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20 03 2007 - Taviani: Gli Armeni? Un pezzo di memoria cancellata
il sole 24 ore
Intervista ai Taviani: Gli Armeni? Un pezzo di memoria cancellata di Giuseppe Distefano

Elogiato dalla critica al recente 57esimo Festival del Cinema di Berlino, “La masseria delle allodole” esce in Italia in sessanta copie venerdì 23 marzo (produzione Ager 3, in collaborazione con Rai Cinema e Eagle Pictures). A firmarlo sono due maestri italiani: i fratelli cineasti Paolo e Vittorio Taviani. Un film importante, necessario, che scuote le coscienze. Sconcertante.
Destinato a far discutere. Racconta la saga di una famiglia armena travolta dal genocidio. Quella tragedia che novant’anni or sono rischiò con oltre un milione e mezzo di morti, dei quali pochi sopravvissuti smarriti nell’esilio, di cancellare un intero popolo dalla faccia della terra. Uno sterminio organizzato, in nome della Grande Turchia che prevedeva l’eliminazione delle etnie non assimilabili. Il film è tratto dal libro omonimo di Antonia Arslan (scrittrice armena residente in Italia, a Padova, dove insegna Letteratura moderna e contemporanea), che vi esprime la propria identità ispirandosi ai propri ricordi familiari. Il riferimento è alla casa sulle colline dell’Anatolia dove nel maggio del 1915 vennero trucidati tutti i maschi degli Arslanian. Il film comincia con le immagini dell’anziano patriarca della famiglia in punto di morte che con una funesta premonizione “vede” schizzare sulla parete bianca un getto di sangue. Dopo i suoi funerali gli eventi precipiteranno per tutta la comunità. Inizieranno i massacri e la lunga
deportazione di donne e bambini nel deserto dove saranno lasciati morire. Se ne salveranno alcune, con un bimbo scambiato per femmina, dopo una lunga odissea
fino ad Aleppo, in Siria, dove giungono attraverso marce forzate e campi di prigionia. Per raggiungere infine, ma solo qualcuno, l’Italia. Sicuramente dopo la visione del film usciremo volendo sapere di più su questo popolo e su questa pagina buia del ventesimo secolo che ha consumato il primo genocidio rimasto,
oltreché impunito, dimenticato e in parte disconosciuto.
Incontriamo i due registi toscani alla conferenza stampa dopo l’anteprima del film che vede fra il nutrito cast internazionale Paz Vega, Hristo Shopov, Angela Molina, Andrè Dussollier, Alessandro Preziosi, Tcheky Karyo, Enrica Maria Modugno, Mariano Rigillo, Mohammad Bakri.
Come è nata l’idea di un film che racconta il genocidio degli armeni? Nasce da un nostro senso di colpa. Per caso tre anni fa abbiamo scoperto questa
pagina tragica della storia, un pezzo di memoria cancellata. Credevamo di sapere, ma ignoravamo l’efferatezza con cui si è consumato un eccidio
diabolicamente calcolato di uomini, donne e bambini, in nome della “grande Turchia”. C’è una grande ignoranza nella cultura europea e internazionale su questa tragedia dell’intera umanità. La gente non sa, o ne sa solo in maniera superficiale.
Il film è un modo per parlare anche di tante altre tragedie dei nostri tempi con le quali conviviamo?
Sì, e sono orrori con cui abbiamo purtroppo fatto l’abitudine e che si consumano nel disinteresse generale. Al punto che non ne parliamo più. Da tempo
sentivamo la necessità di avvicinarci con il nostro cinema a quella che riteniamo essere la tragedia più cupa dei nostri tempi: gli eccidi tra popoli
fratelli, tra etnie che convivono in Serbia, nel Kosovo, in Rwanda, in terre divise da noi solo da un tratto di mare, e in Africa, in Asia…

Tutto è nato dalla lettura del libro di Antonia Arslan…
E’ un romanzo-documento nel quale Antonia racconta l’olocausto della sua famiglia. Per noi due ha segnato l’incontro tra gli eventi del passato e quelli
del nostro presente. Non ci interessava però, come sempre, disegnare un quadro
storico, bensì seguire alcune creature, i loro particolari destini, e
proiettarli in un grande evento collettivo, che si rivela nel suo orrore oggi
ma che affonda le sue radici nel passato. E' sempre così. Ogni volta partiamo
dal testo di un autore o dal quale traiamo ispirazione, ma ad un certo punto lo
salutiamo per distaccarcene e mettere in moto la nostra fantasia per sviluppare
la storia.
Voi avete sottolineato che non è un film contro i turchi… Infatti non vuole esserlo e non lo è. Non vogliamo offendere nessuno. Noi siamo convinti della necessità che la Repubblica turca entri nell’Unione europea, anche per poter stabilire quel ponte necessario tra l’Europa e la parte mediorientale. Ma siamo anche convinti anche della inevitabilità che il Governo di Erdogan si pronunci pubblicamente sulla verità storica del genocidio armeno,
così come lo hanno fatto a suo tempo Germania e Italia affrontando e condannando il loro passato criminale con il nazismo e con il fascismo. E’ un film, come ha ben espresso Lietta Tornabuoni, “d’amore e di odio”. L’ultima scena vede l’ufficiale turco Youssouf, che si era innamorato, ricambiato, dell’armena Nunik, testimoniare al processo per i crimini contro il popolo armeno. Testimone oculare dell’eccidio denuncia anzitutto se stesso per l’uccisione della donna che ha amato. Il film finisce con la parola amore, che vuole essere una speranza. Ci auguriamo che possa essere proiettato un giorno nelle scuole turche.
Ma la didascalia che compare nei titoli di coda del film ci riporta alla cruda realtà: «Dopo le prime condanne i processi vennero sospesi. Il popolo armeno
attende

V.V

 
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