco-tedeschi progettarono l'infernale delitto di sopprimere una nazione. L'Armenia è la terra e la Patria degli armeni, appartie-ne agli armeni superstiti ; non si rende giustizia- disereditando i figli cui furono massacrati i genitori. I popoli civili non devono compire un atto irreparabile, sacrificando, anche questa volta, a mire imperiali, la sorte degli armeni.
L'Italia, c6sì generosa e prodiga del suo sangue per la li-bertà di altri popoli, l'Italia che manda i suoi valorosi gari-baldini dovunque un popolo lotti contro la prepotenza straniera, non può, non: deve dimenticare gli armeni che sanguinano .da se-coli e soffrono il più atroce martirio per riacquistare l'indipendenza della loro Patria. 'Gli armeni sperano fermamente e aspet-tano che al prossimo congresso della pace L’indipendenza armena venga difesa caldamente dall'Italia, Patria dell'arte e della bellézza, dell'eroismo e della libertà.
Noi vorremmo ,noi ci auguriamo che i delegati italiani al pros-simo congresso, quando si deciderà del destino - dell'Armenia si ricordino di Oberdan e siano ispirati da Battisti, Filzi e Nazario Sauro.


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