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050426 - Baykar Sivazliyan, La luminosa figura del Dott. Johannes Lepsius
25 Aprile 2005
LA TURCHIA MODERNA DI OGGI CONTINUA ANCORA A NON RICONOSCERE IL GENOCIDIO DEL POPOLO ARMENO.
La luminosa figura del Dott. Johannes Lepsius

Baykar Sivazliyan
[//../foto/NWS3003.jpg] Ogni tentativo di distruzione fisica di un popolo, passa necessariamente dalla via della distruzione della sua cultura. Durante la notte del 24 aprile del 1915, i rappresentanti delle autorità ottomane bussarono uno per uno alle porte di tutte le famiglie degli intellettuali armeni di Istanbul, antica Costantinopoli, invitando i predestinati alla morte, negli uffici della polizia durante la stessa sera. Al mattino seguente erano tutti nelle carovane della deportazione. Era l'inizio del Medz Yeghern "Grande Male" come gli armeni chiamano il primo Genocidio del XX secolo che portò via la vita a più di un milione e mezzo di armeni, innocenti cittadini dell'Impero Ottomano di religione cristiana. Unica loro colpa era di appartenere alla nazione armena, e trovarsi sulla via di congiunzione delle due parti del vasto territorio turanico che si estendeva nella fantasia malata dei nazionalisti turchi fra l'Adriatico e l'Asia Centrale. Per la prima volta nella storia moderna, uno stato aveva organizzato meticolosamente il massacro dei propri cittadini con le proprie mani. Gli armeni erano cittadini ottomani da tanti secoli, dalla fondazione dell'impero ed erano abitanti di quelle terre da quattro millenni, molto prima che turchi ottomani fondassero il loro stato nel 1299. Con il loro apporto allo sviluppo e alla civilizzazione dell'Impero Ottomano, gli armeni avevano ricevuto dai sultani ottomani stessi l'appellativo di "Millet-i Sadika" - popolo meritevole di fiducia-.

Nell'ultimo secolo della storia dell'impero ottomano si trovavano su quel territorio circa 3500 monumenti armeni piccoli e grandi, religiosi e civili, centinaia di biblioteche, chiese, monasteri, scuole, edifici molto importanti, alcuni dei quali tra i massimi capolavori del patrimonio dell'umanità, non solo dell'armenità. Dopo i massacri le deportazioni e alla fine del compimento del Genocidio, si contavano a malapena circa 500 di questi monumenti, ridotti in maggioranza in condizioni pietose.

Non esiste in sostanza, famiglia armena che a cavallo dei due secoli XIX e XX, fino al 1922, non abbia perso una parte consistente del proprio nucleo sul territorio dell'impero ottomano. Più volte gli armeni sono stati criticati per non avere avuto la necessaria forza di denunciare il Genocidio subito e di essere stati molto teneri con il loro carnefice. Si tratta sicuramente un atteggiamento curioso ed originale quello degli armeni, di vivere questa immane tragedia con assoluta riservatezza. Il male subito appartiene alla nazione e l'individuo armeno non ama platealizzare il proprio dolore. Desidera raccontare semmai per una riflessione collettiva senza reclamizzare i propri morti. E' solo una condivisione umana dalla quale debba scaturire una riflessione perché la tragedia si presti a una lezione di vita. Non è ricerca di commiserazione ma una esperienza raccontata, una memoria dalla quale si tragga esempio, perché il male non si ripeta mai più.

Fino ai nostri giorni, l'orientamento delle autorità turche, purtroppo, salvo alcuni casi personali e non ufficiali, è quello di negare assolutamente il genocidio della nazione Armena, probabilmente per chiudere definitivamente la porta a ogni conseguente richiesta di risarcimenti, richiesta che tuttora rimane solo di natura morale e non finanziaria, né territoriale, se anche rimane sempre aperta la questione del trattato di Mosca del 1921, quando in assenza dei diretti interessati è stato firmato un accordo fra tra la Russia Bolscevica e la Turchia ancora non completamente formata come Repubblica Kemalista, regalando le province di Kars e di Ardahan assieme alla zona di Surmalù ai turchi. A questo proposito ci sono state ripetute assicurazioni da parte delle più alte autorità della Repubblica Armena. Ove invece tale negazione non sia assolutamente possibile, davanti a fatti fin troppo evidenti, il comportamento politico turco prende le sembianze di una minimizzazione dell'accaduto tragico, delineando un incresciosa opera "assistita dal governo" di spostamento della popolazione armena a causa della guerra mondiale, il facile riferimento è ovviamente alla Prima Guerra Mondiale. Il Genocidio del popolo armeno non è un "increscioso spostamento della popolazione, assistito dal governo". E' e rimarrà fino al suo riconoscimento ufficiale, dal suo carnefice, uno dei Crimini più gravi della storia moderna mondiale che precede l'Olocausto.

Lo storico turco Dogan Avcioglu, nelle sue numerose opere dedicate alla lotta di liberazione della Turchia in epoca moderna, quando parla della storia dei segreti più riposti degli esponenti dell'Ittihad ve Terakki (Partito Nazionalista turco, Unione e Progresso) in uno dei suoi saggi sulle deportazioni degli Armeni, egli afferma che esse erano condotte su larga scala, che erano realizzate sistematicamente e che il loro scopo era "la soluzione radicale della Questione Armena". Secondo le prove a sua disposizione, il progetto fu difeso durante varie riunioni dei membri dell'Ittihad dal Dott. Shakir e fu "interinato" dai tedeschi. Queste asserzioni dei turchi sono, ovviamente, di carattere ufficioso. Tuttavia, data la natura della complicità, può essere accertato definitivamente a qualsiasi livello la responsabilità tedesca. Il capo di stato maggiore tedesco presso il quartiere generale ottomano, portò con sé a Berlino un gran numero di documenti quando lasciò la Turchia alla fine della Prima Guerra Mondiale. Si sa che i preparativi delle guerre sono di natura tale da rinsaldare il segreto, che già normalmente avvolge le questioni di diplomazia internazionale e di cooperazione militare. Il piano turco per eliminare la popolazione armena non faceva parte soltanto dei segreti militari, ma rappresentava anche uno degli elementi fondamentali. Se si tiene conto del coinvolgimento tedesco nella nascita e nella realizzazione di questo progetto, quali che fossero del resto la natura e l'ampiezza di tale coinvolgimento, era indispensabile per la Germania aiutare la Turchia a nascondere le prove del crimine che questo progetto comportava. La dissimulazione era ancora più necessaria per proteggere gli interessi tedeschi, dato che sarebbe stata sollevata la questione delle responsabilità della Germania.

I tentativi di dissimulazione della Germania erano rivolti soprattutto ai funzionari e all'opinione pubblica tedeschi. Benché i diplomatici tedeschi, cioè tutta una serie di ambasciatori di Germania in Turchia e una moltitudine di consoli, non avessero mai smesso d'inondare il Ministero degli Esteri e l'ufficio del Cancelliere di dettagli sullo sterminio in corso, le autorità, compreso il Comando Supremo, avevano dato l'ordine di distogliere completamente l'attenzione del pubblico tedesco da quei documenti. Uno storico e missionario protestante, il Dott. Johannes Lepsius, decise di opporsi a questa decisione, raccogliendo segretamente delle informazioni per avvertire l'opinione pubblica, nella speranza che l'indignazione di quest'ultima avrebbe indotto il governo ad intervenire e a fermare la carneficina. Molto probabilmente non era la prima volta che Lepsius s'interessava alla storia dei massacri perpetrati contro gli Armeni.

Già alla fine del XIX secolo, cioè dopo i massacri perpetrati da Abdul Hamid II, egli aveva condotto un'indagine di due mesi nei luoghi in cui erano state commesse la atrocità e già in quella occasione aveva pubblicato un libro nel 1897, a Berlino, dal titolo "Armenien und Europa". Nel luglio del 1915 il Dott. Lepsius fa un altro viaggio in Turchia, per raccogliere una quantità di documenti impressionanti sul Genocidio degli Armeni, ma prima della sua partenza dalla Germania, nell'atto di rilasciare il suo passaporto, le autorità tedesche manifestarono il loro disappunto. Arrivato a Istanbul Lepsius riuscì a raccogliere segretamente delle prove a carico delle autorità turche grazie alla collaborazione dell'ambasciata degli Stati Uniti, del Patriarcato armeno, di alcuni missionari tedeschi, svizzeri e americani e infine di qualche funzionario turco. Durante un incontro di un'ora con il Ministro della Guerra Enver Pascià, quest'ultimo disse con arroganza che si assumeva la totale responsabilità di ciò che capitava agli Armeni nelle province ottomane.

Con un coraggioso ed ammirevole atto, Lepsius preparò allora un "Rapporto segreto" che fu pubblicato sotto forma di un libro di più di trecento pagine, e che fu mandato segretamente ai membri del Reichstag e a un certo numero di Tedeschi (personalità pubbliche, autorità religiose ecc...). Riviste specializzate in materia pubblicate, fino agli anni 1935, forniscono la cifra di ventimila persone tra quelle raggiunte da Lepsius attraverso il suo "Rapporto". L'invio del libro ai deputati del parlamento fu intercettato dal Governo Tedesco. Lepsius cosciente del possibile divieto aveva previsto di distribuire molti esemplari al di fuori del "circuito" istituzionale ma Ibrahim Hakki Pascià (l'ambasciatore di Turchia a Berlino) protestò vigorosamente e invocò gli interessi della "nostra causa comune" per il cui "trionfo" bisognava distruggere quello strumento di propaganda "ignobile". Qualche giorno dopo il Ministro degli Esteri Jagow informò cortesemente l'ambasciatore che le copie in circolazione erano state "confiscate". Inoltre, Lepsius fu sottoposto a molte pressioni da tutte le parti, ma soprattutto dal Ministero degli Esteri, affinché egli cessasse le sue attività e si dimettesse dalle sue funzioni. A volte queste pressioni assunsero la forma di tentativi d'intimidazione e di velate minacce. Con poche eccezioni la storia e soprattutto il riconoscimento del Primo Genocidio del XX secolo, ha purtroppo una tale triste sorte sino ai nostri giorni.

Il genocidio degli Armeni viene universalmente commemorato nel mese di aprile di ogni anno, prendendo come data precisa il giorno 24, in quanto l'avvio del progetto predeterminato ebbe inizio la notte del 24 aprile del 1915, nella città di Costantinopoli attuale Istanbul, con il rastrellamento sistematico e pre organizzato degli intellettuali armeni della città, che rappresentavano l'intellighenzia della cultura armena di quegli anni. La deportazione e il conseguente Genocidio però coinvolse tutta la popolazione armena delle province ottomane, in modo particolare quelle limitrofe all'Armenia storica. Il Genocidio degli Armeni (che le autorità turche incomprensibilmente tuttora chiamano presunto) si consumerà in modo particolare in un sradicamento culturale e diventerà una catastrofe (aghet, nella lingua armena) e un crimine (yeghern) senza alcuna attenuante, segno premonitore di altre catastrofi di uguali e maggiore consistenza, consumata sempre nei confronti di altri popoli e minoranze. Il peso che la storia non riesce a cancellare dalla mente e dalle coscienze di tutti gli Armeni diasporani e della Patria, è il continuo negare del responsabile, che addirittura è arrivato in certi casi incredibili e rivoltanti a stravolgere la storia, addebitando il proprio inesorabile conto di carnefice alle proprie vittime.

La pratica rivoltante del negazionismo nella storia del Ventesimo secolo è iniziato con il Genocidio degli Armeni. Il popolo armeno, malgrado la profonda sofferenza patita negli ultimi decenni, non ha mai rinunciato ai valori del proprio passato, in modo particolare a quei valori calpestati per troppo tempo, negati dai responsabili dei massacri, ma ignorati anche dai freddi spettatori quali si sono finte troppe nazioni civili del nostro tempo, con i loro governi. L'insistenza con cui il popolo armeno, come del resto altri popoli con uguali tragiche esperienze, ha vissuto questa fase di ricostruzione intima, rischiava, a lungo andare, di consolidarsi in una cultura vittimistica e di una psicologia conseguente. La lotta interiore della nazione fu profonda. La realizzazione di questa lotta interiore mise in primo piano la necessità di chiarezza da parte di ogni singolo Armeno, anche quando ciò poteva risultare amaro sia per ognuno che per la totalità della nazione. L'ultimo quarto di secolo scorso è servito e, si pensa, continua a servire agli Armeni a ripercorrere con serenità i tratti costitutivi della propria identità nazionale e le realtà che esprime una nazione con più di quattro millenni di storia, il coraggio che essa esprime di investigare la coscienza di questa identità e del suo rapporto con la storia passata non meno che con quella da costruire.

Perciò, analisi della tragedia come studio di una terribile esperienza per una rinascita forte e utile all'avvenire. Nel percorrere questo itinerario però, va sempre parallelamente scrutato il comportamento del responsabile e dei suoi silenziosi alleati, che come si è detto poc'anzi si sono finti freddi spettatori. Controllare i comportamenti, un obbiettivo ambizioso, certo, e tuttavia non eludibile per chiunque ritenga doveroso operare per il superamento delle violenze e oppressioni che segnano le relazioni tra gli uomini. Queste tragiche violenze, che ormai viviamo in diretta obbrobriosa, si alimentano anche con l'assuefazione, e quindi con la progressiva rimozione dei traumi che essa provocano. Una fatalistica accettazione della storia, tratto che appariva prettamente orientale, ma che si è rivelato purtroppo universale, un mansueto atteggiamento che se non contrastato fa della storia "un compendio di immoralità di fatto".

Il popolo armeno, assieme ad altri purtroppo sempre più numerosi popoli, ha il diritto di chiedere a tutti gli uomini di buona volontà di impegnare tutta la loro esistenza per far si che la storia sia sempre meno un compendio di immoralità di fatto e sempre di più il risultato dell'azione cosciente ed intelligente degli uomini, nutrita dal rispetto per l'altro e per la sua cultura. L'esistente per quanto crudo e tragico sia, non può essere sempre accettato come dato immodificabile. Ciò ha tentato di fare il responsabile dei massacri e del Genocidio degli armeni, come pure i suoi eredi continuano a tentare di fare fino ai nostri giorni. Invece, al contrario, una accettazione e un riconoscimento incondizionato nato spontaneamente dal proprio interno, non imposto e non sindacato, nobiliterebbe la nazione turca e potrebbe perfino onorare i suoi dirigenti attuali che tanto fanno per potere entrare a far parte integrante della famiglia europea.

Per lunghi secoli gli Armeni sono stati considerati un popolo senza terra e di conseguenza, a maggior ragione, un popolo senza Stato. I settanta anni del regime sovietico avevano tranquillizzato molto il responsabile del Genocidio, il quale è riuscito a svincolarsi sempre e dovunque da richieste di verità, di risarcimenti e da altre forme di rivendicazioni più che ovvie. E' stato molto probabilmente questa facile impunità ad aizzare in modo incurante il vecchio oppressore e altri nuovi oppressori, più volte nella recente storia, contro altri popoli con identica ferocia e barbarie. Troppe tragedie impunite hanno legato gli Armeni ai Greci, ai Siriaci, ai ciprioti e per ultimo ai Curdi, davanti alla sostanziale insensibilità dell'opinione governativa di troppi Stati.

E' purtroppo un tragico indice di decadenza morale dei nostri tempi il silenzio e la tolleranza dell'opinione pubblica generale constatati in casi simili. Le proteste e l'indignazione dei popoli aiutano solo a salvare la nobiltà d'intenti degli individui ma non sottraggono la loro morale alle cocenti responsabilità generali che sono politiche e nelle democrazie occidentali sono da addebitare all'intera nazione. Finché non ci sarà una condanna plateale del crimine, il persecutore continuerà a percorrere imperterrito la propria strada degli orrori. E' da pochi anni che numerose istituzioni internazionali e singoli stati soprattutto europei hanno riconosciuto il Genocidio del popolo Armeno. Oggi una parte delle ceneri del Pastore Protestante Dott. Johannes Lepsius, riposano in terra armena. Onorato e direi quasi venerato dai figli e dai nipoti dei sopravvissuti al genocidio, nel Museo dedicato alla Catastrofe su un muro dedicato ai testimoni sulla collina di Dzidzernagapert di Erevan accanto alla fiamma perenne del monumento al genocidio.
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