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30 09 2008 - Turchia L'ultimo canto di un armeno scomodo
da LeMonde Diplomatique del luglio 2008
SONYA ORFALIAN
Istanbul, gennaio 2007: Hrant Dink, giornalista e scrittore armeno di Turchia, è stato ucciso. Ancora una vittima per un genocidio che non ha fine. Nel suo ultimo articolo raccontava il suo stato d'animo: «Nel mio cuore impaurito di colombo so che la gente di questo paese non mi toccherà. Perché qui non si fa male ai colombi. I colombi vivono fra gli uomini. Impauriti, come me, ma come me liberi». Di questo intellettuale, definito nella postfazione da Boghos Levon Zekiyan con il termine armeno nahatak, cioè «martire», esce oggi un'ampia selezione di articoli in traduzione italiana, raccolti in un bel volume (1). Anche in Italia possiamo dunque avvicinarci al pensiero di Dink, fondatore e redattore capo del settimanale bilingue - armeno e turco - Agos («Il Solco»), punto di riferimento di molti liberi pensatori nella tormentata e contraddittoria Turchia di questi anni. Nella lucida, coinvolgente prefazione all'edizione italiana, Etyen Mahçupyan (che ha preso il posto di Dink nella conduzione del settimanale) scrive: «Hrant era dotato di una limpidezza interiore che lasciava trasparire in modo incontrollato una naturalezza e una schiettezza che rappresentano un traguardo inarrivabile per ognuno di noi. Quando quella limpidezza diventava parola e ci raggiungeva non perdeva nulla della sua forza».
Il libro raccoglie articoli, editoriali e interviste che dal 2004 arrivano al 2007, anno del suo assassinio: una miniera di informazioni per il lettore che voglia comprendere meglio l'oscuro panorama entro cui Dink era costretto a muoversi, minacciato e addirittura condannato a sei mesi per il reato di insulto all'«identità turca» Particolarmente interessante è lo scritto che prende in esame l'identità armena e la condizione degli armeni di Turchia; ma non mancano acute analisi della questione curda e di molti altri aspetti di quella Turchia che aspira a far parte della grande famiglia europea, ma non è riuscita a salvare la vita a Dink e a fatica riesce a processarne gli assassini.
Il libro ritrae un intellettuale aperto, che si entusiasma ai progetti politici finalizzati al vivere insieme, in armonia. Il suo obiettivo era la riconciliazione. Di quanti Hrant Dink abbiamo bisogno nella nostra vita sociale e civile contemporanea? Quanti ne dovranno ancora morire? Quanti ancora dovranno subire censure? Il pensiero corre al muro, ormai letteralmente invisibile, che divide palestinesi e israeliani e che pesa come un vergognoso macigno sulle nostre coscienze.
Nell'articolo intitolato «Alla danza delle stampelle» si materializza l'immagine che quest'uomo sensibile e profondo ha raccolto dalla tradizione più antica del mondo orientale per offrirla ai lettori: quella dei cantastorie, figure emblematiche, rapsodi erranti che in terre divise e tormentate riuscivano a radunare tutti, nessuno escluso, attorno alla loro parola e al loro canto. Ecco, per Dink bisogna «trovare rifugio in loro, perché l'antidoto della cultura conflittuale è là». E auspica il ritorno a un tempo in cui armeni, curdi e turchi si ritrovavano insieme ad ascoltare il cantastorie che arrivava da lontano e aveva parole per tutti.
note:
(1) Hrant Dink, L'inquietudine della colomba. Essere armeni in Turchia, Guerini e Associati, 2008, 15 euro.

Sonya Orfalian

 
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