Zatik consiglia:
Iniziativa Culturale:

 

 

050502 - La Turchia in Europa? No, grazie! Per argomentare utilizzerò le tesi
IL GIONALE DI BRESCIA 29 aprile 2004
Turchia in Europa: i motivi per rispondere no
IL CONTRIBUTO DEI LETTORI
La Turchia in Europa? No, grazie! Per argomentare utilizzerò le tesi
sostenute da Alexandre del Valle in un intervento al Convegno Internazionale
«La Turchia e l'Unione Europea» organizzato presso l'Università di Roma «La
Sapienza» venerdì 26 novembre 2004. Alexandre del Valle è un geopolitologo
francese, autore di parecchi articoli su giornali e riviste (Le Figaro,
Politique Internationale, Spe- ctacle du Monde, Limes, Frankfurter
Allgemaine Zeitung, ecc...) e ha pubblicato nel 2004 un saggio: «La Turchia
nell'Europa, un cavallo di Troia isla- mista?». Innanzitutto è necessario
rispondere ai principali argomenti a sostegno della candidatura turca per
poi spiegare quali sarebbero le conseguenze di un'ammissione della Turchia
nell'Ue. I Turchi si definiscono come un popolo asiatico la cui età dell'oro
ha coinciso con l'apogeo dell'Impero ottomano, e se una debole minoranza
kemalista o lo spirito dei quartieri privilegiati di Istanbul si sentono
europei, gli abitanti delle favelas di Istanbul o di Ankara e dell'Anatolia
si riconoscono più nel vicino Iraq che nell'Europa occidentale. Non dobbiamo
dimenticare che lo stesso Kemal Ataturk scelse come capitale della Turchia
non l'europea Istanbul ma l'asiatica e anatolica Ankara. Per quanto riguarda
la «presenza» turca nei Balcani e nel Mediterraneo durante i secoli, o la
partecipazione della Turchia ottomana al «Concerto europeo» nel secolo XIX,
lontano dall'essere una prova della sua «identità» europea, si trattò di una
presenza coloniale, ostile, quando l'Impero turco-ottomano era la principale
potenza nemica e minacciante per l'Europa. Non dobbiamo dimenticare che
l'unica volta durante la quale le potenze europee si unificarono fu la
battaglia di Lepanto per resistere agli assalti della Sublime Porta. La
stessa città di Vienna fu attaccata due volte. Se affermiamo che la Turchia
è storicamente un Paese europeo, allora possiamo anche affermare che la
Francia è un paese storicamente africano tanto più che è stata un'ex potenza
coloniale. La Turchia non è Europa sia per la sua posizione geografica
(eccezion fatta per Istanbul e la Tracia) sia per le sue abitudini (usanze),
(endogamia islamica, crimini d'onore, discriminazioni etnico-religiose) sia
per la sua coscienza civile. Gli stessi leader europei più favorevoli alla
candidatura turca, come il presidente Jacques Chirac, ricordano che
l'entrata della Turchia nell'Unione potrà anche trasformarsi in una
soluzione intermediaria, come quella del partenariato privilegiato oppure
essere oggetto di un referendum, che se risultasse negativo potrebbe
interrompere completamente il processo d'integrazione. Invocare
l'irreversibilità della candidatura turca attraverso il pretesto che Ankara
ha firmato un accordo di associazione nel 1963, ed è membro della Nato e del
Consiglio d'Europa, o semplicemente fare una promessa, è un discorso che non
regge. Bisogna ricordare che l'accordo d'associazione del 1963 non promette
nulla e fu firmato non tra l'UE e la Turchia ma tra la Comunità economica
europea e la Turchia, in un contesto di Guerra fredda, molto prima della
nascita dell'Unione politica dell'Europa (1992, col trattato di Maastricht).
Inoltre, in risposta alla domanda ufficiale di adesione di Ankara del 1987,
chiaramente rifiutata, il Parlamento europeo aveva votato una risoluzione
(oggi tenuta nascosta) che esige, invano, anzitutto il riconoscimento del
genocidio del popolo armeno, il miglioramento delle condizioni delle
minoranze religiose e del popolo curdo, il rispetto dei diritti dell'uomo e
il ritiro dall'isola di Cipro. Sapendo che tali esigenze sono rimaste
disattese e che la tortura è diventata solo «non sistematica», secondo le
parole stesse del commissario europeo all'Allargamento, Verheughen, è dunque
Ankara a non aver adempiuto ai suoi obblighi e non il contrario. Affermare
che bisogna integrare la Turchia per dimostrare che l'Europa non è un «club
cristiano» e non rifiutare dunque un candidato islamico sarebbe assurdo:
domandiamo alla Lega araba d'integrare Israele o l'India per verificare che
essa non sia un club musulmano? Questo cattivo processo sta invertendo i
ruoli, perché è la Turchia che deve provare di non essere un «club
musulmano»: ci sono più turchi a Parigi che cristiani in tutta la Turchia
(100.000) Paese puramente musulmano al 99%; dal genocidio di 1 milione e
mezzo di Armeni (1915) e Assiro-Caldei (1916) all'espulsione di 2 milioni di
Greci nel 1922 (e 160.000 massacrati); misfatti che non sono mai stati
oggetto di un minimo lavoro di memoria, insegnando invece nelle scuole la
negazione del genocidio. Ankara, d'altra parte, continua a negare le
minoranze assiro-caldee, quella cattolica e alavita. Ricordiamo solo che
fino ad oggi, la Chiesa cattolica non ha goduto di alcun riconoscimento
giuridico, e continua ad essere negata come pure la Chiesa assiro-caldea o
la Chiesa protestante, senza dimenticare i 12 milioni di Alaviti, obbligati
a studiare nelle scuole l'Islam di stato sunnita e a cui è negata la
possibilità di costruire i loro templi... Affermare che la Turchia sia
un'eccezione laica e un alleato naturale contro l'islamismo grazie
all'eredità di Ataturk è falso: l'odierna Turchia autorizza e esige tutto
ciò che Kemal rifiutava, vale a dire il velo, i partiti islamici, le
confraternite, i corsi di religione obbligatori. Le sue leggi contro il
«blasfemo» condannerebbero perfino lo stesso Ataturk. Come si può sostenere
la laicità di un Paese di cui il 70% delle donne portano il velo, il cui
Stato mantiene 90.000 imam e migliaia di moschee, menziona la religione
d'appartenenza sulle carte d'identità, vieta le più alte cariche pubbliche e
militari ai non musulmani, ed è diretto da un partito, l'Akp, discendente di
una corrente islamica uscita vittoriosa da molte elezioni a partire dagli
anni '90? Un partito, il cui dirigente Erdogan voleva vietare le sigarette,
le minigonne e l'alcool quando era sindaco di Istanbul nel 1996 e che
dichiara pubblicamente di essere favorevole al velo islamico e alla
poligamia, esibendo sue figlie e sua moglie con il turban. Viene detto che
gli islamici turchi al potere sono dei moderati e dei pro-occidentali che
manterranno i legami con la Nato e con Israele. Occorre dimenticare il
proposito del Primo Ministro Erdogan o del suo ministro degli Esteri, il
prosaudita Abdullah Gul (il quale lavorò 8 anni a Gedda nella Banca islamica
Bid, che finanziò il terrorismo islamico) che spiegano che la democrazia
«non è un obiettivo ma un mezzo», eppure si felicitano di aver ricevuto ad
Istanbul il capo terrorista afgano pro-talebano Gubuldin Hekmatyar, «eroe
della lotta al comunismo» ma ricercato da tutte le polizie occidentali.
Quanto ai legami con Israele, Erdogan ha affermato che si potrebbero rompere
se Sharon dovesse continuare a «perseguitare i palestinesi». Gli alleati
americani sanno essi stessi che dopo la guerra in Iraq, la Turchia
reislamizzata non coopererà più come prima, visto che nell'attuale Iraq,
Ankara non è soddisfata dalla politica americana di appoggio ai Curdi,
prospettiva che contraddice l'obbiettivo turco di occupare le due città
strategiche e petrolifere di Mossul e Kirkuk, in nome delle supposta
presenza di «minoranze turkmene perseguitate»... Viene detto che bisogna
integrare la Turchia nell'UE per aiutarla ad essere «più democratica»,
sapendo che lo zelo riformista e democratico dei dirigenti turchi è
sopratutto motivato dagli aiuti economici e dai vantaggi che conseguirebbero
con l'entrata nell'Unione europea. Ma si può perfettamente proseguire il
processo di sostegno economico alla Turchia nel quadro di un «partenariato
privilegiato» proposto da Giscard D'Estaing o dall'esistente Spazio
Economico Europeo (See) e del quale sono membri Paesi che non vogliono fare
parte dell'Unione politica ma accettano un certo tipo di integrazione
economica e commerciale coll'Ue, ricordando che Ankara è già membro
dell'Unione doganale sin dal 1996. L'Unione Europea è certamente una spazio
di pace e democrazia, ma essa si è già formata, dal punto di vista della
civiltà, ed è naturalmente riservata a popoli di cultura giudaico-cristiana
marcati dal pensiero greco-latino presente in Europa, fattore che fa
procedere verso la democratizzazione Paesi come l'Ucraina, la Bielorussia e
la Russia, Paesi infinitamente più europei rispetto alla Turchia. I rapporti
della Commissione (5 novembre 2003, e 6 ottobre 2004) e del Parlamento
europeo (Oostlander del 17 Aprile 2004) hanno dimostrato che se la Turchia
ha realizzato delle riforme sulla carta, queste non hanno trovato effettiva
applicazione dal punto di vista pratico: i curdi continuano ad essere
privati dei loro diritti, i tribunali hanno confermato la condanna di
diversi deputati curdi a 15 anni di prigione; i reati di opinione sono
sempre più severamente puniti rispetto ai crimini d'onore; le truppe
militari turche continuano ad occupare Cipro, e a negare il genocidio
armeno. Se l'Europa ha un'identità che si riconosce nei diritti umani,
allora il riconoscimento del genocidio armeno e la fine del blocco
turco-azero che soffoca l'Armenia, dovrebbero figurare al primo posto tra i
criteri di Copenhagen. Veniamo ora alle conseguenze dell'integrazione turca:
Siamo coscienti del fatto che la Turchia in Europa diventerà lo Stato più
preponderante dell'Unio- ne? Dal 2020 Ankara disporrà nel Parlamento europeo
di 100 deputati turchi per la maggior parte islamici (contro i 72 della
Francia e i 98 per la Germania); sarà la prima potenza militare e
demografica dell'Unione( ben presto vi saranno 100 milioni di abitanti e
850.000 soldati). L'entrata della Turchia in Europa aprirà il vaso di
pandora dell'allargamento. Perchè successivamente rifiutare i 200 milioni di
turcofoni del Caucaso e dell'Asia Centrale o gli stati del Maghreb? L'Ue
erediterà tutti i contenziosi geopolitici (acqua, frontiere, minoranze etc)
che la Turchia ha con i suoi vicini. Senza dimenticare i traffici di droga,
di armi e di immigrati clandestini di cui la stessa Turchia è uno dei
maggiori passaggi. Si dice che l'Europa sarebbe una chance per la democrazia
turca. Questa sarà soprattutto una possibilità per gli islamici turchi,
fino a quel momento condannati a edulcorare il loro programma e a subire
l'alleanza con l'America e Israele così come i militari che controllano il
Paese. Un tempo schernita da Erdogan, il «club cristiano» è ormai il solo
alleato oggettivo (esterno?) capace di imporre lo smantellamento del potere
militare-kemalista, tutto ciò con la prospettiva di rifarsi dell'affronto
subito nel 1923 al momento dell'abolizione del Califfato e della Sharià e
dopo aver completato la dekemalizzazione del Paese. I dirigenti europei
farebbero bene a riflettere due volte prima di attivare un processo che non
controllerebbero più, come accaduto in Iran, allorché l'Occidente impedì
allo Shah di reprimere la rivoluzione islamico-komeinista. Detto ciò e vista
l'importanza strategica dell'ammissione della Turchia in Europa ritengo
doveroso il ricorso al referendum popolare. PIERLUIGI AGNELLI

V.V

 
Il sito Zatik.com è curato dall'Arch. Vahé Vartanian e dal Dott. Enzo Mainardi;
© Zatik - Powered by Akmé S.r.l.