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15 01 2008 - Informare in Turchia: mestiere a rischui
da PANORAMA 15/1/08
> In un angolo del portone di ingresso, l’occhio della telecamera a circuito chiuso registra freddamente chi entra e chi esce. Nell’atrio, un poliziotto è la prima persona che si incontra. Basta giusto qualche attimo per capire che la redazione del giornale turco-armeno Agos si trova a lavorare, quotidianamente, in condizioni quantomeno particolari. Proprio davanti all’ingresso di questo stesso palazzo, che sorge nel quartiere europeo di Sisli a Istanbul , il 19 gennaio dello scorso anno un ragazzo diciassettenne proveniente da Trebisonda (la stessa città dove è stato ucciso il prete italiano Don Santoro) ha ammazzato a colpi di pistola Hrant Dink. Unica colpa del direttore responsabile della testata, perseguito dalla giustizia turca per aver offeso la “turchicità” per aver parlato di genocidio armeno: tema che resta, a quasi un secolo di distanza dai fatti accaduti, un assoluto tabù per la stragrande maggioranza dei turchi.
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> “Mi sento come un colombo disorientato”, aveva scritto Dink poco prima di venire ammazzato, ben cosciente del clima ostile che gli si stava montando intorno anche e soprattutto a causa di molta disinformazione. “Ma in questo Paese ai colombi non viene mai fatto alcun male”, aveva aggiunto quasi a volersi autoconvincere. Le ali di questo colombo, dal fare pacato e melanconico, sono invece state spezzate da un ultranazionalista che certo non ha agito da solo. Con Ogun Samast sono stati rinviati a giudizio altri 7 imputati tra cui Erhan Tuncel e Yasin Hayal, entrambi di Trebisonda e appartenenti ad un’organizzazione terroristica di stampo islamico-nazionalista.
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> Hayal è già stato condannato a 11 mesi di carcere per un attentato che nel 2004 fece sei feriti a Trebisonda, ed è incriminato per minacce di morte al Premio Nobel per la letteratura Ohran Pamuk, “reo” come Dink di aver espresso posizioni critiche nei confronti del suo Paese sul tema degli armeni. Per il giovane Samast l’accusa ha chiesto dai 18 ai 24 anni per omicidio e da 8,5 a 18 anni per detenzione illegale di arma da fuoco. Fra gli altri imputati, Hayal e Tuncel rischiano l’ergastolo. Stando però agli avvocati di parte civile, il processo arriverà a colpire solo il livello esecutivo del delitto, lasciando nell’ombra i grandi manovratori, eventuali livelli politici e le forze dell’ordine. Difficile, ad esempio, dimenticare la foto di Samast, scattata poco dopo l’arresto e pubblicata da tutti i giornali, ritratto con una bandiera turca aperta tra le mani, attorniato da dirigenti della sezione antiterrorismo della polizia di Samsun.
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> A un anno di distanza da questo assassinio e nonostante le forti pressioni dell’Unione Europea, la libertà di espressione in Turchia resta un problema notevole. Il famigerato articolo 301, che ha portato tanti intellettuali e giornalisti (ultimo il figlio di Hrant Dink, Arat) davanti a una corte di giustizia, non è per ora cambiato nella forma e tanto meno nella sostanza. Con chiari effetti nella vita quotidiana di chi sente il dovere di informare e il diritto di esprimere le proprie idee. Lo scorso dicembre, a Istanbul, un giornalista turco di origine greca, Andreas Robopulos, direttore del piccolo giornale in lingua greca “Iho” è stato aggredito e colpito con bastoni da due individui non identificati.


V.V

 
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