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29 07 2007 - Venezia & l'Islam
Corriere della Sera del 27-7-07
A Palazzo Ducale duecento opere ricostruiscono la storia di un millennio ricco di scontri ma anche di incontri, di battaglie e di rapporti economici e
culturali, di dipinti e oggetti raffinatissimi

Venezia - Anno 828, Alessandria d'Egitto. Secondo la tradizione due mercanti veneziani rubano i resti del corpo di San Marco, l'evangelista sintetico, il
vescovo martirizzato ("strassinato per terra da quelli mori infideli"), nella città allora dominata dai califfi abbasidi, e li portano a Venezia. Da allora
l'evangelista sarà un tutt'uno con Venezia di cui diventerà il protettore e il suo tradizionale simbolo, il leone, diventerà dalla metà del XIII secolo
l'emblema della Serenissima, rassicurante per gli amici, minaccioso per i nemici.
La data di quel furto benedetto è stata scelta come inizio temporale della mostra dedicata a "Venezia e l'Islam" aperta a Palazzo Ducale dal 28 luglio al
25 novembre, perché sintetizza i complessi rapporti fra la Serenissima e il mondo islamico andati avanti fra alti e bassi per circa mille anni. Pieni di
scontri armati in mare e in terra, assedi, conquiste e perdite di possedimenti, guerre e tregue, ma soprattutto, più forti di tutte le vicende, di rapporti e di colonie commerciali, di rapporti diplomatici e viaggi (spesso diari scritti in dialetto), scambi (nel senso di debiti veneziani) in fatto di conoscenze
filosofiche, mediche e scientifiche, debiti e crediti artistici. Artisti e artigiani veneziani apprendono tecniche, stili, materiali, decorazioni, e i
sultani convocano a Costantinopoli-Istanbul gli artisti della Serenissima, il grande Gentile Bellini. Fino al brusco risveglio della battaglia epocale di Lepanto (1571) per la quale si arrivò anche a rappresentare il turco in catene nella polena dell'ammiraglia di Francesco Morosini, conquistatore del Peloponneso, sconfitto a Candia, ri-conquistatore del Peloponneso, doge nel 1688. Dopo quell'avvenimento i rapporti Venezia-Islam si fecero sempre più difficili, con una marina turca sempre più aggressiva.
La spinta, il "trasporto" di Venezia verso il Vicino Oriente è connaturato con le origini stesse di Venezia, di avamposto bizantino al Nord che le frutta
privilegi imperiali per sviluppare commerci lungo le rotte del Mediterraneo. I veneziani terranno tanto ai buoni rapporti con il mondo islamico (ed alla
ricchezza che ne deriva) da battersi contro i vari embarghi lanciati contro gli infedeli fino a compromettere, nel periodo delle crociate, i rapporti con il papa. Imponendosi nei confronti del mondo islamico "un approccio sempre razionale", Venezia seppe "comprenderne e apprezzarne la filosofia e la
scienza" e costruire legami privilegiati con le grandi dinastie musulmane, Ayyubidi, Mamelucchi, Ottomani della Turchia, Safavidi dell'Iran, espressioni
della "travolgente avanzata islamica" ad Oriente, fin dal settimo secolo, lungo le vie delle spezie e della seta. Venezia sviluppa i rapporti con l'Egitto e la
Siria (ed altre aree del Mediterraneo orientale), in particolare con i Mamelucchi che controlleranno per oltre due secoli (1250-1517) la via delle spezie e di altre merci preziose agognate in Europa.
Venezia porta privilegiata dell'Oriente e per l'Oriente, unica potenza europeaad avere plenipotenziari permanenti nelle città più importanti del Vicino Oriente (Damasco, Il Cairo, Alessandria, Tripoli, Aleppo, Istanbul).
E colonie commerciali in cui le migliaia di mercanti veneziani trovavano da mangiare e da dormire, un bagno, una chiesa, interpreti (e a lungo andare termini arabi
finirono nel dialetto).

Venezia gelosa di questa posizione (e ne sanno qualcosa Pisa e Genova), da cui rilancia e diffonde in Europa la cultura, gli oggetti d'arte del mondo islamico, accolti o elaborati, spesso di qualità superiore a quelli disponibili in Europa. Molti degli oggetti di arte islamica nelle principali collezioni europee che si sviluppano fra XVIII e XIX secolo hanno avuto un passaggio nelle collezioni o nei mercanti di Venezia. L'intero Occidente fonda "la propria visione" del mondo islamico su quello che passa attraverso Venezia.
Lo straordinario, reciproco, coinvolgimento Venezia-Islam e la proiezione sull'Europa sono ben noti, ma non è altrettanto noto uno dei principali
strumenti con cui tutto questo si concretizza, e cioè
che dal 1469, quando le prime stamperie cominciarono ad essere attive in Europa, alla metà del Cinquecento, Venezia fu il maggior centro di produzione libraria a stampa del mondo interessando potentemente il mondo arabo. E che, dopo la crisi della Controriforma, alla fine del Seicento la stampa veneziana
si riprese "mantenendo un alto livello quantitativo e qualitativo fino alla caduta della Repubblica".
I legami commerciali di Venezia, città che nel 1423 aveva quasi duecentomila abitanti ed era considerata la più ricca dell'Occidente, arrivavano in Europa
in Spagna e in Inghilterra. Armeni, turchi e greci "convivevano qui pacificamente". Nel 1621 la Repubblica destinò un palazzo sul Canal Grande, già soggiorno dell'imperatore di Costantinopoli Giovanni Paleologo e di Alfonso D'Este, a sede commerciale dei mercanti turchi. Ad ogni modo un po' di prudenza non guastava e in quello che divenne il "fondaco dei Turchi" era netta la separazione fra turchi europei (bosniaci ed albanesi) e turchi di Costantinopoli ed asiatici (persiani ed armeni). Il palazzo fu usato dai
mercanti fino al 1838. E nel XV secolo, sulla facciata della Scuola degli Albanesi, comparve un rilievo con Maometto II che assedia la fortezza di Scutari e che i veneziani furono costretti ad abbandonare.
Una data glorioso per cominciare la mostra. Una data da dimenticare per
chiudere: quel 1797 quando Venezia smise di essere la Serenissima sotto i
soldati e i codici di Napoleone e diventò poi merce di scambio con l'Austria.
Rapporti fra Venezia e l'Islam, nulla di più attuale e più illuminante in un
periodo fra i più ostili fra i due mondi, problematici anche fra i singoli che
appartengono ai due mondi, perché per secoli Venezia poteva benissimo
rappresentare il mondo occidentale. E infatti la mostra progettata a New York,
da Stefano Carboni del dipartimento di arte islamica del Metropolitan, è stata
prima a Parigi, all'Istituto del mondo arabo, tappa quanto mai significativa,
quindi allo stesso Metropolitan ed ora è arrivata in laguna, organizzata dal
Comune e dalla Fondazione di Venezia. Con un catalogo Marsilio.
Oltre 160 fra opere d'arte e oggetti d'arte, molte veneziane, molte islamiche,
ma anche molte che si fa fatica ad attribuire a questo o a quel mondo a riprova
di "scambi talmente profondi che talvolta gli studiosi di oggi esitano ad
attribuire certe opere ad artisti islamici o veneziani". Sono dipinti, disegni
e incisioni. Metalli, maioliche, ceramiche e vetri, capolavori di arte
applicata in cui, "nel linguaggio artistico veneziano emergono con particolare
evidenza temi, decori, tecniche, saperi mutuati dalla civiltà islamica". Un
vero stile veneto-saraceno. Oggetti di vetro soffiato e dorato, cristallo di
rocca inciso, ma anche materiali modesti come l'ottone trasformati da intarsi
di oro e argento e dalle tecniche di lavorazione, a cesello, a bulino. Ancora
tappeti e tessuti che ritroviamo negli usi più sacrali come il frammento del
tessuto probabilmente dalla Persia nord-orientale degli inizi del XIV secolo, nella tomba di Cangrande della Scala signore di Verona, conquistatore di terre venete, celebrato da Dante nel Paradiso. Libri a stampa, pezzi unici, manoscritti miniati e mappe altrettanto rare.
L'inizio della mostra permette un passaggio esclusivo lungo le logge di Palazzo Ducale. Con l'immaginazione si può ricreare allora lo spettacolo di maestria e
audacia offerto dagli acrobati turchi nella piazzetta di San Marco durante il carnevale. E che viene suggerito in mostra dalla famosa incisione ottocentesca
(su un originale del 1548 circa) del "Volo del turco" che riproduce una passeggiata sul filo. Non solo quindi spettacolo, ma espressione di qualità fisiche e morali, "ammonizione" per i veneziani che consideravano queste
esibizioni da strada "non civili ed espressioni di abitudini viziose".

La mostra occupa l'immensa sala dello Scrutinio. La vera introduzione è la grande tela (118 per 203 centimetri), prestata dal Louvre e dipinta da autore
anonimo a Venezia nel 1511: raffigura "Gli ambasciatori veneziani accolti a Damasco", con relativo cerimoniale all'esterno di una delle porte della città.
Damasco era, dopo Il Cairo, la città più importante dell'impero mamelucco ed una delle piazze più ospitali per i mercanti veneziani. L'autorità del luogo
seduta su cuscini, circondata da dignitari civili e militari dagli alti turbanti o cappelli rossi.
I veneziani, basso berretto tondo, dalla testa ai
piedi in lunghe toghe nere, semplici, solenni, certamente di ottima stoffa.
Scopriamo che fra i loro doni (stoffe preziose, pellicce) c'è già il "parmigiano", il formaggio è anzi uno degli omaggi diplomatici ricorrenti.
Può darsi che l'autore del dipinto abbia fatto parte della delegazione dato il realismo delle scenette e l'esattezza della vista della città dal lato Sud
della grande moschea Umayyad.
Altrettanta significativa introduzione è il Corano stampato nel 1537-38 da Alessandro Paganino: questa presentata è l'unica copia esistente, conservata
nella biblioteca dei Frati Minori di San Michele in Isola. Addirittura nel 1514 fu edito il primo libro stampato in caratteri arabi, a Fano, da uno stampatore
attivo a Venezia. Esempi di quel "clima di intensa creatività" (e di capitali affluiti da ogni Paese europeo), che fecero di Venezia la vera capitale
mondiale del libro. Senza nessuna barriera, di materia, lingua o religione. Per i libri sacri o destinati al culto, un mercato di importanza determinante, a
Venezia si stamparono anche in greco, ebraico, armeno, croato, serbo, ceco, turco, arabo. I caratteri tipografici furono i più vari: romano, gotico, greco,
armeno, cirillico, arabo, glagolitico (definito dal Devoto-Oli come il più antico alfabeto slavo, elaborato dai santi Cirillo e Metodio nell'XI secolo sulla base dell'alfabeto greco corsivo e con qualche elemento ebraico e copto).
Ancora nel Settecento Venezia fu il maggior centro di produzione di libri per i cristiani di lingua turca.
Il punto più alto da parte veneziana degli scambi artistici con l'Islam fu toccato grazie a Gentile Bellini quando il sultano Maometto II da Istanbul, il
"Gran Turco", fece chiedere al doge Giovanni Mocenigo di inviargli "un buon depentor che sepia retrazer" nonostante "sono fra loro per la legge maomettana
proibite le pitture". E il ritratto di Maometto II di profilo (sfuggente), una teletta di 65 per 52 centimetri della National Gallery di Londra, è in mostra.
Nonostante le non buone condizioni di conservazione e le vaste ridipinture, il ritratto viene considerato "essenziale per la nostra conoscenza del sultano".
Vasari scriverà: "Gentile che ritrasse esso imperator Maumetto di naturale tanto bene, che era tenuto un miracolo" e "fu tanta la maraviglia che di ciò si
fece, che non poteva se non imaginarsi che egli avesse qualche divino spirito addosso".
Gentile, che venne scelto per la delicata missione perché dava tutte le garanzie quale pittore della Serenissima, al posto del fratello Giovanni troppo
anziano e troppo prezioso per le commissioni ufficiali che doveva portare a termine, trascorse circa due anni alla corte del sultano, dal 1479 al gennaio
1481. Il ritratto è datato 25 novembre 1480. Maometto II è raffigurato sotto un arco, come "conquistatore del mondo". Indossa un rosso caftano sotto un mantello di pelliccia marrone scuro e sul capo un voluminoso bianco turbante avvolto attorno ad un terminale rosso. Un pesante tessuto di seta per
tappezzeria con trame d'oro e d'argento, arricchito di pietre preziose, steso come uno stendardo su di un davanzale, rende il personaggio ancora più separato, intoccabile dai comuni mortali. Gentile disegnò anche una medaglia in bronzo del sultano (ugualmente esposta).
Secondo una cronaca della corte dipinse "parecchie opere meravigliose", molti degli oggetti lussuosi di cui era pieno il nuovo palazzo del sultano (pochi di
questi dipinti vengono considerati esistenti). Maometto II - ancora secondo Vasari - non avrebbe mai "licenziato" Gentile se la pittura non fosse un
"esercizio" vietato fra i turchi e allora nel rimandarlo a Venezia gli disse di chiedergli qualsiasi cosa. Gentile gli chiese solo una lettera di
"raccomandazione" al "serenissimo senato et illustrissima signoria di Vinezia sua patria". Il sultano lo accontentò aggiungendo un paio di titoli nobiliari, molti privilegi, e ponendogli al collo "una catena lavorata alla turchesca, di peso di scudi dugentocinquanta d'oro". Gentile fu accolto da quasi tutta Venezia in festa (che pensava al successo di immagine che grazie a lui si sarebbe riversato sui commerci), e il doge e il Senato onorarono la
raccomandazione del sultano con una "provisione di dugento scudi l'anno, che gli fu pagata tutto il tempo di sua vita".
In mostra, il ritratto di Maometto è col ritratto del doge Mocenigo, una tavoletta del Museo Correr, di dimensioni molto simili (62 per 45 centimetri) e
sempre di Gentile, dipinta a Venezia non si sa se prima del viaggio orientale (1478-1479) o dopo (1481-1485). Tutti e due di profilo. Ne risulta un bell'incontro di nasi, arrotondato quello veneziano, sfuggente, appunto,
l'ottomano. Dalla punta del "corno", il copricapo dogale, alla veste, al manto, Mocenigo risplende nel dipinto di una luminosità preziosa, un rosso-ocra caldo, fra l'abito tessuto d'oro e il candore dell'ermellino con enormi bottoni d'oro.

Uno degli accoppiamenti di colori del doge che appariva anche in abbagliante color cremisi o rosso scarlatto. Oppure nel damasco rosso-oro come nel ritratto
di un altro doge in mostra, Francesco Foscari, una tavoletta di 52 per 41 centimetri, sempre del Correr, e attribuita al veneziano Lazzaro Bastiani che
l'avrebbe dipinta fra il 1457-1460 o nei tardi anni Settanta del Quattrocento.
Foscari è il doge nato nell'Egitto dei Mamelucchi dove il padre era stato esiliato. Eletto a 49 anni resse il dogato per il periodo più lungo, più di 34 anni, dall'aprile 1423 al 1457, nonostante vicende turbinose e tenebrose. Le guerre contro i Visconti e i turchi (dalle quali però la Serenissima ottenne la
maggiore espansione territoriale); la caduta di Costantinopoli in mani turche nel 1454; le faide fra le grandi famiglie veneziane; i disastri e le calamità
come siccità, maree, gelata della laguna con paralisi della città per mesi, terremoto e peste; un attentato a colpi di pugnale; l'esilio dell'unico figlio
rimastogli di undici, accusato di omicidio, ma senza prove; l'arresto del figlio che aveva violato l'esilio; le dimissioni forzate che ne provocarono la morte di crepacuore. Ed ebbe la beffa dei funerali di Stato. Una vicenda simile non poteva sfuggire ai grandi autori: Byron ne fece la tragedia de "I due Foscari" e Verdi la musicò nel dramma dello stesso titolo.

Gli elaborati motivi floreali che decoravano le vesti sontuose del doge si possono ritrovare sulle stoffe veneziane e ottomane del tardo XV secolo, ma ancora prima sul manto della "Madonna in trono con Bambino", tavola a fondo oro (82 per 52 centimetri), dipinta nel 1369 da Stefano di Sant'Agnese (Stefano Veneziano).
Durante Medio Evo e Rinascimento la medicina e la scienza arabe erano molto più sviluppate che nel mondo occidentale al punto che il testo base degli studenti
di medicina all'Università di Padova era il famoso "Canone" di Avicenna, raccolta enciclopedica della medicina araba e antica. Ibn Sînâ (questo il nome), medico, filosofo, cultore di materie scientifiche, poeta, era persiano di nascita e cresciuto nella lingua araba, vissuto dal 980 al 1037. Nel 1521 la Stamperia Giunta di Venezia editò una edizione del "Canone" tradotto in latino e ampliato che soppiantò le traduzioni medievali diffuse in Europa. In mostra
c'è l'edizione 1544, sempre della Giunta, di "Avicennae Liber canonis, de medecinis cordialibus " con "Cantica cum castigationibus" del filosofo e medico "chiarissimo" Andrea Alpagi di Belluno.
Dai prodotti dello spirito ai prodotti raffinati degli artigiani. I vassoi di Mahmud al-Kurdi, probabilmente dall'Iran Nord-occidentale o dall'Anatolia
Sud-orientale, della fine del XV secolo (provenienti dal Louvre). Sono di ottone o di ottone inciso, con le decorazioni intarsiate di argento, o di oro e
argento. In Occidente venivano usati nelle chiese per presentare o raccogliere offerte e nelle grandi famiglie per sorprendere gli ospiti con la presentazione di cibi, frutta esotica.
Mahmud al-Kurdi è un rinomato, misterioso maestro musulmano i cui "lavori sopravvivono solo nelle collezioni occidentali e che si ritiene abbia lavorato
anche a Venezia". Tecniche e decori geometrici simili a quelli usati da al-Kurdi si ritrovano in vassoi veneziani del XVI secolo.
Ancora, due candelabri con stemmi di famiglie veneziane, in ottone intarsiato d'argento e oro, probabilmente prodotti a Damasco, inizio XV secolo. Profumiera in bronzo a patina in parte dorata, cesellata, bulinata e traforata. Palla
bruciaprofumi in ottone ageminato.
Venivano usate in abbondanza nei palazzi. Venivano anche fatte rotolare sopra i tappeti di seta per produrre vapori aromatici, profumare i tappeti e
l'ambiente. Dallo storico Al-Mas'udi si apprende che nel IX secolo, gli ospiti del califfo Al-Ma'mun ricevevano un bruciatore di incenso per profumarsi prima di incontrarlo. In Occidente i bruciaprofumi venivano usati anche per scaldare le mani.
A fine XV e inizio XVI secolo si diffonde il "Modo orientale" di fare pittura.
I pittori veneziani inseriscono nei grandi teleri per le "Scuole" o nelle pale per le chiese importanti, personaggi contemporanei orientali curati nei
dettagli dell'abbigliamento, nei turbanti, nei segni di distinzione, secondo i disegni fedeli riportati da Gentile "in presa diretta". O il campionario "La
Favorita del Turco. Habiti antichi e moderni di tutto il mondo" di Cesare Vecellio pubblicato a Venezia nel 1598 (presentato in mostra). In molti casi l'ambientazione è fra architetture e interni islamici con esempi di arte decorativa come le lampade di moschea, le celebri mattonelle di ceramica blu.
Il "Modo orientale" era anche favorito dal fatto che santi popolari come Marco, Stefano, Giorgio, Nicola erano vissuti in Oriente prima che diventasse
musulmano.
"Lavorò ancora benissimo le sue pitture, e si dilettò molto di contrafare le cose naturali, figure e paesi lontani, Giovanni Mansueti, che imitando assai
l'opere di Gentile Bellino, fece in Vinezia molte pitture. E nella scuola di S. Marco, in testa all'udienza, dipinse un S. Marco che predica in sulla piazza, ritraendovi la facciata della chiesa, e fra la moltitudine degl'uomini e delle
donne che l'ascoltano, turchi, greci e volti d'uomini di diverse nazioni, con abiti stravaganti".
Così Vasari descrive l'approccio di dipingere di Giovanni Mansueti di cui sono in mostra due opere. "Adorazione", di inizio XVI, dal museo veronese di
Castelvecchio. Ad adorare il Bambino sono già i pastori, mentre sulla sinistra è bloccato il corteo a cavallo di illustri personaggi vestiti all'orientale con alti copricapi. I Magi, ancora con i doni custoditi dai servi.
Il secondo dipinto è datato al 1518 e proviene da Brera. Una scena tutta in verticale (3,25 metri, base 1,35) che parte dal pavimento e sale alle gallerie,
al cortile interno e ad altre gallerie da cui si sbracciano personaggi. San Marco, in quello che sembra un palazzo ufficiale di Alessandria di cui fu il
primo vescovo, è circondato da dignitari religiosi dai gonfi ed elaborati turbanti bianchi e rossi, impegnati in discussioni animate. E lo si capisce. Il
santo, assistito da un discepolo, sta battezzando il ciabattino Anania dopo averlo guarito miracolosamente. La folla musulmana è interrotta solo da tre
personaggi in vesti veneziane e da un bambino a cui forse è sfuggito il cagnetto in primo piano.
Nella tavola "L'adorazione dei Magi" di inizio XVI secolo, del Pittore di Verona (forse Francesco dai Libri), il corteo dei Magi è già arrivato
dall'Oriente, occupa il primo piano del dipinto e si è dispiegato da destra a sinistra fra cavalli e cani. Il Bambino è posato per terra, davanti una costruzione diroccata. Alle spalle una città con mura e torri, in mezzo al mare, collegata da un ponte alla terraferma montagnosa.
Il grande Carpaccio, il pittore delle storie di Venezia, è rappresentato in mostra da un doppio disegno a penna e gesso su carta marrone con "Due donne in
piedi di cui una in costume mamelucco" sul recto e "Testa di uomo, testa di leone" sul verso, datato al 1500 circa. Proviene dal Princeton University Art
Museum. I capolavori del Carpaccio con un ripetuto uso e ri-uso di figure all'orientale sono disponibili nei musei veneziani, alle Galleria dell'Accademia e alla Scuola di San Giorgio.

Per i rapporti fra Venezia e i sovrani ottomani fu determinante Solimano II il Magnifico, condottiero, cultore di lettere e arti, scrittore e poeta, che
conquistò Rodi nel 1522, dalla Turchia si estese verso la Persia e l'India e soprattutto dominò nel Mediterraneo attraverso il re di Algeri suo vassallo. In mostra ci sono la medaglia-ritratto in bronzo probabilmente realizzata a Venezia dopo il 1521 (dal Metropolitan), e il ritratto attribuito al Tiziano. A
fine XVI secolo sono datati quattro ritratti di altrettanti sovrani ottomani che rivelano fiero cipiglio sotto il gonfio turbante bianco. Sono attribuiti a un pittore veronese o alla scuola di Paolo Veronese.
Fra gli oggetti più curiosi in mostra , due battenti di porta lignea alti 146,4 centimetri e larghi 52,4, di produzione veneziana, circa 1575-1600, ma con una
decorazione ispirata altrove. Legno, forse di pioppo, con cornice ed impiallacciatura d'ebano; inserimenti di piastrine geometriche di pietre e marmi preziosi di colore azzurro, rosso cupo; inserimenti di madreperla;
parzialmente dorata e dipinta; parti di ottone e ferro.
Dopo Lepanto (e in mostra c'è un "Fiorone di stendardo" turco offerto al Senato dopo lo scontro), i veneziani incominciarono a rappresentare i personaggi islamici secondo stereotipi negativi: magari che brandivano una scimitarra seduti sui cuscini, come nei disegni acquerellati delle "Memorie turche" o "turchesche" . O occupati in esercizi disdicevoli agli occhi dei veneziani, come gli acrobati del "Volo del Turco" o del "Turco su cavallo" lanciato a pieno galoppo, incisione del 1618 attribuita a Francesco Basilicata, cartografo
e ingegnere militare per la Serenissima. In realtà questi ultimi esercizi contribuivano a fare della cavalleria turca un formidabile strumento militare.
"Due orientali sotto un albero", dipinto dal Tiepolo (Giovan Battista) nel 1742-45 circa. Dalla National Gallery di Londra. Era destinato ad un palazzo
veneziano e questo dimostra che il Vicino Oriente continuava a fornire ispirazioni per committenti ed artisti. Senza dimenticare che uno dei più
preziosi e ricercati prodotti del mondo islamico, i tappeti, erano stati trasformati, distesi sui tavoli, nell'elemento ricorrente attorno al quale si
riuniva la famiglia per farsi ritrarre dagli artisti come nel dipinto di Lorenzo Lotto "Giovanni della Volta con sua moglie e due figli" del 1547. Lotto con una particolare sensibilità per la bellezza piena di colori dei tappeti dell'Anatolia, viene considerato l'iniziatore di questa moda nei ritratti di
famiglia. Certo sulla decorazione di poppa dell'ammiraglia di Morosini, a metà Seicento, il turco era scolpito in catene, ma quella nave si chiamava "la
Bastarda".

di GOFFREDO SILVESTRI

Notizie utili - "Venezia e l'Islam 828-1797". Dal 28 luglio al 25 novembre.
Venezia. Palazzo Ducale, ingresso Porta del Frumento, piazzetta San Marco.
Progetto scientifico con l'Istituto del Mondo Arabo, Parigi, e il Metropolitan Museum, New York. A cura di Stefano Carboni, dipartimento di arti islamiche del
Metropolitan. Organizzata dal Comune di Venezia e dalla Fondazione di Venezia.
Catalogo Marsilio.
Biglietto: per la sola mostra intero 10 euro; ridotto 8 (fra gli altri, gruppi di almeno 15 persone previa prenotazione); ridotto speciale 5 (acquirenti
biglietti "I musei di Piazza San Marco", "Museum Pass Musei Civici Veneziani"; classi di studenti accompagnati dall'insegnante, previa prenotazione).
Orario: tutti i giorni 9-19. Informazioni
mk.musei@comune.venezia.it.
Prenotazioni call center 041-5209070. Pagamento on line con carta di credito fino a 24 ore prima dell'appuntamento.
Itinerario sulle tracce dell'Oriente. A San Pietro di Castello l'opera più curiosa: nella navata di destra la cosiddetta "cattedra di San Pietro", certamente islamica, con decorazione epigrafica, iscrizioni dal Corano e geometrico-floreale. Alla Scuola di San Giorgio degli Schiavoni capolavori del Carpaccio (San Giorgio e il Drago, "Battesimo dei Seleniti"). Basilica di San Marco eretta nel IX secolo per accogliere il corpo di San Marco. Da Costantinopoli proviene la maggior parte dei marmi, i quattro cavalloni della facciata (ora nel museo di San Marco). Di carattere islamico le finestrelle sopra il primo e il quinto portale della facciata con grate a decorazione geometrica. Campo San Giovanni, sulla facciata della Scuola grande di San Marco il rilievo di destra raffigura la guarigione miracolosa di Anania abbigliato all'orientale. Campo Santo Stefano, sulla facciata della Scuola degli Albanesi il rilievo con Maometto II che assedia Scutari. Gallerie dell'Accademia :
tappeti, vesti sontuose, anche con epigrafie arabe, turbanti, nei dipinti di Carpaccio, Veronese, Bellini, Paris Bordon, Mansueti, Tintoretto. A Campo San Tomà , Scuola dei Calegheri, entro la lunetta soprastante l'ingresso, un rilievo con San Marco che guarisce Anania, anche qui in turbante e vesti orientali. Fondaco dei Turchi (oggi Museo di storia naturale), uno dei palazzi più caratteristici sul Canal Grande, con la facciata decorata da patere e formelle. Campo dei Mori e Palazzo Mastelli o del Cammello: tre sculture dei cosiddetti Mori, i fratelli Rioba, Sandi e Alfani, mercanti che giunsero a Venezia nel 1112 e diventarono Mastelli. Il palazzo, sul lato opposto del canale , ha un rilievo con un cammello "da merci".

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V.V

 
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