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22- 01 2007 - Hrand diceva; “Il vero problema della Turchia è il nazionalismo non l’islamismo”
La morte di Hrant Dink
Ucciso giornalista a Istanbul Parlava di genocidio armeno

da ILFOGLIO

Milano. “E’ una legge imbecille, che danneggia la causa armena. Bisogna arrivare a un riconoscimento internazionale del genocidio armeno, ma non al prezzo di limitare la libertà di espressione. Se si vuole che i turchi cambino, si deve poter parlare con loro; si devono togliere dalla loro testa le idee sbagliate e metterci quelle giuste, e questo si può fare solo col dialogo. La legge francese parte dal presupposto che questa gente sappia del genocidio, ma lo neghi; invece lo negano perché non ne sanno nulla. Io sono sotto processo perché scrivo che il genocidio è avvenuto: un processo imbecille come la legge francese. Bisogna insegnare ai turchi la verità, e questo non si fa con una legge antinegazionista”.
Così parlava due mesi fa all’inviato di Tempi a Istanbul nel suo ufficio di direttore del settimanale Agos, nel commercialissimo quartiere di Osmanbey, davanti al portone del quale è stato ucciso a revolverate ieri pomeriggio. Ha fatto fuoco il solito ragazzetto con giubbotto e cappellino, il solito minorenne fanatico che ricorre in tutti i delitti eccellenti della vita pubblica turca: l’anno scorso quello di don Filippo Santoro a Trebisonda, quest’anno quello di Hrant Dink a Istanbul, l’anno prossimo toccherà a qualcun altro.

Non l’hanno protetto l’essere membro onorario del Pen American Center, l’apparire nei rapporti di Amnesty International, le relazioni consolidate col Parlamento europeo, in particolare col vicepresidente italiano Mario Mauro. Dopo quattro processi in cinque anni per “insulto alla turchità” (articolo 301 del Codice penale turco) e annessi, approdati finora soltanto a una condanna a sei mesi con la condizionale, a fare giustizia ci ha pensato il solito teen ager.
Hrant Dink era persuaso che la maggioranza turca poteva essere convinta che il genocidio degli armeni era veramente avvenuto e che gli armeni non erano i traditori della causa turca. A questa aspirazione indirizzava lo sforzo di Agos, il principale settimanale politico della comunità armena in Turchia (65 mila persone): solo il quartino centrale del giornale era stampato in armeno, tutte le altre pagine a partire dalla prima erano scritte in turco. Burbero e lucidissimo, rispondeva in armeno alle domande del giornalista italiano, che la
segretaria di redazione Mayda Saris aveva tradotto in francese.
Sulla situazione politica del paese dopo l’ascesa del partito islamista di Erdogan aveva le idee molto chiare. E sorprendeva l’interlocutore come sulla questione della legge francese sul genocidio degli armeni: “Ma quale islamizzazione, in Turchia la pratica religiosa è in diminuzione. Se oggi il processo di democratizzazione del paese ha qualche possibilità di progredire, dobbiamo ringraziare proprio l’Akp e il suo impegno per l’ingresso della Turchia nell’Unione europea. Il problema di questo paese non è l’islamismo, ma il nazionalismo”.
Come la maggior parte degli intellettuali turchi, Dink aveva perfettamente capito come stava cambiando l’aria nel paese. Dopo quarant’anni di lobbying per ottenere l’ingresso della Turchia nelle istituzioni europee al fine di ancorare il paese alla modernizzazione, il blocco militar-nazionalista che dirige il paese sin dai giorni di Ataturk ha cominciato a frenare quando si è accorto che entrare a far parte della Ue comporterebbe una serie di conseguenze spiacevoli: la fine delle discriminazioni delle minoranze religiose ed etniche, l’impossibilità di rimuovere col solito colpo di stato i partiti islamisti andati al potere con le elezioni e, naturalmente, l’ammissione che un genocidio degli armeni c’è stato.
L’omicidio di Dink porta ben visibile la firma di quell’apparato di potere che va sotto il nome di “stato profondo”. Rappresenterà un altro ostacolo all’ammissione della Turchia alla Ue, che oggi paradossalmente gli islamismi desiderano ardentemente, i militar-islamisti temono in misura crescente.
Lo scontro proseguirà, ma Hrant non ci sarà più. E in qualche modo lo aveva presentito. Aveva scritto un anno fa: “A una conferenza a Istanbul una signora diceva che ricordare i nostri morti significava che volevamo impadronirci del territorio. Sì, è vero, gli armeni desiderano ardentemente questo suolo. Ma non
preoccupatevi. Non vogliamo portare via questa terra, vogliamo venirci ed essere sepolti sotto di essa”.

V.V

 
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