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20 04 2007 - L'eccidio dimenticato che pesa sulla Turchia
di Nino Gorio -da ILSole 24 ore

Lo chiamano Medz Yeghern, che vuol dire "il Grande Male". È il genocidio che meno di un secolo fa, nel 1915-16, colpì il popolo armeno: forse un milione e
mezzo di morti, un numero imprecisato di deportati e profughi, un'intera minoranza etnico-religiosa annientata nella Turchia centro-orientale. Fu il
primo sterminio di massa di popolazioni civili del `900, inferiore per numero di vittime solo alla Shoah ebraica nella Germania nazista. Ogni anno gli armeni
di tutto il mondo ricordano quei fatti il 24 aprile, anniversario dell'inizio delle deportazioni; ma di solito la ricorrenza passa in sordina. Quest'anno
avrà più visibilità, per due motivi: la recente uscita del film "La masseria delle allodole" dei fratelli Taviani, che ha fatto riparlare del massacro, e
l'omicidio di Hrant Dink, il giornalista turco-armeno ucciso a gennaio a Istanbul in un attentato di ultra-nazionalisti, che ha dimostrato come in
Turchia il problema delle minoranze sia tutt'altro che acqua passata.
Il Medz Yeghern maturò mentre infuriava la prima guerra mondiale e l'Europa guardava altrove. L'impero Ottomano, prossimo al tramonto, era impegnato contro
la Russia e la guerra andava male. A Istanbul regnava il sultano Mehmet V, ma il governo era in mano ai Giovani Turchi, un movimento nazionalista che
propugnava la laicizzazione dello Stato e la "pulizia etnica" dell'Anatolia.
Gli armeni, minoranza che parlava una lingua a sé e praticava una religione
"sospetta" (un Cristianesimo organizzato su basi autonome, ma affine a quello
della Chiesa ortodossa di Mosca) diventarono così il capro espiatorio per le
cattive notizie che giungevano dal fronte: accusati di simpatie filo-russe,
furono arrestati in massa e massacrati senza alcun processo, solo sulla base
della loro appartenenza etnica. I più fortunati furono deportati nella zona di
Aleppo (oggi in Siria), dove spesso la loro fine fu solo ritardata di qualche
mese.
Non era la prima volta che le minoranze della Turchia finivano nel mirino: già
a fine `800 gli armeni erano stati oggetto di persecuzioni, ma di portata
inferiore. Invece lo sterminio del 1915-16, accompagnato da stupri, saccheggi e
atrocità raccapriccianti, fu totale e non risparmiò neppure i bambini. Il
milione e mezzo di vittime della stima corrente è frutto di un calcolo
prudenziale: fonti armene arrivano a parlare di due milioni e mezzo di morti.
Fonti turche, invece, si limitano a 200mila, cifra inverosimile se si considera
che prima della guerra in Anatolia vivevano 3 milioni di armeni e che nel 1917
intere regioni (come quelle intorno al Monte Ararat e al Lago di Van, cuore
dell'Armenia storica) erano completamente "ripulite". Dall'eccidio si salvò
solo chi riuscì a fuggire in Europa (soprattutto in Francia) e chi abitava
nell'Armenia orientale, che finì nell'orbita russa e nel 1918 diventò uno Stato
a sé, poi inglobato nell'Urss nel 1920 e tornato indipendente nel 1991.

Lo sterminio degli armeni non è solo un problema storico: oggi acquista anche
una valenza di bruciante attualità politica, perché dopo quasi un secolo pesa
sulle trattative per l'ingresso della Turchia nell'Unione Europea, su
importanti progetti economici e, ultimamente, anche sui rapporti
turco-americani. Tutto nasce dal fatto che Ankara si è sempre rifiutata di
riconoscere l'esistenza del genocidio, riconducendo le vittime a un semplice
"conflitto inter-etnico". Anzi, per la legge turca parlare di "genocidio
armeno" è considerato un vilipendio anti-nazionale, punibile come reato.
Vittima di queste norme fu lo storico Taner Agçam, arrestato nel 1976 e
condannato a dieci anni di carcere per aver risollevato il problema. Più
recentemente, nel 2005, un processo simile è stato istruito contro lo scrittore
Orhan Pamuk, Premio Nobel per la letteratura nel 2006; ma un anno fa, dopo
l'importante riconoscimento, l'azione giudiziaria è stata sospesa e quindi
annullata.
L'archiviazione del "caso Pamuk" riflette un ammorbidimento dell'attuale governo turco rispetto a tutti i precedenti: il premier in carica, Tayyip
Erdogan, almeno a parole, si è detto disposto a creare una commissione mista per riesaminare tutta la materia. E un'antica chiesa armena carica di significati simbolici (S.Croce ad Akthamar, un'isola del Lago di Van), finita in disarmo dopo il genocidio, è stata riaperta nel marzo scorso, sia pure solo come museo, grazie a un costoso restauro biennale (1,5 milioni di euro) a spese di Ankara. Ma nei fatti la timida apertura ufficiale deve fare i conti con i
settori ultra-nazionalisti del Paese, contrari a ogni revisionisimo e responsabili di intimidazioni verso i pochi armeni rimasti in Turchia.
L'uccisione di Hrant Dink era stata preceduta da infinite minacce. E dopo aver subito un trattamento analogo gli stessi Agçam e Pamuk, che pure armeni non
sono, hanno lasciato la Turchia per stabilirsi negli Stati Uniti.
Questa situazione ha già avuto riflessi internazionali. Nel 2006 la Francia ha approvato una legge che punisce la negazione del genocidio armeno. E Ankara, per ritorsione, un mese fa ha sospeso le trattative con la società Gaz de France per il Nabucco, un gasdotto che dovrebbe collegare la Turchia all'Europa Centrale con un investimento di 4,6 miliardi di euro. Intanto da marzo la tensione si è allargata agli Usa, dove il Congresso ha in calendario una mozione che qualifica "genocidio" il massacro del 1915. L'iniziativa, che ha già 15 precedenti (Italia compresa) ha provocato un altolà dell'amministrazione Bush, che teme di compromettere le relazioni con Ankara, partner commerciale importante e alleata indispensabile: l'industria americana ha in portafoglio maxi-contratti per la fornitura alla Turchia di materiale strategico, fra cui 106 aerei da guerra; e nella base anatolica di Incirlik fanno scalo gli aerei che riforniscono le truppe Usa in Iraq.
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C'è un bel servizio su Geo di maggio dedicato all'Armenia di Chiara Alpago Novello.
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La Turchia, il Quirinale e i settemila anni di storia
da La Stampa

La marcia indietro del Quirinale: una mostra sugli armeni a Salerno e titolo cambiato e un'integrazione per la trasferta delle opere turche a Napoli


FLAVIA AMABILE

La notizia di questi giorni è che il Quirinale, dopo alcuni tentennamenti, ha deciso di tornare indietro sui propri passi. Dopo Roma la mostra con le opere
turche sarà inaugurata a Napoli a fine aprile, ma con un titolo diverso:
'Anatolia e Turchia: settemila anni di storia'. E conterrà un'integrazione con opere armene. Infine, sarà organizzata una mostra a Salerno di sole opere
armene.





V.V

 
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