Zatik consiglia:
Iniziativa Culturale:

 

 

050424 - Rassegna sul 90° anniversario
Ultime sulla stampa ,radio e TV
> Domenica 24, TG5 edizione delle ore 13.00
Daniele Moro cura un servizio sul 90° del Genocidio Armeno
> Domenica 24 Radio Lifegate (101,5) www.lifegate.it trasmetterà musiche armene di J. Gasparian ai seguenti orari: h.8.40 11.35 16.30
L'ARENA di Verona
IL GIORNALE DI BRESCIA
IL GAZZETTINO DI VENEZIA
LA PADANIA
Grande male
Barbara Casa Angelo Bosio Padre Vartan Kasanjian
MIRKO MOLTENI
ALDO RIZZO, STAMPA DI TORINO
> L'ARENA di Verona
> Venerdì 22 Aprile 2005
> L'orrore in una notte di primavera
> La comunità internazionale dopo novant'anni ancora tace sull'eccidio degli Armeni
> Novant'anni fa, il 24 aprile del 1915, le prime deportazioni e violenze a Costantinopoli diedero il via alla caccia all'uomo: in questa data si celebra da qualche tempo la Giornata della Memoria, tardivo risarcimento dell'oblio calato su uno dei più efferati massacri della storia moderna e tuttora negato dalla Turchia. Fu la prima eliminazione sistematica di un'etnia, quella che ora si chiama "pulizia etnica"
> "Chi si ricorda più degli armeni ?", disse una volta Adolf Hitler per rintuzzare i dubbi che qualcuno dei suoi seguaci gli aveva prospettato a proposito dello sterminio ebraico. In queste secche parole c'è la sintesi della tragedia dimenticata che nel Novecento ha colpito uno dei popoli più antichi e gloriosi dell'Asia Minore : il genocidio degli armeni. Un massacro che rappresentò la prima eliminazione sistematica di un'etnia nella storia moderna, con l'aggravante di una frettolosa rimozione dalla memoria della comunità internazionale, per cui per lungo tempo su di esso è calato il silenzio. Solo in tempi recenti si è cominciato a parlarne e a riconoscerlo ufficialmente. A voce bassa, però, per non provocare attriti e tensioni col governo di Ankara, che tuttora si ostina pervicacemente a negarne l'esistenza.
> Un atteggiamento ignobile, che costituisce un ulteriore sfregio a centinaia di migliaia di vittime innocenti. L'orgoglio e il nazionalismo rendono miope e insensibile la classe dirigente della Turchia, un Paese che ora bussa alle porte dell'Europa con le mani ancora macchiate di sangue e con uno spettro sulla testa che chiede solo una cosa : giustizia.
> Tutto ebbe inizio alla fine del XIX secolo, quando l'Impero Ottomano era entrato nell'ultima parte della sua parabola. Le autorità turche, alla ricerca di un capro espiatorio cui imputare i continui fallimenti della propria politica, diedero il via a una feroce persecuzione del popolo armeno che manifestava aperti desideri di indipendenza. Il sultano Abdul Hamid II, spietato dittatore al potere a Costantinopoli, vedeva nelle minoranze etniche e religiose interne un pericoloso focolaio d'infezione che avrebbe potuto dare un'ulteriore spinta al processo di disfacimento dello Stato ottomano. E lo vedeva soprattutto nell'attivismo rivoluzionario indipendentista armeno, sospettato inoltre di avere stretto alleanza con i russi, i nemici per antonomasia dei turchi. Pertanto passò all'azione, adottando provvedimenti repressivi che altro non erano che uno sterminio legalizzato. Tra il 1895 e la fine del secolo circa 200.000 (secondo alcune fonti, 300.000) persone inermi furono assassinate dai suoi scherani. Le loro affilate lame non si fermarono nemmeno dinanzi a religiosi, malati, donne, vecchi e i bambini. Le città ottomane furono testimoni di una strage continua.
> Dopo questa prima sanguinosissima esplosione, la persecuzione si affievolì. Ma non cessò del tutto : qua e là continuarono piccoli pogrom locali. Poi tutt'a un tratto le cose parvero prendere una nuova, insperata piega. Sul turbolento scenario politico anatolico era venuto alla ribalta un nuovo partito : i Giovani Turchi. I suoi ranghi erano formati in prevalenza da studenti e giovani ufficiali, assertori di una linea modernizzatrice e filo-occidentale della Turchia : intrisi fino al midollo di sentimento nazionalista, si proclamavano tuttavia pronti a garantire alle minoranze etniche e religiose dell'Impero gli stessi diritti dei turchi.
> Nei primi anni del XX secolo essi intrapresero una decisa ascesa politica. Dapprima costrinsero Hamid II a ripristinare la Costituzione da lui soppressa nel 1878. Poi, capeggiati da Taalat Pascià, deposero dal trono l'anziano sultano, sostituendolo col fratello Mehemet V. Ma nel 1913 si sbarazzarono anche dell'accondiscendente Mehmet V, insediando al governo una triarchia formata da Enver Pascià, Taalat Pascià e Ahmed Jemal. Nel frattempo il loro partito aveva mutato completamente i propri ideali, passando da un nazionalismo tollerante delle diversità a un nazionalismo fondato su un'unica etnia, che predicava l'odio razziale. Così, mentre il mondo si avviava verso la carneficina della Grande Guerra, per gli armeni si preparava l'apocalisse.
> Fu proprio lo scoppio delle ostilità a offrire ai turchi il pretesto e la copertura per mettere in pratica i loro piani di annientamento. Con la scusa di trasferire la popolazione armena nelle più sicure e remote regioni orientali del Paese, e con la certezza che l'attenzione del pianeta era totalmente assorbita dagli eventi bellici, nell'aprile del 1915 diedero il via a massicce deportazioni. Nella notte del 24 aprile a Costantinopoli si scatenò una feroce retata che travolse l'intera comunità armena di quella città, una delle più prospere e raffinate dell'intero Impero : ed è questa la data in cui da non molti anni si onora la memoria di quelle vittime. A partire, però, furono soltanto le donne, i vecchi e i bambini. Per gli uomini era stato disposto un trattamento differente : venivano convocati con la fittizia motivazione della formazione di battaglioni combattenti ; ma poi, anziché essere mandati al fronte, erano condotti fuori degli abitati e abbattuti a colpi di moschetto o di spada, spesso dopo aver subito ogni genere di violenze nelle caserme. Operai, intellettuali, commercianti, sacerdoti, tutti furono indistintamente trucidati.
> Ma forse ancora peggiore fu la sorte che toccò ai più deboli, a coloro che vennero deportati e costretti a lunghe e strazianti marce. Sottoposti a continue angherie, senza nulla di che sfamarsi né di che dissetarsi, quelle migliaia di sventurati perirono in massa lungo il cammino. I sopravvissuti furono poi abbandonati nel deserto verso la Siria o la Mesopotamia, e lasciati morire di stenti e malattie nei "campi di raccolta". Alcune colonne furono invece condotte verso i monti a Nord-Est, dove i poveretti venivano bruciati vivi nelle caverne o affogati in massa negli impetuosi torrenti che scendono dal Caucaso.
> In questa carneficina ci furono anche alcuni eroici episodi di resistenza armena. In modo particolare è ricordata la vicenda del Mussa Dagh, il Monte di Mosè, presso Antiochia. Qui per quaranta giorni 4.000 armeni tennero tenacemente testa agli Ottomani, e quando ormai stavano per capitolare furono salvati dal provvidenziale arrivo di un reparto navale francese, sbarcato nel vicino golfo di Alessandretta. Ma fu un caso unico. I pochi altri che si salvarono furono gli armeni di Smirne e quelli che abitavano vicino al confine russo, alcune centinaia di ragazze vendute ai bordelli degli arabi e circa 100.000 orfani adottati da famiglie turche e convertiti all'Islam. Per tutti gli altri, la stragrande maggioranza, non ci fu scampo. Alla fine 1.500.000 innocenti erano stati cancellati dalla faccia della Terra. Quanto ai loro beni, il governo turco se ne appropriò senza riguardi.
> Quando la guerra finì, la Turchia, più che altro per compiacere le nazioni vincitrici, imbastì un processo per giudicare i colpevoli dello sterminio. Fu solo una farsa, che si concluse senza nessuna condanna, per cui i responsabili di quell'orrore rimasero impuniti. Negli anni Ottanta ONU e Parlamento Europeo hanno finalmente riconosciuto il genocidio armeno, e come loro molti Stati. Tuttavia Ankara continua imperterrita nel suo atteggiamento di totale chiusura.
> Sara De Vecchi
-----------------
> > IL GIORNALE DI BRESCIA
> Il 24 aprile ricorre il 90 O anniversario del massacro di un popolo per motivi di odio etnico e religioso
>
Luci della storia sul Grande Male
> Oltre un milione e mezzo di vittime nel genocidio degli Armeni
> Soldati turchi danno la caccia agli armeni a Trebisonda nell'aprile del 1915
> La disperazione sul cadavere di un bambino armeno
Barbara Casa Angelo Bosio Padre Vartan Kasanjian

> Metz Yeghern, "il Grande Male", è l'espressione con cui gli Armeni ricordano la loro tragedia del secolo scorso, quell'eliminazione scientifica che venne perpetrata a loro danno e che aprì le porte ad un secolo di orrori senza fine. Tragedia per troppo tempo dimenticata dal mondo, perché negata alla luce dei fatti e nascosta fra le pieghe di quel silenzio che per molti dovrebbe rappresentare la tomba del male, oggi sta lentamente riemergendo e si propone con il suo carico di dolore e di sofferenza alla nostra coscienza e alla valutazione della storia. Il 24 aprile di quest'anno ricorrerà il suo 90° anniversario e per noi tutti il Genocidio del Popolo Armeno non potrà essere ulteriormente ignorato. Popolazione stanziale che da millenni occupa un territorio che si estendeva originariamente sulla parte nord-orientale dell'attuale Turchia e sulle terre a nord dell'Impero Persiano, fino alle cime del Caucaso, gli Armeni all'ombra del biblico monte Ararat hanno sviluppato le loro radici antiche, che risalgono, per testimonianza di documenti storici già al 3000 a.C. , e al cospetto di questa sacra montagna hanno costruito la loro storia. La loro importanza per la nostra cultura risale fondamentalmente all'anno 301, quando l'opera di evangelizzazione di San Gregorio Illuminatore (Grigor Lusaworitch), missionario formatosi e ordinato vescovo a Cesarea di Cappadocia, porta alla conversione prima del re Tiridate III e quindi dell'intera popolazione armena. Gli Armeni divengono così la prima nazione cristiana della terra e il significato della loro conversione trascende il mero valore spirituale, in quanto la loro nuova fede li accompagnerà indissolubilmente sino ai giorni nostri attraverso peripezie e tragedie storiche. La Chiesa Armena dapprima si inserì nella comunione ecclesiale universale, ma nel 451 d.C. si svolse il Concilio di Calcedonia, il quarto ecumenico per la cristianità occidentale e orientale, cui gli Armeni non parteciparono: per questo la Chiesa Armena Apostolica è annoverata tra quelle dell'antico Oriente cristiano, dette anche precalcedoniche. In realtà il carattere monofisita di questa Chiesa è più nominale che sostanziale e il defunto Santo Padre, Giovanni Paolo II, ha recentemente riconosciuto che la dottrina cristologica degli Armeni non comporta alcuna confusione delle due nature nell'unica persona di Gesù Cristo, firmando il 13 dicembre 1996 una dichiarazione cristologica congiunta con il catholicos di tutti gli armeni, Karekin I. Da 1700 anni gli Armeni si son trovati a patire persecuzioni per la fede cristiana, in una regione che da secoli è enclave musulmana e nella seconda metà del XIX secolo le popolazioni Armene dell'Impero Ottomano si presentano floride e ben inserite nella realtà socio-economica, per cui il Sultano Abdul Hamid II, preoccupato per tale successo, decide di attuare repressioni di massa durante le quali vengono uccisi - nell'indifferenza europea - 200.000 armeni nel periodo compreso tra il 1895 ed il 1897. Agli inizi del Novecento il potere passa nelle mani dei Giovani Turchi, movimento rivoluzionario caratterizzato da un forte nazionalismo, che li porterà a considerare l'elemento armeno come un pericolo interno da combattere ed annientare, specie dopo la decisione del governo turco di entrare in guerra a fianco degli imperi centrali e di lanciarsi in campagne di conquista, che però si smorzano in epocali disfatte, per cui si va ad identificare come diretti responsabili di tali insuccessi gli Armeni. Nel febbraio 1915, il Comitato centrale del partito Unione e Progresso, sotto la guida di due medici - Nazim e Behaeddine Chakir - decreta l'eliminazione della popolazione armena, crea speciali unità epurative con poteri pressoché illimitati e avvia il massacro partendo dalle truppe regolari armene dell'esercito, che vengono disarmate ed eliminate di nascosto. Tra il 24 ed il 25 aprile, 2.345 notabili Armeni vengono eliminati, mentre in rapida successione le popolazioni armene delle province imperiali orientali vengono a loro volta sterminate. Eliminati gli uomini, tra l'agosto del 1915 ed il luglio del 1916 gli Armeni vengono raccolti in carovane composte da vecchi, donne e bambini ed indirizzati verso Aleppo, in Siria, e verso Deir es-Zor, in Mesopotamia, ove giungeranno solo pochissimi superstiti, sopravvissuti fortunosamente alle condizioni di un viaggio inumano di mesi nel deserto, senza cibo, senz'acqua, con l'incubo delle quotidiane torture e violenze perpetrate dalle scorte militari turche, o bruciati vivi nelle caverne. Il consuntivo numerico di questo piano criminale è allucinante e pone il Genocidio Armeno fra i crimini contro l'umanità di maggiore efferatezza, in quanto oltre 1.500.000 Armeni risulteranno sterminati con un'efferatezza, sadismo e perversione che lo pongono in quella speciale luce di martirio, che non solo la motivazione religiosa, ma la stessa valenza umana gli conferiscono. Centinaia di migliaia di quei martiri sono bambini, infanti, fanciulli, la cui lenta agonia di settimane fra stenti e sofferenze non potrà mai più essere cancellata dalle menti di chiunque abbia il coraggio di affrontare la lettura di una delle innumerevoli fonti storiche o fotografiche che ne perpetuano ancor oggi il ricordo dei patimenti. La comunità internazionale si è ricordata solo recentemente di quei tragici mesi, e il Genocidio Armeno è stato riconosciuto, nella sua drammatica realtà, dall'Onu il 29 agosto del 1985, dal Parlamento Europeo il 18 giugno 1997 e da decine di singole Nazioni, città, comunità di ogni parte del mondo.
>
IL GAZZETTINO DI VENEZIA
Venerdì, 22 Aprile 2005
> Durante la notte del 24 aprile ...

> Durante la notte del 24 aprile del 1915, gli agenti della polizia ottomana bussarono alle porte degli intellettuali armeni di Istanbul invitandoli a seguirli nelle loro caserme. Il mattino seguente, migliaia di persone furono deportate per essere avviate alla morte. Era l'inizio del Medz Yeghern, il "grande male", come gli armeni chiamano il primo genocidio del Ventesimo Secolo. Si calcola che in pochi mesi abbiano perso la vita oltre un milione e mezzo di persone: tutti innocenti cittadini dell'impero ottomano appartenenti ad una delle più antiche religioni cristiane del mondo. Il 90. Anniversario di quel massacro verrà ricordato il 24 aprile nel cortile di Palazzo Moroni con una cerimonia di commemorazione alla quale parteciperanno i membri della comunità armena e lo storico Gianfranco Romanato che leggerà alcuni brani legati a quei tragici eventi. Ai partecipanti verrà inoltre distribuito un libretto divulgativo."La città di Padova - spiega l'assessore alla cultura Monica Balbinot - con questa cerimonia vuole dimostrare di essere vicina alla popolazione armena che tanto ha sofferto. È un percorso iniziato nel 1997 quando in consiglio comunale è stato approvato un ordine del giorno con il quale si chiedeva al governo di riconoscere l'esistenza del genocidio". Vartan Giacomelli, presidente dell'Associazione Italia-Armenia ricorda che "per la sua comunità la collaborazione con il Comune rappresenta una importante occasione per fare conoscere ai cittadini quanto è accaduto in quel lontano 1915". Aggiunge Giacomelli: "Va inoltre denunciato l'atteggiamento del governo turco che, non riconoscendo il genocidio, sottrae ad un intero popolo la sua identità. Le autorità di Ankara dovrebbero riflettere, visto che hanno chiesto di entrare nell'Unione Europea".

> LA PADANIA
Ricorre in questi giorni il 90° anniversario del primo genocidio del Novecento: una pagina buia sovente dimenticata
Contro gli Armeni, una Turchia senza pietà
Centinaia di migliaia di vittime innocenti chiedono ancora oggi giustizia mentre Ankara vuole entrare in Europa

MIRKO MOLTENI

Si celebra la drammatica ricorrenza del genocidio degli Armeni, avviato nell'aprile del 1915 dai Turchi Ottomani. L'evento fa riflettere oggi più che mai. Dopo 90 anni, lo sterminio armeno si impone come una spada di Damocle sulla testarda Turchia moderna, che si ostina a non riconoscerlo, pretendendo invece di essere non solo un Paese democratico, ma addirittura "europeo". Incapace di ammettere il massacro delle sue minoranze cristiane, con quale faccia di bronzo la Turchia islamica pretende di appartenere all'Occidente?
> In questo clima, segnaliamo un bellissimo libro sulla questione, intitolato "Storia del genocidio armeno" e scritto da un armeno, il prof. Vahakn Dadrian per la Guerini e Associati. E' una visione ad ampio spettro sulle persecuzioni che colpirono la comunità armena, non solo durante la Prima Guerra Mondiale, ma anche nel periodo precedente.
> UNA STORIA LUNGA E AGGHIACCIANTE
> Con grande attenzione agli aspetti ideologici e giuridici, il libro di Dadrian parte dall'inizio dell'Ottocento, quando le potenze d'Europa intervennero spesso a protezione dei cristiani dell'Impero Ottomano. L'esempio più classico fu nel 1830 il sostegno anglo-franco-russo all'indipendenza della Grecia.
> Col tempo, però, diminuirono gli spiragli di intervento dei Paesi europei, a causa da un lato delle rivalità che li dividevano, dall'altro delle incerte prospettive geopolitiche. Alla fine del XIX secolo i Turchi poterono così radere al suolo cento villaggi armeni solo perchè davano segni di insofferenza all'oppressione.
> Nel 1894 gli Armeni del distretto di Sassun si erano rifiutati di pagare una tangente alle bande di Curdi, correligionari dei Turchi. Il Sultano Abdul Hamid II aveva mandato soldataglia musulmana a compiere massacri. Come a Erzurum, dove il 30 ottobre 1895 furono uccisi 200.000 Armeni. L'allora Ministro degli Esteri austriaco, conte Agenor Goluchowski, non potè che commentare mestamente, il 17 dicembre 1895: "Qualunque altro intervento si concluderebbe con la disintegrazione dell'Impero Ottomano (...) al di fuori delle recriminazioni indirizzate al Sultano, le potenze non possono fare nulla per gli Armeni".
> Presto, anche il neonato XX secolo avrebbe visto nuove, tremende ondate di violenza contro gli Armeni, stavolta sostenute da un allucinante progetto "scientifico". Con l'avvento al potere del partito dei "Giovani Turchi" nel luglio 1908, si fece strada l'idea dell'ottomanizzazione dell'Impero, preludio a un sogno islamico-turcomanno estendentesi fino alle frontiere della Cina. Nonostante una parvenza di riforme costituzionali, la tensione fra la maggioranza islamica e le minoranze cristiane restava salda.
> Dal 14 al 27 aprile 1909 ad Adana si scatenavano violenti moti dei musulmani contro la locale comunità armena. Risultarono quasi 30.000 morti, ma era solo il pallido preludio di ciò che sarebbe successo 6 anni dopo.
> PREMEDITAZIONE DI UN MASSACRO
> Già nell'agosto 1910 il Ministro degli Interni Talaat Pascià delineò in questo brutale discorso l'agghiacciante progetto di "pulizia etnica" dell'Anatolia: "Voi sapete che, secondo i termini della Costituzione, è garantita l'uguaglianza fra i musulmani e gli infedeli, ma voi tutti capite che questo ideale è irrealizzabile. La sharia (legge islamica), il nostro passato storico e i sentimenti di centinaia di migliaia di musulmani, così come quelli degli stessi infedeli, rappresentano un ostacolo insormontabile all'istituzione di una reale uguaglianza. Quindi non ci può essere uguaglianza fintantochè noi non avremo realizzato l'ottomanizzazione dell'Impero".
> Il libro di Dadrian si conferma validissimo nel riproporre tutte le testimonianze, sia di politici turchi (come in tal caso) sia di diplomatici stranieri, che non solo dimostrano la lunga premeditazione dei massacri del 1915, ma anche le loro profonde radici nell'humus culturale turco e islamico. I Paesi europei continuarono a chiedere garanzie sulle riforme della Turchia e, con l'insistenza della Russia, si arrivò l'8 febbraio 1914, pochi mesi prima del conflitto, al cosiddetto Accordo di Istanbul, che prevedeva la vigilanza di ispettori internazionali.
> Ma nell'ottobre 1914 la Turchia entrò nella Prima Guerra Mondiale e gli accordi sfumarono. Talaat Pascià dichiarò al dott. Mordtmann, funzionario dell'ambasciata tedesca a Istanbul, che si doveva "approfittare della guerra mondiale per farla finita definitivamente coi nemici interni, senza essere ostacolati da interventi diplomatici di Paesi stranieri".
> L'ambasciatore americano in Turchia, Henry Morgenthau, testimoniò: "I Turchi criticavano i loro antenati per non aver sterminato o convertito all'Islam i popoli cristiani all'epoca in cui li avevano conquistati. Ora ritenevano che fosse giunto il momento di rimediare allo sbaglio dei loro avi del XV secolo. Conclusero che, una volta realizzato il loro piano, le grandi potenze si sarebbero trovate davanti al fatto compiuto e che il loro crimine sarebbe stato assolto".
> L'ANATOLIA DEI MILLE ORRORI
> La banda formata da Nazim e Behattin Shakir, dal Ministro dell'Istruzione Shoukrie e dal Ministro degli Interni Talaat Pascià, con l'avallo del Gran Vizir Said Halim, organizzò il primo grande orrore del Novecento. Cominciò il 24 aprile 1915, con la retata degli Armeni residenti a Istanbul. Il 27 maggio fu emanata la legge speciale sulle deportazioni. La maggioranza dei 2 milioni di Armeni viveva nelle regioni orientali dell'Anatolia, che iniziarono a essere percorse da soldati turchi o curdi imbestialiti. Talvolta agivano sul posto, fucilando o sgozzando.
> Nella sola giornata del 17 giugno 1915 le milizie curde uccisero 5000 Armeni a Siirt, presso Bitlis. Nella città di Trebisonda, secondo il locale console italiano Gorrini, alla data del 23 luglio restavano vivi solo 100 dei 14.000 Armeni ivi residenti. Più spesso incolonnavano la gente e la facevano marciare allo stremo delle forze. Deportavano quei poveri cristiani nei deserti della Siria, con lo scopo di farli morire di sete, di fame e di malattie. Allucinante la testimonianza pervenuta tramite Philip Hoffman, incaricato d'affari Usa ad Istanbul: "Alcuni agenti hanno visto gli Armeni che mangiavano erba, foglie, cavallette o cadaveri umani (...) il tasso di mortalità, dovuto alla fame e ai maltrattamenti, aumentava sempre di più". Purtroppo, vari ufficiali tedeschi aiutarono i Turchi. Un intero capitolo è dedicato dal prof. Dadrian alla controversa questione della Germania, alleata della Turchia durante la Grande Guerra.
> Fu complicità o semplice omertà? Molti studi sono ancora da completare. Non dimentichiamo però che tantissimi militari tedeschi dislocati in Turchia manifestarono il loro dissenso verso il genocidio, tanto che le fotografie da essi scattate costituirono testimonianze basilari per convincere il mondo che tutto ciò era accaduto.
> Di certo il massacro del 1915 fu il prodotto specifico della Turchia musulmana, inserito in una ben evidente tendenza di lungo periodo. Quel milione di morti rafforza il nostro "no" allo stupido ingresso della Turchia in Europa.
> [Data pubblicazione: 22/04/2005]

>
> Dal 1920 i patrioti si vendicarono sui politici che avevano voluto l'olocausto
> E venne il Giorno del Giudizio...
>
> Dopo la fine della Prima Guerra Mondiale, i maggiori responsabili del genocidio degli Armeni passeggiavano tranquillamente per le città europee. Esautorati dal potere, gli ex-governanti della Turchia Ottomana credevano di poterla passare liscia in quel loro esilio dorato. Ma non avevano fatto i conti coi giovani patrioti armeni del movimento Dashnak, decisi a farsi giustizia da soli.
> Nel 1920 i giovani armeni concepirono la cosiddetta Operazione Nemesis, che prevedeva l'eliminazione fisica, generalmente a colpi di pistola, dei colpevoli. La prima vittima illustre dell'Operazione Nemesis fu l'ex-Ministro degli Interni ottomano Talaat Pascià, ucciso il 15 marzo 1921 sulla Hardenbergstrasse di Berlino. Il suo esecutore, Soghomon Tehlirian, fu processato, ma venne assolto grazie a una brillante difesa che seppe tener conto della portata del genocidio, in cui Tehlirian aveva perso molti familiari. Pochi mesi dopo, a Roma veniva colpito a morte Said Helim, ex-Gran Vizir. In questo caso il "giustiziere" fu il 21enne Arshavir Shiragian, che ci ha lasciato un libro di memorie ora ripubblicato dalla Guerini e Associati.
> Il titolo è assai significativo, "Condannato a uccidere", e ben rappresenta i travagli interiori di un ragazzo che, suo malgrado, si è dovuto trasformare in assassino per punire i massacratori del suo popolo. Nato nel 1900, Shiragian aveva solo 14 anni quando l'Impero Ottomano era entrato nella Grande Guerra. Viveva a Istanbul, nel quartiere cristiano di Pera, dove già nell'ottobre 1914, 6 mesi prima del genocidio, si intuiva che per gli Armeni si avvicinavano giorni tragici. Ecco come racconta le manifestazioni dei nazionalisti musulmani: "La folla terrorizzava la popolazione cristiana e la polizia turca assisteva alla scena senza reagire. Per contro, i membri della 'Sicurezza Generale' erano molto attivi. In borghese, si erano sparpagliati nelle vie laterali e incitavano a dare la caccia a tutti coloro che sembravano cristiani".
> Era venuto il tremendo aprile del 1915 e la famiglia di Shiragian doveva vivere in clandestinità: "La casa che abitavamo noi era diventata il rifugio di 10 o 12 giovani uomini venuti da diverse regioni dell'Anatolia. (...) Ogni giorno arrivavano notizie terrificanti che li riempivano di tristezza e furore, ma contro le quali non potevano far nulla. Se uno di loro fosse stato preso, sarebbe stata la morte per tutti noi". Queste e altre peripezie dovevano portare Arshavir Shiragian ad aderire al movimento patriottico armeno e a partecipare, una volta adulto, alle "operazioni speciali" contro gli aguzzini turchi.
> Nel pomeriggio del 5 dicembre 1921 il ragazzo riuscì a uccidere Said Halim di fronte alla sua abitazione di Roma, in via Bartolomeo Eustachi. Mesi di pedinamenti e appostamenti avevano dato il loro frutto. Halim, l'ex Vizir del Sultano Maometto V, era lì sulla sua carrozza, insieme alla guardia del corpo, il militare turco Tevfik Azmi. Ed ecco Shiragian narrare quegli attimi: "Mi diressi verso quel lato della vettura per saltare sul predellino (...) In quel momento Said Halim si girò e i nostri occhi si incrociarono. 'Yeren' ('mio caro', in turco) ha gridato alla sua guardia con voce supplichevole. Fu l'ultima parola pronunciata da colui che era stato il Gran Vizir dell'Impero Ottomano. Ho letto il terrore nei suoi occhi quando ho puntato la canna della pistola alla sua tempia destra. Ho premuto il grilletto". Subito dopo, il giustiziere armeno si diede alla fuga, la missione era compiuta. Arshavir Shiragian sarebbe emigrato in America nel 1923, divenendo uomo d'affari ma continuando ad aiutare i compagni di lotta fino a quando morì nel 1973.
> Mi. Mo.
> LA STAMPA di TORINO > A 90 ANNI DAL GENOCIDIO, ANCHE LA TURCHIA DEVE FARE I CONTI CON LE PROPRIE RESPONSABILITÀ > Armeni, il primo buco nero del '900 > 15 aprile 2005 > di Aldo Rizzo > Aprile 1915. Novant'anni fa. Comincia una tragedia epocale, in quello che è ancora per poco l'Impero ottomano. Un genocidio, dicono gli armeni, che ne furono vittime. L'altra Shoah, dicono in Occidente coloro che paragonano quei terribili eventi allo sterminio nazista degli ebrei. Di certo, uno dei grandi buchi neri del Novecento, cronologicamente il primo. Al quale finalmente, dopo una lunga e diffusa amnesia internazionale, viene ora dedicato un Giorno della Memoria, il 24 di questo mese. La nuova Turchia non si associa, ma per la prima volta, pressata dall'Unione Europea, nella quale aspira a entrare, abbandona la linea di un'ostinata autodifesa e si dice pronta a un confronto, storico e culturale. Un primo passo, al quale altri, più netti, dovranno seguire. > > La scelta del 24 aprile ha due significati, tragicamente intrecciati. Segna per gli armeni il ricordo di un momento eroico, e glorioso, della loro storia, la disperata resistenza alla repressione turca nella città orientale di Van e la sua momentanea vittoria; ma anche l'inizio della vera e propria campagna di sterminio, condotta da quel momento in poi dal governo di Costantinopoli con la fredda e crudele determinazione di un impero morente, che scatenava su una minoranza incolpevole la rabbia del declino e la velleità di arrestarlo, o d'invertirlo. Al termine della battaglia di Van, i militari russi sopraggiunti raccolsero e cremarono 55 mila corpi di armeni, sparsi per tutta la provincia. Quando i russi si ritirarono, l'esercito turco, invece d'inseguirli, si avventò contro ciò che restava della popolazione locale, dando inizio a una spietata campagna globale, che sarebbe durata almeno due anni e che sarebbe costata, per la minoranza armena dell'impero, un milione e mezzo di morti. > > Traggo questi dati da un libro straordinario di Henri Morgenthau, che fu ambasciatore degli Stati Uniti a Costantinopoli (l'odierna Istanbul) dal 1913 al 1916 e che, come rappresentante di un paese ancora neutrale nella Grande Guerra, poté seguire da vicino quei tragici eventi, grazie anche ai rapporti dei molti uffici consolari e alle testimonianze dei missionari cristiani. Il libro, apparso per la prima volta nel 1918, fu ripubblicato una ventina di anni fa in Francia, utilizzando anche la diffusione di documenti dell'epoca da parte del Dipartimento di Stato (Mémoires, Flammarion). Ma, intanto, perché un così grande odio turco verso gli armeni? > > Novant'anni fa, essi, in Turchia, erano circa due milioni e rappresentavano un'isola cristiana nel mare islamico ottomano. I turchi li sentivano "diversi" anche per una loro maggiore capacità di lavoro e di profitto, rispetto al proprio standard, e la loro identità, frutto di una storia antica, ben più di quella turca e islamica, era avvertita come una minaccia alla coesione dell'impero. Verso la fine dell'Ottocento, il sultano Abdul Hamid ne aveva sterminati almeno 200 mila, provocando l'indignazione del premier liberale inglese William Gladstone, che lo definì pubblicamente "un grande assassino". L'odio era diventato sempre più grande col progressivo sfaldamento dell'impero, dalla perdita della Grecia a quella della Bosnia, della Bulgaria, dell'Egitto, della Libia, di Creta, e ora i fermenti nazionalistici della comunità armena si manifestavano in Anatolia, all'interno stesso della casamadre. Nel 1913, il potere politico era passato con un atto di forza ai Giovani Turchi (Enver, Talaat, Djemal), presunti modernizzatori, in realtà capi non meno dispotici e cinici. E fu con loro che si tentò la "soluzione finale" della questione armena. > > Il libro di Morgenthau, oltre che la documentazione di quella tragedia, è un grande racconto della Costantinopoli degli ultimi anni dell'impero, tra gli estremi sussulti di una potenza ormai dissanguata e gli intrighi della nuova classe dirigente, dimentica delle promesse e avida di privilegi. Su questo sfondo, gli intrecci e gli intrighi della diplomazia mondiale, alla vigilia e nella prima fase della Grande Guerra, perché Costantinopoli significava il Bosforo e i Dardanelli, e sul controllo degli Stretti, in funzione antirussa, gli Imperi centrali giocavano una partita cruciale. Soprattutto la Germania, che era arrivata a stabilire col nuovo governo turco quasi un rapporto di vassallaggio. > > E infatti Morgenthau, che era di origine tedesco-ebraica, vide subito nell'ambasciatore di Berlino, il barone von Wangenheim, il genio malefico della situazione, fino ad attribuirgli la paternità, come dire, strategica di quello che poi sarebbe stato il massacro degli armeni. Gli sembrava che fosse poco "turca" (benché i turchi non scherzassero), ma piuttosto "tedesca", una pianificazione tanto sistematica dell'annientamento di una minoranza (e anche su questa osservazione si fondò più tardi la teoria di un legame, almeno metodologico, con l'Olocausto e quasi di un'anticipazione del delirio hitleriano). L'accusa agli armeni di Turchia fu di connivenza con la Russia, schierata con gli Alleati d'Occidente e nella quale viveva la comunità armena orientale, dopo la fine dell'occupazione persiana. Accusa non infondata, ma riguardo a casi circoscritti, certo non tali da giustificare il piano di sterminio. Che previde la deportazione degli armeni, da qualunque città in cui abitassero, e qualunque posizione occupassero, verso il deserto siriano, con l'idea, per quanto i fatti dimostrarono, di farli morire per strada. E dove non bastavano le fatiche e gli stenti, provvedevano i fucili e i pugnali dei soldati turchi. Il bilancio finale, considerato attendibile dagli storici imparziali, fu, come dicevo, di un milione e mezzo di morti. > > Oggi gli armeni turchi sono circa sessantamila, dei due milioni che erano. La comunità "russa" diventò, dopo la rivoluzione sovietica e dopo vari passaggi, una repubblica dell'Urss, infine acquistando l'indipendenza nel 1991, dopo il crollo, anche, dell'impero comunista. Vi vivono circa 3 milioni e mezzo di armeni, quasi altrettanti appartengono alla diaspora, in varie parti d'Europa, soprattutto in Francia, e del mondo, e sono politicamente i più duri. Nel 1923, con Mustafa Kemal, detto Atatürk (padre della patria), sulle rovine dell'impero islamico, la Turchia diventò una repubblica laica e occidentalizzante, con Ankara capitale. Ma non per questo volle mai ammettere la responsabilità di un genocidio, inserendo piuttosto i fatti del 1915-17, e anche oltre, fra le durezze inevitabili di una guerra mondiale e attribuendo le tante morti di armeni alla fame e alle malattie. La suscettibilità di Ankara fu grande, ogni qual volta un paese straniero (la Francia nel 2001 e più blandamente l'Italia) denunciò con risoluzioni parlamentari il "genocidio", chiedendo che non passasse in archivio senza un riconoscimento della comunità internazionale. D'altronde, la Turchia laica e formalmente democratica, pur con tante anomalie, era diventata un membro molto importante della Nato, e la Realpolitik aveva il suo peso. > > Ma ora - ecco la svolta - c'è una situazione geopolitica del tutto nuova. Al di là della Nato, che è un'alleanza militare, peraltro appannatasi nel dopo-11 settembre, c'è una realtà più contigua e complessa, l'Unione Europea, anch'essa in difficoltà, ma che conserva un formidabile "appeal" politico-economico per il futuro, quale che sia. E la Turchia vuole esserne parte, pagando il prezzo (se così si può dire, perché in realtà si tratta di un ricavo forte e stabile) di un adeguamento delle sue leggi allo standard della democrazia comunitaria. > > Il prezzo include una rivisitazione, finora ostinatamente elusa, delle sue responsabilità storiche di novant'anni fa. Responsabilità, se si vuole, non proprio sue, ma di un regime imperiale defunto, che tuttavia fa parte, e che parte, della sua memoria storica. Il governo islamista moderato di Erdogan, col concorso dell'opposizione, ha proposto una commissione mista (turco-armena) di storici, sperabilmente ad archivi aperti. L'Armenia indipendente, e la sua residua "enclave" turca, ne diffidano, temono lungaggini e ambiguità, chiedono, non a torto, altre iniziative, come l'apertura dei confini e dei commerci. Quanto all'Unione Europea, essa (a maggioranza) vuole con sé la moderna Turchia, ma a certe condizioni, ivi compreso il superamento di quel primo grande buco nero del Novecento.

V.V

 
Il sito Zatik.com è curato dall'Arch. Vahé Vartanian e dal Dott. Enzo Mainardi;
© Zatik - Powered by Akmé S.r.l.