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06 10 31- Ecco le nuove vittime del genocidio armeno
www.storialibera.it - 31-10 2006
Marina GERSONY
Ecco le nuove vittime del genocidio armeno
tratto da Il Giornale, 5.10.2005.

"Novanta anni. Tanti ne sono passati da quel 24 aprile del 1915 allorché, nella notte, sotto il cielo di Istambul, l'intera intellighenzia politica, economica, commerciale di sangue armeno venne, silenziosamente, eliminata. Un milione e cinquecentomila armeni vennero sterminati in quello che è stato riconosciuto come il primo genocidio del XX secolo". Con queste parole le comunità armene di tutto il mondo ricordano il "genocidio dimenticato", il Medz Yeghern (o Metz Jeghern), ovvero "Il Grande Male". Il 24 aprile è la data ufficiale per la commemorazione. Una tragedia raccontata in molti saggi e romanzi, tra cui ricordiamo: Lo stato criminale di Yves Ternon; La masseria delle allodole di Atonia Arslan; le testimonianze fotografiche di Armin Wegner; Breve storia del genocidio armeno di Claude Mutafian e Metz Yeghern (o Metz Jeghern); I quaranta giorni del Mussa Dagh di Franz Werfel; Diario di un viaggio in Armenia di Alice Tachdjian Polgrossi e tutti i libri di Pietro Kuciukian sull'argomento



Dopo giorni di trattative e di equilibrismi diplomatici, l'Unione Europea ha aperto i negoziati per l'adesione della Turchia, prevista tra almeno un decennio. Così, tra umori oscillanti e bizantinismi di circostanza, si apre un nuovo capitolo della vicenda turco-europea. Però. Però rimane sempre sospesa la questione sul riconoscimento del genocidio, eterno nervo scoperto di Ankara che nega, maschera e rimuove.

Gli armeni - sostenuti da buona parte della comunità internazionale - sostengono che nel 1915-16 l'impero ottomano sterminò 1,5 milioni di loro concittadini che morirono di stenti durante la deportazione dall'Anatolia o uccisi da bande armate organizzate. La Turchia invece respinge la definizione di "genocidio" e dichiara che in quegli anni di armeni ne morirono "solo" 300 mila, meno di quanti furono i turchi uccisi in scontri popolari tra turchi e armeni. (A distanza di novant'anni, il gergo ufficiale di Ankara parla ancora del "sözde ermeni soykirim", il "cosiddetto" genocidio armeno). Alla luce di questo e altro, il clima si è fatto rovente soprattutto fra quegli intellettuali turchi (perché di autori armeni che hanno scritto sull'argomento ce ne sono diversi), decisi a dire la loro in nome di una letteratura all'insegna della verità e dell'impegno civile.

Mentre sui muri di Istanbul capita di vedere degli striscioni con la scritta "Il genocidio degli armeni è una menzogna internazionale" sulla falsa riga di simpatici negazionisti alla David Irwing (sua è la poesiola dedicata alla figlioletta Jessica: "I am a baby Aryan/Not Jewish or sectarian/I have no plans to marry an Ape or Rastafarian"), spuntano i casi come quello recente di Orhan Pamuk, classe 1952, l'"occidentale" colpevole per Ankara di alcune dichiarazioni oltraggiose per l'identità nazionale.

Il più famoso scrittore turco - l'ultimo romanzo s'intitola "Neve", Einaudi, mentre con "Il mio nome è Rosso" ha vinto il Grinzane nel 2002 - oltre alle minacce di morte rischia fino a tre anni di galera per aver "rivelato" a un quotidiano svizzero «che trentamila curdi e un milione di armeni sono stati uccisi dalle nostre parti e quasi nessuno osa parlarne: dunque ci provo io». L'accusa che gli è sttata rivolta è di aver violato la censura a norma dell'articolo 301/1 del codice penale secondo cui «chi insulta i turchi, la Repubblica, l'Assemblea o l'identità nazionale va in cella per 36 mesi». Oggi in patria tutti lo evitano, qualche zelante burocrate ha ordinato il sequestro e l'incendio dei suoi volumi (Kristallnacht docet) e in Europa qualcuno cavalca l'onda e parla di lui come papabile Nobel. Intanto rimangono da leggere i suoi libri, uno fra tutti "La casa del silenzio", dove racconta un'Istanbul antica e moderna, con tutte le lacerazioni e contraddizioni di una metropoli dei giorni nostri.

Orhan Pamuk è solo uno degli scrittori che hanno "osato" discutere la questione armena di fronte all'opinione pubblica: se da un lato il governo di Erdogan ha proposto di recente di creare una commissione congiunta per arrivare a una conclusione sul tema del genocidio, allo stesso tempo ha intensificato il numero di processi contro pubblicazioni che nominano il genocidio armeno. Sgradito in patria è lo storico turco Taner Akçam, condannato alla reclusione sempre per lo stesso motivo, cioè per avere dichiarato che lo sterminio degli armeni in Turchia è stato un genocidio. Nel 2000 fu lui a lanciare un nuovo approccio alla "ermeni sorunu" (la Questione armena) nel suo libro "Svelando il tabù armeno", in cui difendeva la legittimità di parlare del genocidio e aprendo la via al dialogo. La reazione della stampa locale e degli schieramenti politici turchi fu tiepida per non dire ostile, il libro vendette sì e no un migliaio di copie, ma quello fu lo sprone per altri intellettuali a scendere in piazza.

Un altro esponente del dissenso è Ragip Zarakolu, editore che da anni ha sfidato i rigori della legislazione turca pubblicando testi sul massacro armeno, la questione curda e i diritti umani (per diritti s'intendono le condizioni agghiaccianti in cui vivono i reclusi nelle prigioni e nei manicomi turchi). Dopo "I quaranta giorni del Mussa Dagh" di Franz Werfel, Zarakolu ha iniziato un'intensa attività editoriale che lo ha portato a pubblicare una serie di titoli sgraditissimi ad Ankara: non ultimo il libro di George Jerjian "The Truth will set us free", per il quale è stato citato in giudizio lo scorso marzo dalla seconda corte penale di Sultanhamet, a Istanbul, con l'accusa di violazione del codice penale. Nel calderone di chi si oppone, spunta anche il nome dello storico Hilmar Kaiser, che turco non è bensì tedesco, il quale ha effettuato delle ricerche sul genocidio in più di trenta archivi del Medio Oriente, in Europa e Usa. Aveva lavorato anche negli archivi ottomani prima di essere espulso dalle autorità turche nel 1996 per motivi "politici". Ritornato sul "luogo del delitto", ha scoperto nuovi documenti provanti la veridicità dei fatti, anche se «certe collezioni degli archivi ottomani del primo ministro turco rimangono inaccessibili». Come dire, i negoziati sono avviati, ma lunga è ancora la strada da fare.

V.V

 
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