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01 04 2009 - In marcia per Smirne, fra le ombre di un genocidio negato
Di Aldo Ferrari

Nella narrazione di Antonia Arslan la tragedia del popolo armeno e i dubbi sulla verità storica nella Turchia d'oggi da il corriere.it
La videochat alle 15 - Inviate le domande Antonia Arslan (foto) ha esordito con «La masseria delle allodole» (Rizzoli, 2004). Oggi alle 15 Antonio Ferrari la intervisterà in videochat sul sito www.corriere.it «E ora bisogna affrontare l'ultimo strappo, l'ultimo addio. Perché la Grande Storia, ancora una volta, annulla le piccole storie degli uomini qualunque». La riflessione sul pensiero con cui Antonia Arslan impreziosisce il suo libro La strada di Smirne (Rizzoli, pp. 286, 18,50), che è l'avvolgente seguito della Masseria delle allodole,spinge a negarlo. Decisamente. Perché sono proprio le storie degli uomini qualunque, le complessive sofferenze di una saga familiare, coniugate con i violenti capricci dei poteri di turno, a spiegare come una tragedia viva nella memoria. Ben oltre le verità che gli storici non sempre riescono a raccogliere, a documentare e a imostrare compiutamente. Infatti, mentre gli studiosi arrancano e si tormentano nella ricerca di certezze, non restano che i romanzi ad offrire spaccati, necessariamente parziali, su eventi di portata epocale, come il genocidio o il massacro sistematico degli armeni,all'inizio del secolo scorso.

La scrittrice Elif Shafak, con il suo romanzo La bastarda di Istanbul, ha avuto il merito di far sussultare le ottuse certezze del nazionalismo turco,
che quell'eccidio di massa si rifiuta ostinatamente di ammettere. Lo ha fatto con la delicatezza e la violenza di una trama familiare, dove l'amore per le
debolezze umane s'intreccia con il desiderio di penetrare e sfondare il muro dei silenzi e delle convenienze politiche. Se la Shafak dichiara la sua struggente passione per Istanbul, la Arslan, che le somiglia per ricchezza narrativa, freme per Smirne. «Istanbul l'intellettuale e Smirne la ricca», come dice lo scrittore greco Petros Markaris. Due città, fiere della propria
multietnicità, e abbracciate dalla tragedia degli armeni, che oggi rivendicano l'onore della propria storia e la denuncia delle terribili sofferenze patite.

Genocidio del popolo armeno 1915-1916 (Lapresse) Fu davvero un genocidio quello compiuto dai turchi a partire dal 1915, per cancellare un popolo e le sue radici? Se bastassero i numeri, non vi sarebbero dubbi. Se si tenesse conto della spaventosa contraddizione tra la riconosciuta tolleranza dell'impero ottomano, soprattutto con le minoranze, e la ferocia che ne accompagnò l'inesorabile declino e la definitiva decomposizione, se ne avrebbe un'altra onferma. Etimologicamente però, i dubbi sono legittimi, ma non tali da giustificare l'ostinato negazionismo. Genocidio è un termine indissolubilmente legato alla Shoah, quando i nazisti decisero l'annientamento degli ebrei soltanto perché erano ebrei. Lo sterminio degli armeni fu invece la crudele e alata deviazione, all'epilogo di una guerra, seguendo i binari di una spaventosa «pulizia etnica». Termine odioso, che moralmente non può discostarsi dall'orrore supremo di un genocidio. Si dirà che l'annebbiamento delle coscienze e dei valori più elementari furono anche conseguenza del quasi contemporaneo disfacimento di due imperi, quello ottomano e quello zarista.
Ed anche dell'ignavia e del cinismo delle grandi potenze dell'epoca, pronte ad abbandonare il campo d'azione quando non ritennero più necessaria la loro presenza.

E sempre incuranti delle conseguenze sull'inerme popolazione civile.
Come accadde appunto a Smirne, che poteva essere paragonata alla festosa Beirut degli anni Settanta, prima dell'esplosione della guerra civile. A Smirne prima e a Beirut poi, l'armoniosa convivenza fra le diverse etnie si fondava su un comandamento: nella diversità e nel multiculturalismo ci si arricchisce, si cresce e si matura. Nella Turchia di oggi il tema del genocidio degli armeni è diventato lacerante e rovente. Sfidando pregiudizi, e soprattutto i rigori della legge e l'ira dei nazionalisti benpensanti, centinaia di intellettuali hanno firmato un appello per chiedere perdono proprio al popolo armeno. Un atto
di indubbio coraggio, che in sé è già una prima risposta.

Antonio Ferrari 31 marzo 2009(ultima modifica: 01 aprile 2009)

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