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16 01 2007 - Armenia - Azerbaijan: approvata la Costituzione della Repubblica del Nagorno-Karabakh
da Equilibri.net
Nel Nagorno-Karabakh è stata approvata la Costituzione tramite referendum, anche se internazionalmente la votazione non è stata riconosciuta. I fallimenti nei negoziati e la fine dell’equilibrio di potere tra Armenia ed Azerbaijan potrebbe portare ad una soluzione militare della controversia che si trascina ormai da 15 anni?

Marco Minoretti

Equilibri.net (16 gennaio 2007)

La Costituzione per uno Stato che non esiste

Il 10 dicembre 2006 la popolazione del Nagorno-Karabakh, l’enclave armena situata in territorio azero, ha votato la propria Costituzione, dimostrando la volontà di essere indipendenti dall’Azerbaijan. Con un’affluenza dell’87%, il testo è stato approvato con il 98,6% delle preferenze. L’Azerbaijan, l’Unione
Europea, il Consiglio d’Europa, l’OSCE (Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa) e il GUAM (un’associazione regionale che unisce Georgia, Ucraina, Azerbaijan e Moldova) si sono rifiutati di riconoscere la validità del voto. Si teme, infatti, che ciò comprometta i negoziati che ormai da anni proseguono tra Armenia ed Azerbaijan senza alcun risultato. Tuttavia per la popolazione della regione del Nagorno-Karabakh il valore simbolico del referendum è notevole. Il giorno della votazione, infatti, coincideva
esattamente con il 15-esimo anniversario del precedente referendum che aveva sancito l’indipendenza del Nagorno-Karabakh e dato inizio alla guerra con l’Azerbaijan (sebbene le tensioni fossero già cominciate nel 1988). L’articolo 142 del documento definisce la Repubblica del Nagorno-Karabakh come “uno Stato sovrano, democratico, legittimo e sociale” che detiene tutti i poteri necessari all’amministrazione del proprio territorio.

15 anni senza soluzione

A seguito del referendum del 1991 e dello scoppio della guerra tra azeri e armeni, furono le truppe dell’Azerbaijan ad avere la meglio. Tuttavia gli armeni, aiutati finanziariamente e diplomaticamente dai loro connazionali emigrati, cominciano a conseguire una serie di vittorie ed impadronirsi del Nagorno-Karabakh e delle regioni circostanti. Quando fu firmato l’armistizio nel 1994, le forze separatiste, aiutate anche dall’esercito armeno, avevano occupato oltre alla regione contesa ben sette regioni, corrispondenti a circa al 15% del territorio azero. Cominciati i negoziati di pace, il presidente Heidar Aliyev (e successivamente anche il successore, suo figlio Ilham) si rifiutò di accettare i rappresentati del Nagorno-Karabakh come attori negoziali, scegliendo di confrontarsi esclusivamente con l’Armenia. Ciò ha reso più difficile il compito del Gruppo di Minsk – un organo composto da 11 nazioni e creato ad hoc nel 1992 in seno all’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (OSCE) per mediare tra le parti – che non è riuscito a conseguire nessun risultato tangibile. Dal 2004 il Gruppo ha incaricato tre dei suoi membri più influenti (Francia, USA e Russia) di trovare una soluzione condivisa della controversia. Ma anche il gruppo ristretto non ha avuto maggiore successo nonostante i ripetuti incontri tra le parti (ben 7 dall’aprile 2004).

L’incontro di Rambouillet: un altro fallimento Il 2006 è stato considerato un anno propizio per trovare una soluzione alla disputa in quanto nessuna consultazione elettorale era in calendario sia in Armenia sia in Azerbaijan. Per questo, a febbraio 2006, il Presidente francese Jacques Chirac ha ospitato le due parti a Rambouillet. I due presidenti sono riusciti a trovare un accordo su qualche punto proposto dai tre paesi mediatori. Primo, il ritiro dell’esercito armeno dai territori azeri occupati (esterni al Nagorno-Karabakh). Sembra che i due paesi si siano già accordati sullo status e l’appartenenza di cinque delle sette regioni occupate dagli armeni ma, per ora, tali accordi sono stati tenuti segreti. Invece la regione di Lachin, in ragione della sua funzione di collegamento tra l’Armenia e Nagorno-Karabakh, avrebbe dovuto ricevere uno status speciale. Secondo, Il dispiegamento di una forza internazionale di interposizione nei territori contesi (escluse le truppe dei tre paesi mediatori e della Turchia, che è strettamente legata dll’Azerbaijan). Terzo, lo sminamento e il recupero di tutti i territori in modo da permettere il ritorno dei rifugiati (principalmente azeri) che rimane tuttavia ancora un grave problema per la possibilità di violenze tra le due etnie. Quarto, il riconoscimento di uno status speciale anche alle città azere di Shusha e Khojaly che si trovano all’interno del Nagorno-Karabakh.

Nonostante il presunto accordo su tali aspetti, alcune questione cruciali erano ancora in sospeso e con scarse possibilità di essere risolte: lo status della regione di Kelbaijar (la settima regione occupata); la tempistica del ritiro delle truppe armene dalle regioni occupate; l’organizzazione di un referendum per decidere lo status del Nagorno-Karabakh. Quest’ultima è la questione più controversa da risolvere che ha decretato il fallimento del meeting.
Innanzitutto, bisogna decidere chi ha diritto al voto. È un referendum soltanto per l’attuale popolazione del Nagorno-Karabakh, composta dal 99% di armeni? Oppure per la popolazione che abitava la regione prima della guerra, che era composta dal 25% di azeri? Oppure l’intero Azerbaijan sarà chiamato ad esprimersi? La definizione degli aventi diritto al voto è cruciale perché può modificare l’esito del referendum. Poi, l’Armenia richiede che la data del referendum sia definita prima del ritiro delle truppe, mentre l’Azerbaijan avanza esattamente la richiesta opposta come condizione preliminare alla firma di un accordo. Inoltre, i leader azeri ritengono che accettando lo strumento del referendum si apra la strada non solo all’indipendenza del Nagorno-Karabakh ma anche alla sua annessione all’Armenia. A ciò si aggiungono degli impedimenti legali. Infatti, la Costituzione dell’Azerbaijan considera il Nagorno-Karabakh parte integrante dello Stato e proibisce la secessione di qualsiasi territorio.
Riconoscere l’indipendenza della regione comporterebbe la necessità di modificare la Costituzione e fornirebbe un precedente pericoloso. In ultimo, bisogna notare che nei due paesi la pubblica opinione è poco informata e il dibattito pubblico su tali argomenti è scarso.

Dopo il fallimento di Rambouillet, il leader del Nagorno-Karabakh, Ghukasian, ha dichiarato che i negoziati continueranno a fallire fino a che non verrà permesso all’enclave armena di parlare a proprio nome. Pochi osservatori sono al momento fiduciosi che la situazione possa esser risolta nel breve termine, in quanto l’Armenia voterà per il parlamento nella primavera del 2007 e in entrambi i paesi si terranno le elezioni presidenziali nel 2008. Il primo anno senza consultazioni sarà il 2009.

Scoperte le carte: le reazioni delle parti

A giugno, il diplomatico statunitense del Gruppo di Minsk, Matthew Bryza, ha divulgato alcuni punti della bozza di accordo discussa a Rambouillet per costringere le parti ad arrivare ad una soluzione e provocare un dibattito nell’opinione pubblica dei due paesi. Il Ministro degli esteri armeno ha subito dichiarato che il suo paese non è disposto a ritirare le truppe dalle regioni di Lachin e Kelbajar fino a che non si terrà il referendum. Inoltre, ha richiesto che anche alla regione di Kelbajar venga riconosciuto uno status speciale. Il Presidente Kocharian ha sottolineato che l’Armenia era pronta a adottare la bozza come punto di partenza per ulteriori negoziazioni, ma il rifiuto azero ha bloccato i negoziati. Da notare che nessun partito politico o organizzazione armena ha criticato la possibilità del ritiro delle truppe dalle sette regioni occupate, spesso definite “liberate” dai politici armeni.
L’impianto dell’accordo è stata definito “ragionevole” dal leader dell’opposizione Aram Sargsian, capo del Partito Hanarpetutiun e fratello dell’ex ministro della difesa Vazgen Sargsian, fondatore dell’organizzazione
Yerkrapah per i veterani di guerra. La reazione azera è stata decisamente più dura. Il Presidente Ilham Aliyev, in occasione del discorso tenuto di fronte ai cadetti di una scuola militare, ha definito “inefficace” l’intero processo di consultazioni. L’opposizione in Azerbaijan ha espresso chiaramente la disponibilità a combattere per difendere l’integrità del territorio azero.

Nell’ambito del summit del 28 novembre dei membri della Comunità degli Stati Indipendenti (CSI) a Minks, i due leader si sono incontrati nuovamente.
Nonostante nessuno dei due leader abbia fatto alcuna dichiarazione sull’esito dell’incontro sembrava che qualche passo avanti fosse stato fatto. Tuttavia il giorno dopo il Presidente Aliyev dichiarò che sebbene l’indipendenza fosse da escludersi l’Azerbaijan acconsentiva concedere al Nagorno-Karabakh il più lato
grado di auto-governo ed autonomia sul modello della Repubblica Nakhichevan.
Tale regione, staccata dai confini dell’Azerbaijan e compresa tra Iran ed Armenia, è una repubblica autonoma con il suo parlamento anche se è considerata territorio azero a tutti gli effetti. L’Armenia da parte sua esclude ogni sorta di subordinazione verticale del Nagorno-Karabakh al governo di Baku. Inoltre, la Leadership armena, dal canto suo, ha rivelato che non firmerà mai un accordo che possa essere considerato inaccettabile dalla popolazione armena del Nagorno-Karabakh.

Conclusioni: la fine del balance of power

L’intransigenza dell’Azerbaijan nel dirimere la questione sembra motivarsi da un mutamento negli equilibri di potere tra i due Stati. In passato, la superiorità militare dell’Armenia si è basata sul grande afflusso di capitali provenienti dagli armeni della diaspora. Inoltre, l’Armenia sta patendo un crescente isolamento economico e geopolitico:

1) è stata esclusa dai progetti dell’oleodotto BTC (Baku-Tbilisi-Ceyhan) e del gasdotto BTE
(Baku-Tbilisi-Erzurum) costringendola a rivolgersi al vicino Iran (infatti, nel 2007 dovrebbe essere completato un gasdotto che colleghi i due paesi);
2) Erevan ha subito l’aumento dei prezzi del gas senza avere alcun potere per opporsi alla decisione russa; 3) sta soffrendo il conflitto tra Russia e Georgia, essendo quest’ultima uno dei suoi principali partner commerciali;
4) inoltre, il conflitto del Nagorno-Karabakh ha scoraggiato l’afflusso di investimenti diretti esteri.

Al contrario, l’Azerbaijan negli ultimi anni ha registrato dei tassi di crescita a due cifre grazie all’estrazione e alla vendita degli idrocarburi.
L’aumento delle entrate ha permesso al governo di Baku di incrementare la spesa per la difesa tanto che questa supera l’intero budget armeno. L’Azerbaijan ora ritiene di avere una potenza di fuoco adeguata per prendersi la rivincita della sconfitta subita agli inizi degli anni novanta. A ciò si aggiunge il fatto che il nazionalismo è sempre stato un elemento importante nella retorica e la politica di Aliyev. Lo scoppio di una guerra ad alta intensità appare improbabile nell’immediato soprattutto a causa dei crescenti interessi e
contatti statunitensi nel Paese e a causa dell’interesse russo ad evitare che il Caucaso possa destabilizzarsi coinvolgendo anche la parte settentrionale.
Non bisogna però escludere del tutto che un aumento delle tensioni tra Armenia e Azerbaijan nel medio periodo possa portare ad un conflitto armato. A ciò si deve aggiungere l’instabilità generale della regione (in Cecenia, in Ossezia del Sud e in Abkazia) che accresce la possibilità di eventi destabilizzanti difficili da prevedere e da governare.

V.V

 
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