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rapporti tra Turchia e Armenia rischia di disciogliersi lungo i tubi dei gasdotti che dividono Mosca e Washington
15 Settembre 2009
C'eravamo tanto riavvicinati Così la storica svolta nei rapporti tra Turchia e Armenia rischia di disciogliersi lungo i tubi dei gasdotti che dividono Mosca e Washington TEMPI.it di Marta Ottaviani Istanbul La Turchia e l.Armenia ci riprovano, ma sono in molti a temere che il cammino potrebbe essere più difficile del previsto. A fine agosto i due paesi hanno annunciato, con la mediazione della Svizzera, che in sei settimane firmeranno un protocollo che porterà alla normalizzazione delle relazioni fra i due Stati.
La firma dovrebbe avvenire verosimilmente il 12 o il 14 ottobre, in occasione della partita della nazionale turca contro quella armena per la qualificazione ai mondiali di calcio. Già nel settembre dello scorso anno un.occasione del genere aveva fatto incontrare di persona il presidente armeno Serzh Sarkissian e il suo omologo Abdullah Gül. Un evento che molti osservatori avevano atalogato come un punto di svolta. Ma dodici mesi dopo si può dire che la situazione è rimasta pressoché invariata.
I due Stati hanno interrotto le relazioni diplomatiche nel 1993. I rapporti fra Ankara ed Erevan si sono deteriorati a causa della disputa storica sui massacri del 1915 e il controllo della regione del Nagorno-Karabakh. La prima è una delle pagine più tristi della storia del XX secolo. L.Armenia e quasi tutta la comunità internazionale sostengono che le armate ottomane nel 1915 uccisero in modo predeterminato oltre un milione di armeni e vorrebbero veder riconosciuto l.eccidio come un genocidio. La Turchia, però, da sempre rifiuta il riconoscimento, adducendo come motivazione la sua versione, secondo la quale ci furono al massimo 300 mila morti e non furono ammazzati in modo predeterminato.
La regione del Nagorno-Karabakh, invece, è un territorio a maggioranza armena ma geograficamente collocato nell.Azerbaigian. Negli anni Novanta è stata al centro di un violento conflitto fra le due repubbliche caucasiche. Ankara in questo frangente ha sempre preso le difese di Baku, in forza dei legami etnici,religiosi, linguistici e politici che legano i due paesi. Proprio a causa di questa guerra nel 1993 i confini fra Turchia e Armenia vennero chiusi e le relazioni diplomatiche interrotte.
Lo scorso aprile, sempre con la mediazione della Svizzera, era stata annunciata in pompa magna una roadmap per la normalizzazione dei rapporti. Un gesto spontaneo che aveva fatto contenti molti, primo fra tutti il presidente mericano Barack Obama, ben felice di non doversi occupare in sede istituzionale della questione del riconoscimento del .genocidio., per il quale più volte la Diaspora armena, cioè l.insieme dei discendenti delle persone scampate all.orrore, aveva fatto pressione sul governo americano. Il capo della Casa Bianca era anche convinto di aver consolidato i rapporti con un alleato fedele, non solo per il ruolo ricoperto dalla Turchia nella Nato, ma anche per le future vie dell.energia. La lentezza dei lavori e gli sviluppi del confronto strategico in materia di gasdotti e oleodotti potrebbero però aver raffreddato i suoi entusiasmi. Se infatti l.accordo fra Turchia e Armenia non dovesse andare a buon fine, non sarà esagerato dire che la colpa è tutta del gas. E che a vincere sarà Mosca.
Ci si potrebbe chiedere che nesso intercorra fra una risorsa naturale e una pagina di storia tragica e irrisolta. La verità è che oggi la Turchia, qualsiasi mossa faccia, rischia di farsi male.
Il paese della mezzaluna in poco più di un mese è diventato il partner chiave di due progetti che sono destinati a cambiare i modi dell.approvvigionamento energetico dell.Europa ma che sono in concorrenza fra loro. Il primo si chiama South Stream, dell.italiana Eni e della russa Gazprom, ed è spalleggiato dal Cremlino. Il secondo è il progetto Nabucco, sponsorizzato dagli Stati Uniti proprio per intaccare il monopolio russo sul mercato del gas. Dovrebbe attraversare Turchia, Bulgaria, Romania, Ungheria e Austria. Con un piccolo particolare: il gas che dovrebbe trasportare proviene proprio dall.Azerbaigian, corteggiato anche dalla Russia. E Baku quanto vale il suo gas lo sa fin troppo bene, come lo sa anche il premier turco Recep Tayyip Erdogan che, al momento dell.annuncio dell.avvenuta stesura del protocollo, si è affrettato a sottolineare che prima di entrare in vigore esso dovrà essere ratificato dai due parlamenti.

Il potere del terzo incomodo La partita è molto meno sotterranea di quanto si possa pensare. Appena ricevuta la notizia dell.accordo per il protocollo, infatti, l.Azerbaigian è passato al contrattacco, nonostante il presidente armeno Sarkissian avesse detto che la questione Nagorno doveva essere trattata a parte e nonostante la regione contesa non compaia esplicitamente nel testo del futuro accordo. «In linea di principio . si legge sul sito del ministero degli Esteri azero . fa parte della sovranità della Turchia stabilire relazioni con l.Armenia», ma «l.apertura del confine è in diretta opposizione agli interessi nazionali dell.Azerbaigian». Elkhan Pokhulov, capo delle relazioni con i media del ministero degli Esteri azero, ha detto al quotidiano turco Zaman: «L.Azerbaigian considera le relazioni fra Turchia e Armenia come relazioni fra due Stati sovrani, ma anche gli interessi dell.Azerbaigian dovrebbero essere considerati». Il capo della diplomazia turca, Ahmet Davutoglu, ha lanciato messaggi concilianti, dicendo che per l.apertura del confine ci vorrà tempo, quando il protocollo invece calcola appena due mesi dalla firma degli accordi.

Ride bene chi ride russo La situazione è chiara. Se la Turchia delude Baku, la conseguenza più nefasta potrebbe essere proprio la chiusura dei rubinetti dell.oro blu, la messa in serio pericolo del progetto Nabucco, che rimarrebbe orfano di uno dei suoi più importanti fornitori, e un.immagine della Turchia come hub energetico quanto meno offuscata.
Il problema è che la pace è un.occasione imperdibile sia per la Turchia che per l.Armenia. Rinnovato prestigio internazionale e punti acquistati al cospetto dell.Unione Europea per la prima e la possibilità di entrare nelle rotte energetiche e dei trasporti del Caucaso per la seconda, il che significherebbe la fine dell.isolamento a cui è sottoposta a causa dei suoi rapporti con Mosca. Ma solo se l.Azerbaigian non si mette di mezzo. E da una parte Ankara non vuole rovinare i rapporti con Baku, un alleato non solo storico ma a questo punto anche vitale, dall.altra la Diaspora armena ha paura che Erevan, per uscire dall.isolamento, accetti condizioni troppo dure, soprattutto sul piano della memoria storica.
Chi sembra trarre vantaggio dalla situazione è Mosca, infastidita dal progetto Nabucco, ma anche consapevole del fatto che la Turchia non può voltare le spalle né all.Azerbaigian, né alla Russia, pena il peggioramento delle floride relazioni commerciali ed energetiche. Se si ripassa il discorso di grande apertura pronunciato da Obama ad Ankara nell.aprile scorso, viene da concludere che a questi .dettagli. il presidente americano non abbia pensato.

G.C

 
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