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03 05 2007 - Farian Sabahi/ un'estate a Teheran- e un capitolo è sugli armeni
UN'ESTATE A TEHERAN e un capitolo è sugli armeni in Iran.. http://www.laterza.it/brano.asp?id=289
Farian Sabahi un'estate a Teheran

Prefazione

Nella rappresentazione semplificata delle vicende internazionali, soprattutto dopo i grandi «scontri di civiltà» con l’islamismo radicale, l’Iran è soltanto un altro paese musulmano, un po’ più complicato, indecifrabile e minaccioso di quelli che compongono la grande regione mediorientale. Ha un regime che definiamo «teocratico». È governato da uomini che indossano turbanti bianchi o neri e fanno le loro dichiarazioni politiche dal pulpito di una moschea durante la preghiera del venerdì. Ha un presidente che mette in discussione la verità storica del genocidio ebraico. È popolato da donne velate ed è perlustrato da guardie della rivoluzione che misurano la lunghezza degli spolverini, l’ampiezza degli abiti e la lunghezza della ciocca di capelli che spunta da un grande scialle nero chiamato ciador. Ed è beninteso uno «Stato canaglia» che finanzia il terrorismo, mente all’Agenzia internazionale dell’energia atomica e sta segretamente preparando la costruzione di un ordigno nucleare che gli permetterà di dominare la regione.
Ma non appena avrà cominciato a leggere il libro di Farian Sabahi il lettore scoprirà, tra l’altro, che uno dei migliori piloti di rally iraniani è una donna, che uno degli sport preferiti dalle donne iraniane è il kickboxing, che il regime non riesce a impedire un fiorente mercato di film vietati registrati su dvd, che i divorzi sono frequenti e che esistono cliniche legalmente riconosciute in cui i transessuali sono operati nei due sensi. La sodomia è duramente punita, ma un uomo può diventare donna e sposare felicemente il compagno della sua vita precedente. Proverò a spiegare questi apparenti paradossi e a suggerire le ragioni per cui la lettura di questo libro può essere, soprattutto in questa fase politica, particolarmente utile.
L’Iran non è una creazione coloniale, disegnata a tavolino dalle grandi potenze che si contesero il controllo della regione negli anni del Grande Gioco, tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento. È un vecchio Stato, con un’identità storica e una continuità istituzionale comparabili soltanto, nel mondo musulmano, a quelle della Turchia ottomana e dell’Egitto. Ha avuto una corte, un’aristocrazia imperiale, una buona borghesia, una classe mercantile, una letteratura, una poesia, una cinematografia, un’arte figurativa. E ha da molte generazioni una diaspora sparsa per il mondo, composta di studenti, ricercatori, artisti, uomini d’affari che hanno una formazione internazionale, uno stile di vita europeo o americano, ma non hanno mai rotto i vincoli che li uniscono al paese da cui provengono.
La rivoluzione khomeinista può apparire retriva e anacronistica, ma è per molti aspetti il risultato di un riflesso patriottico. Lo scià Muhammad Reza Pahlavi era, a modo suo, un modernizzatore, ma aveva macchie che divennero con il passare del tempo sempre più evidenti e intollerabili. Sedeva su un trono che gli era stato restituito grazie al colpo di Stato organizzato nel 1953 da due potenze straniere, era il principale satellite degli Stati Uniti nel Golfo Persico ed era responsabile di un’economia in cui spreco e corruzione avevano generato grandi ricchezze e grande povertà. L’ayatollah che tornava dall’esilio e il 1° febbraio 1979 scese all’aeroporto di Teheran fu accolto, assai più di Lenin alla stazione di Finlandia, come un liberatore e divenne leader nazionale soprattutto dopo l’invasione irachena dell’Iran nel 1980. I paesi che sostennero il regime di Saddam Hussein (e chiusero un occhio quando il raìs iracheno ricorse all’impiego di gas tossici) farebbero bene a ricordarlo. Mentre gli Stati Uniti e buona parte dell’Europa parteggiavano più o meno esplicitamente per l’aggressore, il conflitto stava fornendo alla rivoluzione iraniana milioni di combattenti che sarebbero diventati i veterani di una guerra patriottica e, grazie ai sussidi del regime, uno dei pilastri della Repubblica islamica. Qualcosa del genere sta accadendo oggi. Le sanzioni decretate dal Consiglio di sicurezza dell’Onu il 23 dicembre 2006, l’opposizione degli Stati Uniti al programma nucleare iraniano e le minacce che traspaiono dietro la politica della presidenza Bush contribuiscono a rafforzare il regime e persino a puntellare la traballante leadership di Mahmoud Ahmadinejad, eletto nel 2005 alla presidenza della Repubblica.
Chi non smette di deplorare l’avvento degli ayatollah al potere dovrebbe piuttosto chiedersi, a questo punto, perché una classe dirigente così occhiuta e fanaticamente rigorosa non sia mai riuscita a spegnere la vitalità della società iraniana. Il decennio riformatore dell’hojatoleslam Khatami, eletto alla presidenza della Repubblica nel maggio 1997 e poi per un secondo mandato nel 2001, può essere interpretato con due chiavi di lettura. È un fallimento per chi constata che il presidente riformatore non poté allentare i vincoli del sistema sacerdotale e non riuscì a rompere la gabbia di pesi e contrappesi con cui gli ayatollah si erano attribuiti il diritto di mantenere la democrazia iraniana in condizioni di libertà vigilata. È un successo per chi riconosce a Khatami il merito di avere liberato le energie giovanili di una società straordinariamente vivace.

Un'estate a Teheran pref. di S. Romano 2007, pp. 158, € 14,00 Collana i Robinson / Letture ISBN 9788842081883 Argomenti Attualità Giornalismo Islam _***************************** «ب cambiato qualcosa in Iran un anno dopo l’elezione di Mahmoud Ahmadinejad alla presidenza della Repubblica Islamica? In prima battuta, sembrerebbe di no, perlomeno in termini di libertà personale. In coda per lo scontrino nella migliore gelateria del quartiere settentrionale di Saadatabad, a Teheran, le giovani Sahar e Roya, iscritte rispettivamente alla facoltà di giurisprudenza e ad arte, fanno il tifo per Ahmadinejad: “ب una brava persona”. Quando chiedo se nelle università la situazione è peggiorata, Sahar e Roya, residenti in un’area borghese, con spolverino chiaro e foulard che copre ben poco, mi guardano stupite e scuotono la testa: “Tantissimi studenti sono dalla parte del nuovo presidente”. Per strada non si vedono le milizie paramilitari, né i terribili Komité sono tornati a pattugliare le strade nelle ore di punta come accadeva negli anni Ottanta e all’inizio degli anni Novanta, quando arrestavano le donne troppo truccate o a capo scoperto. Se non fosse per i foulard, striminziti e trasparenti, che lasciano scoperta la frangia e parte della chioma, potremmo essere in una qualsiasi città europea.» Tornata in Iran per scoprire quali cambiamenti sociali, politici ed economici si siano verificati sotto la presidenza Ahmadinejad, Farian Sabahi vi trascorre un’estate intera. Queste pagine sono il racconto di quell’esperienza, dei luoghi visitati, degli incontri avuti, studentesse, economisti, religiosi dissidenti, transessuali, attrici, atlete, registi. Sono il racconto del suo paese, in bilico tra rinnovamento e tradizione. _************************+ Farian Sabahi figlia di padre iraniano e madre italiana, è nata e cresciuta in Italia e ha studiato a Londra e Bologna. Conoscitrice della realtà iraniana e del ruolo delle donne nella modernizzazione del paese, ha conseguito il dottorato presso la School of Oriental and African Studies di Londra e ha insegnato Storia dell’Iran all’Università di Ginevra. Attualmente insegna Islam e democrazia alla Facoltà di Scienze politiche dell’Università di Torino, al Master in International Human Rights dell’Università di Siena e Modelli di integrazione al Master per manager dell’immigrazione alla Bocconi. ب autrice di numerosi saggi, tra cui Storia dell’Iran (Milano 20062) e Islam: l’identità inquieta dell’Europa. Viaggio tra i musulmani d’Occidente (Milano 2006). ب opinionista della “Stampa”, collaboratrice del “Domenicale del Sole 24 Ore” e consulente del TG1.

V.V

 
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