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050425 - AVVENIRE, di MASSIMO GATTO
genocidio degli armeni - 25,Ap,2005
Di Massimo Gatto

Si può parlare del genocidio armeno, di cui ieri è stato ricordato il 90° nniversario, ruggendo i propri pensieri con la foga dell'heavy metal dentro un'amplificazione da 50 mila watt? Shavo Odadjan, nato ad Erevan trentuno anni fa e bassista dei System of a Down da dieci, lo fa. Anche se il frontman ufficiale del gruppo è Serj Tankian, anche lui armeno, seppur nato a Beirut. «Ho lasciato Erevan con la famiglia nel '79, per volare prima a Roma e poi in California, ma l'attaccamento alla mia terra rimane fortissimo» spiega Odadjan, che il 16 maggio si riaffaccerà coi compagni sul mercato del disco grazie all'album Mezmerize e due settimane dopo, il 30, arriverà in concerto tra le gradinate di un Forum di Assago esaurito da mesi. «Noi armeni - spiega - cresciamo con dentro la ferita del genocidio perché basta guardarci attorno per trovarne tracce ovunque. Mio nonno, ad esempio, non sa quando è nato, quanti anni ha, chi erano i suoi genitori, come, dove e perché sono morti». Quell'albero genealogico troncato novant'anni fa dal fanatismo del movimento ultranazionalista dei Giovani Turchi e dal programma di pulizia etnica attuato dal suo braccio politico, il partito Unione e Progresso, allunga sulle canzoni del quartetto californiano ombre lunghe come il ricordo. Già nel 1998 l'album System of a Down si concludeva con un'incendiaria P.L.U.C.K., acronimo di Politically Lying, Unholy, Cowardly Killers ovvero Politicanti bugiardi, maledetti, codardi assassini, dedicata proprio al silenzio steso dalla storia sulla carneficina compiuta dell'impero ottomano. Ieri, nel 90° anniversario del genocidio, i System of a Down o Soad, come li chiamano i fans, hanno tenuto all'Universal Amphitheatre di Los Angeles l'ormai tradizionale concerto benefico Souls in favore delle organizz azioni che lottano per il riconoscimento da parte del Congresso del massacro armeno. «Lo scopo dell'organizzazione è compiere pressioni sul governo americano e su quello turco perché riconoscano quel genocidio che non compare in gran parte dei testi scolastici americani» spiega Odadjian. «Le resistenze al passaggio della Risoluzione 163 alla Camera e della Risoluzione 164 al Senato degli Stati Uniti poggiano su ragioni geopolitiche ovvero l'utilizzo delle basi Usa stanziate in Turchia, vicino a quella che rimane una delle zone più calde del mondo. Un atteggiamento inaccettabile. Sarebbe come se la Germania per aiutare l'Occidente nella guerra in Iraq dicesse: ok, interveniamo a patto che chiudiate tutti i musei sull'Olocausto. Assurdità pura». Sprofondato nella sua felpa extra large, col lungo pizzetto che gli pende dal mento imprigionato da una serie di nodi, il bassista non dimentica che nell'estate del '39, all'Obersalzberg, fu proprio Hitler a vincere le perplessità dei suoi ufficiali verso la Soluzione Finale dicendo: «Insomma, chi parla ancora, oggi, dello sterminio armeno?». «Così - sbotta -, dal massacro dei cristiani del Caucaso si è passati all'Olocausto degli ebrei, a quello cambogiano, a quello in Rwanda; tutti compiuti mentre il mondo per opportunità o impotenza rimaneva lì a guardare. Ma dobbiamo essere grati all'Europa che ha messo fra le condizioni per l'ingresso turco nell'Unione il riconoscimento delle stragi perpetrate nel 1915».

L'heavy metal dei Soad in un cd contro il genocidio degli armeni

V.V

 
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