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050424 - di FULVIO CAMMARANO : «DAL 24 giugno non ho più dormito né mangiato - scrive nel 1915 Giovanni Gorrini, console italiano a Trebisonda -.
Domenica 24 Aprile 2005
Armeni, il primo genocidio
di FULVIO CAMMARANO
«DAL 24 giugno non ho più dormito né mangiato - scrive nel 1915 Giovanni Gorrini, console italiano a Trebisonda -. Ero preso da crisi di nervi e da nausea al tormento di dover assistere all'esecuzione di massa di quelle innocenti ed inermi persone. Le crudeli cacce all’uomo, le centinaia di cadaveri sulle strade, le donne ed i bambini caricati a bordo delle navi e poi fatti annegare, le deportazioni nel deserto: questi sono i ricordi che mi tormentano l’anima e quasi fanno perdere la ragione».
Quella a cui l’atterrito testimone italiano stava assistendo era solo la fase iniziale di una più vasta operazione che, avviata nella primavera del 1915, si concluse nell’autunno del 1916 con il primo genocidio del XX secolo, quello del popolo armeno. Il 24 aprile del 1915, data simbolo di questo crimine, tutti i notabili armeni di Costantinopoli vennero arrestati, deportati e massacrati. A partire dal gennaio del 1915, i turchi cominciarono a deportare la popolazione armena verso il deserto di Der-Es-Zor. Il decreto di deportazione è del maggio 1915, seguito da quello di confisca dei beni, decreti mai ratificati dal parlamento. I maschi chiamati a prestare servizio militare furono fucilati. Non mancarono poi massacri e violenze sulla popolazione civile; i superstiti dovettero affrontare una terribile marcia verso il deserto, nel corso della quale furono depredati di tutti i loro averi. Quelli che al deserto ci arrivarono non ebbero alcuna possibilità di sopravvivere, molti furono gettati in caverne e bruciati vivi, altri annegati nel fiume Eufrate e nel Mar Nero. In pratica, i due terzi della popolazione armena residente nell’Impero Ottomano erano stati annientati, “liberando” così intere regioni. 100.000 bambini vennero invece rapiti e affidati a famiglie turche o curde, perdendo in tal modo cultura, religione e lingua.
All’ombra della Prima guerra mondiale, dunque, è stato progettato un genocidio
destinato a far scuola nella Seconda, se è vero, come riferiscono alcune fonti, che Hitler, il 22 agosto 1939, di fronte all’obiezione sulle possibili ricadute negative del progettato sterminio degli ebrei, dichiarò: «Insomma, chi parla ancora, oggi, dello sterminio degli armeni?». Di quale colpa si era macchiata questa civilissima popolazione che viveva in quella regione dal 3000 a.C.? Semplice: oltre ad essere cristiani, gli armeni avevano lingua e cultura millenarie, e la loro presenza avrebbe impedito il ricongiungimento di Istanbul ai popoli turcofoni dell’Asia centrale, all’epoca sotto il dominio zarista. Gli armeni, situati a mo’ di cuneo fra i turchi dell'Anatolia e quelli del Caucaso, costituivano un’isola in mezzo al grande mare delle popolazioni turche. Erano perciò un ostacolo da spazzare sulla via della realizzazione di questo progetto.
Parlare di questo dramma, però, è stato per decenni, se non proibito, quanto meno ostacolato. All’ostinato negazionismo politico e storiografico sul tema, adottato dai diversi regimi della Turchia moderna, si è accompagnato l’ambiguo comportamento dei governi europei, portati, per esigenze di realpolitik, sin dalla fine del XIX secolo, ad ignorare le richieste di indipendenza degli armeni. D’altronde, anche per questa mostruosità, come per molte delle altre efferatezze messe in atto nel XX secolo, le radici vanno cercate nel secolo precedente.
Il sultano Abdul Hamid II, tra il 1895 ed il 1897, preoccupato dall’attivismo, anche economico, di questo popolo refrattario alla legge coranica, assecondò alcuni pogrom durante i quali vennero uccisi circa 300.000 armeni. Il tutto sotto lo sguardo “distratto” delle potenze europee. Solo il leader liberale inglese Gladstone, negli ultimi anni di vita, fu un fiero assertore dei diritti degli armeni. Peraltro, anche dopo il genocidio del 1915-16, perpetrato dalla nuova classe dirigente dei cosiddetti Giovani Turchi (le responsabilità, in particolare, sembrano ricadere sul partito “Unione e Progresso” che operò attraverso una struttura paramilitare, l’Organizzazione Speciale, in perfetta sintonia con il governo), le potenze europee rimasero a guardare, cercando di attenuare, distinguere, negare la realtà dei fatti accaduti in Asia minore durante la Prima guerra mondiale.
Le cose per gli armeni non andarono meglio dopo la caduta dell’Impero Ottomano: Kemal Ataturk cercò di completare, tra il 1920 ed il 1922, il genocidio. Solo negli anni Settanta il caso armeno è stato riaperto nelle sedi internazionali e sia l’Onu sia il Parlamento europeo hanno riconosciuto la realtà storica dell’olocausto armeno. Ora, nessuno la può più ignorare e forse anche i nuovi turchi “europei” dovranno avviarsi, come minimo, verso una doverosa autocritica. Se l’hanno fatta la Chiesa cattolica, la Germania e il Giappone, possono farla anche loro, o no?

V.V

 
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