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Iniziativa Culturale:

 

 

050601 - BELLUNO : Il CONCERTO
IL CONCERTO
Questa sera nel suggestivo chiostro del seminario di Belluno si esibisce lo
straordinario Hilliard Ensemble
Quando la musica diventa spiritualità
Chiusura di rara raffinatezza quella della stagione di concerti del Circolo
culturale bellunese che sceglie la presenza dello straordinario Hilliard
ensemble.Questa sera (ore 18) al Chiostro del Seminario gregoriano David James,
Rogers Covey Crump, Steven Harrold e Gordon Jones propongono al pubblico
bellunese un suggestivo itinerario nella spiritualità con numeri delle diverse
confessioni. Arkhangelos è il titolo del suggestivo programma dedicato in
prevalenza alla musica sacra armena nato, per notizia diretta dei componenti
dell'Hilliard nel novembre del 2004,dopo l' invito in Armenia per registrare ed
interpretare alcuni canti sacri tradizionali (Sharakans) della chiesa armena
trascritti dal monaco, musicologo e compositore Komitas (1869-1935). La
registrazione ebbe luogo nel monastero di Saghmosavank (sec. XIII), che si
affaccia dall'alto sull'orrido scavato dal fiume Khasakh, guardando da lontano
il profilo del monte Ararat.
Oltre alle esotiche ed orientaleggianti melodie del Sharakans, presentammo
musiche provenienti dai repertori delle chiese greca, russa e romana e di quella
inglese. Tra essehere in hidingche fu eseguita perla prima volta a Glasgow nel
1993 in occasione di un workshop dell'Ensemble.Tra gli altri lavori in
esecuzione molto suggestivo è "Ah, Gentle Jesu!" di Sherygham,compositore del
sec XVI:un lavoro pregevole e di ampio sviluppo; costruito sull'alternanza di
strofa e ritornello, contiene il dialogo fra un peccatore penitente, ruolo
assegnato alle due voci più alte, e Cristo crocifisso, assegnato alle due più
basse. Ivan Moody, un inglese che vive in Portogallo, rappresenta qui la Chiesa
Greco-Ortodossa.Arkhangelos, scritto nel 1989, è una trascrizione dal poema di
Agathius Scolasticus (ca. 536-582), le cui meditazioni sono rivolte ad un icona
dell'Arcangelo Michele. Nella scelta in repertorio si segnalano anche due lavori
di Arvo Part e la consistente presenza di canti armeni, nell'elaborazione di
Komitas. Compie trent'anni dalla formazione ed oggi ancora l'Hilliard Ensemble è
considerato uno dei più grandi gruppi corali da camera del mondo, con un
repertorio che spazia dalla musica antica fino a quella contemporanea.Lo stile
inconfondibile e la spiccata musicalità dell'ensemble portano l'ascoltatore ad
apprezzare pienamente sia il repertorio rinascimentale sia i brani dei
compositori contemporanei espressamente commissionati. Il gruppo si è confermato
come uno dei più grandi interpreti della musica antica fin dagli anni Ottanta.

La registrazione del 1988 di Passio di Arvo Pärt ha dato inizio ad una fruttuosa
collaborazione sia con Pärt sia con la ECM. Questa si è concretizzata in seguito
con la pubblicazione nel 1996 di Litany. Di recente nuove commissioni sono state
date a compositori dell'area balcanica. Il 2002 è stato inaugurato dalla
première del brano di Piers Hellawell The Pear Tree of Nicostratus a Kaustinen,
in Finlandia, con la Ostrobothnian Chamber Orchestra. Commissionato
appositamente dal Kaustinen Festival, il pezzo rappresenta l'ulteriore
collaborazione tra l'Hilliard Ensemble ed il compositore irlandese.

Elena Filini




DA LaPROVINCIA di Lecco

Quando l'odio mette radici dentro gli Stati A giugno la traduzione del saggio di
Rummel che «ribalta» il paradigma classico di Hobbes

Lo Stato uccide più delle guerre. A questa conclusione rivoluzionaria, di primo
acchito difficile da accettare, ma corroborata da cifre inoppugnabili, portano
le oltre cinquecento pagine di Death by government, il saggio più importante di
Rudolph Rummel, scienziato della politica, di cui a metà giugno esce l'attesa
traduzione italiana, a undici anni dalla pubblicazione del testo americano
(Stati assassini. La violenza omicida dei governi, Rubbettino, 568 pagine, 28
euro, traduzione di Stefano Magni). Vediamoli, allora, alcuni di questi dati da
brivido. Nel corso del Novecento, i conflitti hanno provocato 38 milioni di
morti sul campo o per le conseguenze degli scontri, ma Rummel stima che almeno
170 milioni di esseri umani siano stati annientati dagli Stati totalitari, per
ragioni etniche, religiose o per nessun'altra ragione che il dissenso - vero ma
più spesso presunto - rispetto alla linea "politica" dominante. Oppure sono
stati eliminati, come nell'ex Unione Sovietica, sulla base di una macabra
contabilità che programmava quote della morte (death quota) da attuare con i
lavori forzati, affamando la popolazione o deportandola. Il regime comunista
sovietico, alla cima della lista, si è macchiato di 62 milioni di morti, e di
questi Stalin fu responsabile di circa 43 milioni; 33 i milioni di persone
spentesi nei gulag. A 60 anni dalla fine del nazismo, con i suoi quasi sei
milioni di vittime e a 90 anni dallo sterminio del popolo armeno (due milioni di
morti, secondo Rummel) non ancora ufficialmente riconosciuto dalla Turchia, il
colossale lavoro dello scienziato americano ha il merito di far riflettere sui
fondamenti dei «democidi». Un termine da lui stesso coniato per indicare tutte
le uccisioni intenzionalmente perpetrate dai governi non democratici, nel quale
può rientrare per molti versi anche il concetto di genocidio (nel toccante film
Ararat, di Atom Egoyan, si ricorda che Hitler si "ispirò" proprio al massacro
degli Armeni per la sua soluzione finale). Lo studioso americano - già candidato
al Nobel per la Pace nel '96 - rivolta implicitamente come un guanto il
tradizionale paradigma di Hobbes, secondo cui lo Stato è garanzia di pace, a
fronte della violenza della natura umana. Al contrario, i dati proposti da
Rummel (l'analisi verte su 8193 casi di uccisioni perpetrate dai governi dal
medio evo ai nostri giorni) dimostrano che lo Stato al suo massimo grado, vale a
dire dove è più forte la concentrazione dei poteri, è la prima causa di violenza
sui suoi cittadini. Se è vero che già Carl Schmitt era arrivato a queste
conclusioni - una volta che un governo va al potere niente prova che la legge
verrà rispettata e non si userà la violenza -, il politologo americano riesce a
confermarle empiricamente, con una dovizia impressionante di dati e di
elaborazioni statistiche. Nel famoso grafico Niagara tears, egli mostra, ad
esempio, come il sangue dei democidi fatto scorrere nel Novecento potrebbe
sostituirsi all'acqua delle cascate del Niagara per ben 42 minuti. La portata
teorica degli assunti di Rummel è a dir poco dirompente perché mette in
relazione il totalitarismo con la struttura dello Stato moderno. Non come un
casuale «male oscuro», ma come un frutto maturo, nutrito dalla sua stessa linfa.
Lo sottolinea con vigore lo scienziato della politica Alessandro Vitale, docente
di Relazioni internazionali all'Università Statale di Milano e autore del saggio
introduttivo di Stati assassini: «Nei totalitarismi del XX secolo,
indipendentemente dalla diversità ideologica - scrive in Lo Stato, il democidio,
la guerra, un'antologia di articoli di Rummel pubblicata nel 2002 -, la logica
dello Stato moderno viene portata alle estreme conseguenze. Infatti il
"totalitarismo" è solo un'accentuazione esasperata di caratteristiche statuali
moderne». In breve, secondo Rummel la genesi del totalitarismo non si
comprenderebbe senza il presupposto della concentrazione del potere nelle mani
dell'autorità politica statale. Un'autorità, per dirla con il teorico del
liberalismo Hayek di The road to Serfdorm, che porta al vertice «il peggio»,
esercitando un'attrazione magnetica su personalità aggressive e dominanti, le
più inclini ad assumere il potere. Lo studio di Rummel aiuta a comprendere anche
il democidio come odio estremo per la diversità e come trionfo
dell'uniformizzazione, al quale le popolazioni degli Stati totalitari debbono
giocoforza adattarsi per garantirsi la sopravvivenza. Non si comprenderebbe,
altrimenti, perché il nazismo sia riuscito a mettere così durature radici tra la
popolazione tedesca, pur essendo, al suo sorgere, poco più di un movimento di
fanatici. Vera Fisogni

Da il Gazzettino/







V.V

 
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