Zatik consiglia:
Iniziativa Culturale:

 

 

1920 ASTUDENTI ARMENI IN ASOLO

Dal primo momento che la notizia d'un prossimo festeg-
giamento per l'Indipendenza armena cominciù a divul
garsi in Asolo, un insolito interesse si manifestò nella cittadinanza e nei circoli dei villeggianti, il quale vieppiù crescendo doveva poi scoppiare in una generale ovazione il giorno che per la prima volta gli Asolani salutarono il tricolore armeno.
Ma prima ancora che questo venisse inalberato dal postod' onore del pogginolo del Municipio, ognuno si domandava quali potessero essere i colori della nuova bandiera destinata ormai a sventolare insieme alle altre, come segno della Indipendenza d'una nazione, costituita in Stato libero.
Erano forse quei d'un minuscolo tricolore in carta esposto d;i qualche giorno nella vetrina d' una merceria ?
Precisamente si trattava di quello armeno.
Varie erano le interpretazioni sul significato simbolico di quel forte contrasto: d'un azzurro bleu posto fra il rosso e l'arancio. Alcuni opinavano die con quelle due gradazioni di tinte calde si volesse alludere al caro prezzo di sangue che la
libertà costò all'Armenia. Agli altri invece, l'arancio accennava all'arco baleno, simbolo di pace che primo apparve sull'Ararat, il rosso ali' olocausto consunto e l'azzurro alla dimora celeste dei martiri. In sostanza nessuno aveva indovinato.
La gravita del momento non permetteva ai prodi, che per primi alzarono quel vessillo, simili considerazioni simboliche. Esso appariva tra le macerie insanguinate, come labaro di risurrezione,quando tutto s' inabissava nel "caos della disgregazione mosco vita, proprio al momento del grido generale : si salvi chi potrà ! Da lembi di panni esso fu cucito da un popolo spinto all'ultimo riparo della sua terra, alle falde dell'Ararat, in situazione disperata per strappare la sua indipendenza dal feroce e perfido Turco. Infatti questi, mentre mandava i suoi delegati a Batoum per parlamentare con quei della Repubblica armena, d' altra parte dava ordine al suo esercito di marciare rapidamente sulla capitale armena e soffocare nel sangue la neonata libertà ; per indi rispondere cinicamente ai plenipotenziari armeni : A che vale discorrere d'una cosa che non esiste ?
Ma la fiera resistenza d' Erivan, organizzata dal valoroso duce Aram, ormai immortale, sventò il diabolico piano del perfido nemico.
Vecchi, fanciulli, donne, tutti corrono sulla breccia. Erivandecide piuttosto soccombere, che lasciarsi sopraffare.
Per dieci giorni intieri un accanito combattimento s'impegna attorno alla capitale armena, tra un grosso esercito regolare e ben munito e quello armeno, senza speranza d'aiuto e sprovvisto di tutto. L'istinto della preservazione mossa dall'eroismo nel
sacrificio infrange, travolge, disperde il nemico in rotta, costrin-
gendo i plenipotenziari turchi ad inchinarsi innanzi al valore armeno e riconoscere l'Indipendenza armena. In queste tragiche circostanze la pace tra la Turchia e la Repubblica d' Erivan fu firmata e la sua Indipendenza riconosciuta. Da quel giorno in poi il tricolore rosso-bleu-arancio, sventola sul territorio della Repubblica d' Erivan, avente il suo regolare Governo, il suo parlamento, i suoi rappresentanti presso i governi Alleati.
^ ^
Primo ad apparire negli albi municipali e nei principali punti della città fu l'invito della Colonia armena alla cittadinanza asolana ad assistere alla conferenza del Prof. Leone Gurekian,che avrebbe avuto luogo la domenica del 29 Agosto nel Salone
nel Municipio.
Seguì quasi contemporaneamente quello dello Sportivo Club asolano rivolto ai soci ed ai villeggianti.

J Indi uscì il manifesto del Sindaco, Comm. Achille Serena. Il triplo manifesto fu letto con evidente contentezza dal pubblico, laddove esso, anni addietro, con ansiosa trepidazione seguiva le vicende del fronte, retrocesso, accidentalmente, a pochi chilo-
metri da Asolo.
Qual mutamento da quel tempo in poi ! Disimpegnata
dall' intreccio dei fili telefonici, che parevano soffocarla, Asolo, con sollievo, ora respira l'aria salubre dei suoi ridenti colli. Non più oscuramenti, restrizioni, file interminate di autocarri, frastuono
di bombardamenti ; non più le schiere di cavalli dei Dragoni sotto il porticato del Duomo, il fumo rampante delle cucine roulantes, Ropoies, dei Poilus, poste sotto le loggie delle facciate dipinte per distruggere quel tantino che il tempo ha risparmiato alla florida epoca della Regina Cornare.
Tutto ormai ha ripreso il suo normale e disciplinato aspetto.
Impavida innanzi al nemico, dopo lungo soffrire, in mezzo alle odierne contorsioni sociali che paralizzano ovunque la vita economica, Asolo, veterano dei secoli, come un centro dove nulla si ripercuote, aspetta placidamente l'alba della Domenica, in cui si desterà tutta imbandierata in festa.
Per una giornata intiera essa si sentirà felice, potrà godere il solazzo benefico del riposo, cingersi di letizia, festeggiare con
esultanza, come se fosse sua, la data memorabile della Indipendenza armena, al grido :
Viva le Nazioni sorelle. L' aurora si accenna tinta di rosee speranze per la giornata.
Eppure il tramonto della vigilia non pronosticava un vellutato azzurro per l'indomani. Dense nubi avevano condotto il sole al di là degli altipiani, e l'orizzonte pure verso l'estesa pianura
un istante infiammato, s'era troppo in fretta smorto in un velo grigio. Come presagio favorevole, il monte Grappa solo si manteneva nettamente frastagliato sullo sfondo lucente delle Dolomiti.
Pare che il sacro monte d'Italia abbia acquistato una maggiore altezza, come se sollevandosi sulle sue basi volesse simboleggiare, in questa festosa circostanza per 1' Armenia, 1' Ararat di eterne cime nevose.
Più argenteo pure luccica, in lontananza, il Piave.
Ormai raggiunta la pianura l'indomito fiume con trastullo descrive i suoi meandri. Dopo la faticosa discesa delle Alpi pur esso vuoi godere quel poco d'esistenza che gli rimane, prima di
raggiungere il gran mare.
Qual sorprendente similitudine, col corso dell' esistenza dei popoli ! Alcuni provenienti da lontani lidi, altri scaturiti e sconparsi immantinente.
Qualcheduno conservando fino alla foce il nome intatto, altri assorbiti da un più potente. Ora esistenza attiva e placida nella
floridezza della pianura percorsa, ora passivi, sbattuti di rupe in rupe : tali avvengono le vicende accidentate della storia dei popoli, o segnalata da fasti oppure da continue sciagure. Talora, infine, vengono precipitati in cascate, frantumati in schiuma, per nprendere più in basso, a gran pena riunendo le sparse parti, il loro corso, però senza attività, per scomparire nelle maremme dell' indolenza.
Ma tutti, sia d'un modo sia d' un altro, diretti verso 1' Oceano :
tali i popoli attratti verso l'ineluttabile loro fine, non lasciando nella storia generale che la memoria del loro passaggio.
Intanto dietro il gruppo dell' Endimione le rosee tinte inattutine si riscaldano. Lentamente si mettono in moto le nuvole addormentate in cerca d'un valico tra i monti, o leggiere si alzano per salutare l'astro del giorno. A poco a poco la natura riprende il suo manto variopinto, le colline le loro graziose ondu-
lazioni, e le vallate le loro ombrose frescure.
In forma d'una aureola di gloria la potente irradiazione
solare si sviluppa dietro la collina della Rocca. Si stacca contro
luce la gigantesca mole posta come un diadema in cima della
sua base piramidale. Abbagliante s'infiamma lo sfondo indorato
sul quale si profilano, fortemente adombrate, le fortificazioni
diroccate della città, il castello, la torre e la torricella.
Spunta finalmente il sole da una merlatura, come un globo
in fusione. Fasci luminosi percorrono giù per le rive, a sbalzi,
per raggiungere la pianura inondata di luce. Raggi rasenti
infiammano i tricolori affratellati che sventolano, dando il se-
gnale dell' inizio della consacrazione del vessillo dell' Indipendenza
armena.








































7
II desiderio di assistere alla festa conduce numerosa folla
dalle valli e dai colli delle pertinenze ad unirsi alla cittadinanza.
Il convegno generale è nella piazza del Pavejon, dove giun-
gono pure i fedeli, dopo aver ascoltato la nobile esortazione del
loro Pastore.
Molti portano già ali' occhiello o sul cappello appuntata la
coccarda armena. Gli altri la riceveranno all'ingresso del Muni-
cipio dove un gentil intreccio della gioventù italo-armena forma
il cordone d'onore.
Giungono, successivamente ossequiati, gli invitati, le rappre-
sentanze, i R.R. P.P. Armeni, Mons. Prevosto, l'onorevole deputato
come rappresentante pure della Camera italiana, ed infine il
Sig. Sindaco, salutato dalla fanfara degli alunni armeni che alterna colla banda cittadina gli inni delle due patrie e le marcie gloriose.
L'austera aula Municipale rompe la rigidità dell' etichetta per rivestire un aspetto più lieto e più gradito. Ma ormai gremita,essa respinge la folla che si ferma sullo scalone, nell' atrio, dolente
di non poter vedere coi propri occhi, ma ancora felice di condividere, in segno della sua solidarietà, e di udire pur indistintamentela voce infuocata che uscirà dal petto di un patriotta per evocare il passato a rivendicazione del presente; per illustrare a grandi pennellate le pagine gloriose e le sventure della sua storia patria; per rilevare la sua cultura e la importanza della sua azione civilizzatrice, dai primordi fino ai recenti eventi; ed infine dire del lungo martirio che valse alla nazione armena il
nome di protomartire della civiltà. Si apre la riunione in un religioso silenzio fra l'attenzione raccolta del pubblico verso l'emiciclo, dove hanno preso posto i tré oratori della giornata, al centro il Sig. Sindaco Comm. Achille
Serena, fra 1' On. Luigi Corazzin e il Prof. Leone Gurekian. Ai lati, Mons. Prevosto A. Brugnoli, i R.R. P.P. Armeni e le Autorità.
Prende la parola per primo il Sindaco.

Onorevoli Signori,II Professor Leone Gurekian che da molti anni è nostrocittadino di elezione e che ha sempre condiviso nel suo animo eletto l'amore intenso per la sua Patria lontana con l'attacca-
mento affettuoso per la nostra Asolo, celebrerà ora innanzi a Voi,con la parola dotta dello studioso e dello storico, le glorie fulgide del popolo Armeno, e vi narrerà attraverso a quali traversie ed a quali dolori e mercé quale costanza indomabile di fede Esso sia oggi giunto a godere il principio della propria
redenzione.
Gli Armeni, che o profughi forzati dall' Asia lontana, o sdegnosi di vivere sotto un giogo obbrobrioso ed anelanti ad un regime di libertà e di indipendenza hanno sempre trovato tra i
nostri colli ridenti la quiete ritemprante dei loro cuori, e costituiscono tra noi una Colonia gradita, festeggiano oggi la loro rinascita, e noi condividiamo con fraterno entusiasmo la loro gioia ed ammiriamo commossi le virtù di un popolo, tra i più antichi del mondo, grande nelle industrie, nelle scienze e nelle arti e sovra tutti esempio magnifico di resistenza alle repressioni
più raffinatamente crudeli del suo spirito di nazionalità.
Già dalla storia dei passati secoli noi conosciamo quanti
cordiali rapporti corressero tra la nostra Regina dell' Adriatico ed
il popolo armeno che, industre e laborioso, dominava i mercati
d'Oriente, e Caterina Cornare degli Asolani domina, Riissima
quale consorte ed erede dei Lusignano recinse la Corona armena ;
a Venezia nell'imperversare delle furiose persecuzioni ottomane
e Méchitar ed altri grandi trovarono conforto ed asilo, e per
essi ebbe origine quella comunione di affetti che rese la terra
venera una seconda patria per molti Armeni.
Ben è doverosa e legittima quindi la nostra partecipazione
ali' odierna commemorazione, essa rispecchia il sentimento spon-
taneo e sincero dell' animo nostro e noi inneggiamo alla grandezza
della Nazione armena, al suo sicuro avvenire di gloria e pro-
sperità, all'adempimento completo dei voti degli Armeni per una
Patria Indipendente e Sovrana nei propri territori, rispettosa












































degli altrui diritti, ma altrettanto ferma nell' esigere il ricono-
scimento integrale delle proprie nazionali rivendicazioni.
L'Italia e 1' Armenia già sorelle nel soffrire, redente e com-
piute devono vieppiù affratellarsi nei commerci, negli interessi e
nelle prosperità che ai popoli forti, civili e liberi sono indubbia-
mente riservate.
Viva 1' Armenia.
Il pubblico partecipa con una calorosa manifestazione alle
nobili parole del Sindaco. Quindi finiti gli applausi 1' Onorevole
Deputato del Collegio della provincia di Treviso, On. Corazzili,
comincia :
Signore, Signori,
Ci sono dei popoli che sembrano spinti da un avverso
destino, lontani dai luoghi consacrati dalla tradizione, dalla storia,
dai ricordi, che avevano formata la loro Patria.
Una dolorosa rassegnazione, una gioia del soffrire impedisce
al vinto di resistere al vincitore ; il debole, non per colpa o per
inferiorità di razza, ma il più delle volte, per sommessione a un
fato ritenuto ineluttabile, accetta il supplizio o l'esilio.
E allora vediamo questi popoli, doloranti pel ricordo della
patria perduta, aggirarsi smarriti intorno a noi, malcontenti di
se stessi e di quanto li avvicina con un doloroso senso di sgo-
mento nell' animo che si riflette nello sguardo stanco e continuo
bisogno di movimento che non da tregua o riposo.
Avviene ai popoli oppressi quello che avviene nel regno
degli spiriti : anime perdute che vanno pel mondo a narrare la
triste tragedia della lor vita errante; cuori non allietati da ricordo
del focolare paterno, forgiati nel disinganno, temprati nelle av-
versità, cuori selvaggi che rattristano perché senza luce e senza
speranza.
E noi Italiani ben conosciamo questa condizione psicologica,
l'abbiamo vissuta con le lotte dei nomi nostri, quando l'Italia
era creduta la terra dei morti e lo staffile straniero martorizzava
le carni ribelli e la volontà nemica costringeva il pensiero nelle
strettoie della censura, sotto la minaccia vigile delle spie implacabili.











































La conoscemmo ieri quando il Veneto venne invaso e le
nostre terre furono dominio del nemico e per un anno trepidammo
al pensiero dei fratelli caduti sotto un servaggio, peggiore della
schiavitù, più penoso della morte.
E perciò il vostro grido d'indipendenza, o figli d'Armenia,
è compreso da noi che ci sentiamo vostri fratelli nel desiderio
ardente di libertà che irrompe dalle anime nostre.
La terra, la Patria vostra, guardata dal Caucaso, dominata
dall'Ararat, morente negli specchi dei laghi di Urmia e di Wan
e del Mar Caspio e confinante infine con l'Asia Minore, special-
mente la Cilicia, aspetta da secoli quella libertà della quale
nessun eccidio e nessuna strage potrà impedire il trionfo. Voi
avete soffocato per secoli il singhiozzo, lanciando ai popoli il
vostro grido di pietà : ma i popoli non l'avevano raccolto quel grido.
Perché la diplomazia della barbarie non era morta col sangue
della rivoluzione di Francia, perché più che il trionfo della libertà,
hanno potuto i compromessi dei principi, gli egoismi dei commerci,
le invidie delle nazioni.
Perché ogni impeto di popolo che traeva alimento dall'e-
roismo dei pochi, era subito trattenuto ed arrestato dalle potenze
preoccupate solo di mantenere l'equilibrio dell' Europa e del mondo.
Equilibrio instabile, retto dall' egoismo più raffinato, che
impediva di vedere le lagrime dei popoli che gemevano sotto la
sferza straniera.
Ma lentamente, andava maturandosi una coscienza nuova,
senza che i governi ne sospettassero 1' esistenza.
Le classiche ragioni della diplomazia bugiarda andarono ca-
dendo e l'Italia fu libera dapprima e Grecia poi.
L' Armenia potè sperare col trattato di Berlino che si apris-
sero giorni migliori : ma il 95 ed il 96 segnarono un solco
sanguinoso nella storia con gli eccidi di Sassun, con quelli di
Semai, con le orribili atrocità delle orde Curde condotte da
Talib Effendi.
E fu un susseguirsi di proteste sui protocolli degli esteri,
proteste inutili, perché solo la libertà avrebbe dato all'Armenia
la pace.
Oggi essa brilla sull'orizzonte.
La guerra feroce che ha sconvolto il mondo, ha fatto com-











































prendere quali siano le basi sulle quali deve reggersi la libertà
dei popoli, nella osservanza reciproca della libertà di ciascuno.
E le nuove tavole che regoleranno il mondo non sono state
segnate dal Mosè venuto d'America, ne elaborate attraverso gli
inganni e i piccoli intrighi del congresso di Parigi, ma furono
invece formate attraverso le lagrime e i dolori del mondo, lagrime
e dolori che hanno fatto comprendere ai popoli il fraterno senti-
mento che li deve animare, senza del quale non v'è che forza
brutale e odio dissolvitore.
Dalla guerra sono sorti gli stati nuovi di Polonia, di Ucraina,
degli Slavi, stati in formazione che lottano ancora per conquistare
il diritto ali' esistenza ancora negata dal forte che non vuoi per-
dere la preda.
Ma tu hai vinto, Polonia, terra della fede, muraglia tremenda
al dilagare del male nato sulle sozzure della corte dei Czar, e
tu pure vincerai, Armenia, vincerai per le vittorie della tua
sorella quasi latina.
L'armistizio sembra concluso. La pace verrà.
I protocolli della diplomazia saranno cancellati là dove me-
nomavano la tua indipendenza piena e sicura.
E fatale che sia così : che 1' opera degli uomini venga
modificata da quella della Provvidenza che guida il mondo verso
giorni migliori.
E l'Italia deve per prima riconoscere il patto voluto da
Dio, perché voi tutti possiate ritornare nella vostra Patria, o
Armeni, che abbiamo veduto passare in mezzo a noi, che siete
vissuti con noi, umili e sapienti, nella vostra isola della laguna,
nido di quiete e di austerità, fatto per preparare gli spiriti alla
lotta e il cuore alla bontà.
Un altro fragoroso battimani saluta le indovinate parole
dell' On. Deputato che nella evocazione del martirio e della
vittoria armena seppe attingere gli argomenti più eloquenti.
Un impercettibile movimento del pubblico denota l'atten-
zione intensa rivolta verso il conferenziere della giornata, al
quale la simpatia venuta dalla lunga conoscenza si unisce alla
stima pel patriotta, ben noto per la sua opera indefessa nella
causa armena.












L' ufficiale riconoscimento della Indipendenza armena in
Stato libero, sanzionato col recente trattato di pace che gli Alleati
imposero alla vinta Turchia, mi offre l'ambita occasione di rivol-
gere la mia parola, in questa aula di solenni commemorazioni,
alla eletta cittadinanza asolana : alla quale ormai sento d'appar-
tenere, per diritto di anzianità e per l'intima convivenza nei
giorni di dolorose vicende come in quei di esultanza e di gioia
per la vittoria finale.
Sono orgoglioso di avere assistito, quasi testimonio oculare,
a quella fiera resistenza dei vostri fratelli contro la quale s'è
infranta la baldanzosa ira dei nemici. Tra questi si trovarono
pure i nostri secolari oppressori, i Turchi, che la stolta vanità
della egemonia mondiale, dalle lontane regioni dell' Oriente, aveva
condotti sul sacro suolo della civiltà latina.
Accorsi in cerca di bottino, i barbari predoni incontrarono
sul territorio asolano la loro tomba. Grappa, monte oramai leo--
gendario, li fulminò dall'alto; e Piave, furente, trasportò i loro
cadaveri mutilati. Così la giustizia trasse vendetta dei vostri e
dei nostri martiri.
Cosicché, in quelle tragiche ore, il territorio asolano, tale
come esso venne deliminato dal decano degli storici asolani, 1' onesto
e coscienzioso Gaspare Furlani, divenne, colla sua barriera di
monti e col fiume che lo definisce dall'Oriente, il campo della
battaglia e dell' onore : là dove si vince o si muore.
Come l'Italia, nella pienezza del suo vigore giovanile, non
poteva soccombere, cosi riportò brillantemente la palma della vit-
toria, ottenendo in premio le sue giuste e legittime rivendicazioni.
E un fatto - se non è il mio affetto per Asolo che mi





























Signore, Signori,



















































detta - fatto assai notevole dal punto di vista storico, che ad
un dato momento, questi ridenti colli asolani, trasformatisi in
trincee naturali, costituirono il fulcro di resistenza dell' esteso
fronte unico degli Alleati: del quale quello italiano formava il
centro, avente per ala sinistra il fronte franco-belga, e per la
destra quello di Salonicco e della Palestina.
Ivi, sotto il comando del generale Allemby, dieci mila Armeni
anelanti pure di liberare la loro patria, avevano raggiunto la Ci-
licia armena: allorquando il precipitoso armistizio li fermò alle
porte del loro suolo nativo.
Armena dico, e non altrimenti. Poiché nessun trattato,
nessun patto avrà il potere di togliere al patrimonio nazionale
quel lembo dì terra, legittimo possesso nostro, non solo per il
dominio non interrotto di tré secoli dell' ultima dinastia armena,
quanto più ancora per aver servito, da tempi immemorabili, come
un centro di cultura armena e come campo dell' attività com-
merciale del popolo armeno : fattosi, in tal modo, 1' anello di
congiunzione naturale nello scambio dei prodotti fra 1' Europa
e 1' Oriente.
Non vorrei però che il nostro forte risentimento contro il
prevalente principio ammesso, il quale per mantenere l'integrità
.della Turchia ci nega l'unica diretta via di comunicazione col
gran transito mondiale, mi facesse anticipare la dimostrazione
dei secolari diritti dell'Armenia sulla Cilicia, quanto la Francia,
per esempio, non sarebbe in grado di addurla per annettersi
1' Alsazia Lorena ; come lo stesso Bullet, celebre filologo storico
francese, asserisce allorquando conclude che la momentanea domi-
nazione non può alterare il carattere etnico di un paese.
Non voglio intendere parlare, dice Bullet parlando dell' Al-
sazia, di quel numero di Francesi che ivi si stabilirono dopo la
conquista. Ciononostante gli Alsaziani conservano a Strasburgo
stessa, la loro lingua naturale. Molti imparano il francese, ma
fra di loro non parlano che il tedesco.
E tanto basti per l'Alsazia; in quanto alla Cilicia, persino
la storia d' Asolo, colla sua beli' epoca della regina di Cipro, che
oltre di Gerusalemme si chiamava pure dell'Armenia, ci porge
la valida testimonianza per provare che la Cilicia fa parte integrale
del patrimonio armeno.







Ma prima di procedere a rilevare l'antichità del nome armeno,
parlare delle sue memorie della sua storia, ed infine sul significato,
l'importanza, di questo novello risorgimento, e quali possono
•essere i pericoli dell' incertezza politica dell' indomani ; desidero
spargere di fiori i campi, ove riposano gli eroi dell'ottenuta vittoria.
Fu immenso, ahimè^ l'olocausto ; e nessun popolo ricusò il
•suo volontario contributo.

*) Iscrizione incisa sulla fonte del torrente, detta acqua della Regina, in Asolo.




























Il pericolo dell' esistenza nazionale obbligò a tutti infiniti
sacrifizi.
In qual proporzione il territorio asolano vi concorse, basti
osservare la lapide commemorativa che decora la testata dello
scalone d'onore di questo Municipio.
Noi, Armeni, accolti dovunque sempre con larga e generosa
ospitalità, ma più particolarmente in questo delizioso lembo di
terra italiana, con religiosa ammirazione, porgiamo omaggio alla
memoria di quei prodi.
Non nel marmo dai caratteri d'oro, ma come appariscono'
scintillanti nella volta del cielo, in gemme lucenti saranno incise
nella memoria dei posteri i nomi di tutti gli eroi martiri, che
insieme alla loro propria causa, strenuamente difesero quella
pure umanitaria, delle vittime innocenti della feroce barbarie :
causa sacrosanta che agli altri invece, nel brio della loro eloquenza,
quando giudicarono sfiorarla, servì spesse volte da tema saliente
per stimolare i combattenti volonterosi, pronti ad affrontare, im-
pavidi, la morte ! per la vittoria del Diritto e della Giustizia.
Con questa convinzione gli eroi versarono il loro sangue
generoso : per l'altare della patria e per la libertà dei popoli
oppressi.
E per citare 1' opuscolo mio intitolato « L' Armenia nell' anima
Italiana»; è quel puro e sublime olocausto che fecondando la
terra, farà sorgere la forza nella nobiltà, disposta ad ogni volon-
tario sacrificio, per il trionfo finale della futura religione della
Giustizia.
Intanto l'immolazione di oltre un milione di innocenti ed il
valore di 150.000 combattenti, coi quali l'Armenia partecipò per
la vittoria degli Alleati, le dovevano insegnare a discernere i
veri amici.
La spontaneità colla quale la cittadinanza asolana accorse
oggi a celebrare la commemorazione dell'Indipendenza armena è
la prova la più evidente della amicizia tradizionale e sincera del
popolo italiano per quello armeno ; amicizia, che da secoli unisce
due popoli, d'idioma e di patria differente, ma appartenenti alla
stessa civiltà, intenti ad un medesimo ideale, alto e sublime^
finora mai sfiorato ne raggiunto : la fratellanza dei popoli nell' ar-
monia universale.









































Era una convinzione ed un uso generale nei secoli primitivi
di ammettere che ogni città, ogni popolo avesse ricevuto il nome
dal suo fondatore. Così Troia era costruita da Tros, gli Italiani
discendevano da Italo, i Latini da Latinus ed i Tirreni da Tirrenus ;
ed alfine di rendere le sue origini più verosimili si accompagnava il
nome del preteso fondatore con qualche storiella che in seguito si
accettava come verità.



Così fu per Roma, che ebbe per fondatore Remolo, il quale
dopo la sua tragica morte ricevette gli onori divini. Numa detto il Savio, lo collocò nel rango degli Dei, e con nome Quirinus ebbe gli onori divini. - Quirimis perché e' è chi dice eh' egli fosse della schiatta sabina, detta Quirites, che fu assorbita nella popolazione romana.
I natali della storia del popolo armeno non potevano quindi
sfuggire a questa norma generale : perciò confusi nella leggenda.
Lo stipite è un eroe di nome Haìg, detto l'armeno ' Haig, come
si direbbe il Latino od il Sabino Remolo.














Haìg uccide di propria mano il famigerato cacciatore alquanto
leggendario Bei, l'orgoglioso, che sfidò colla sua torre il cielo
e provocò la confusione delle lingue. Salva, in questa maniera,
l'Armenia dal giogo tiranno. Gli indigeni usarono chiamarsi, in
memoria del loro salvatore, Hai : donde Hayastan la loro patria,
come al presente ancora gli Armeni usano chiamare l'Armenia.
Naturalmente Haìg, dopo la sua morte, fu divinizzato ; ma
ad eccezione di tutti i suoi colleghi fondatori, invece di identi-
ficarsi nel sole, egli diventò la costellazione dell'Orione dei Greci.
Facendo eccezione, ho detto, perché i nomi di tutti i primi
rè degli antichi popoli hanno il significato di luce, di sole. Così
Menes d'Egitto, Minos di Creta, Mon di Frigia, Manus dei Ger-
manici. Così pure Rè Orus, ossia padre del giorno, in Troezene,
Rè Cecrops o 1' occhio tondo della terra in Atene, infine Rè lano
fu per i Latini, sposo di Carna, o meglio della Cornuta, ossia
della luna : quindi lano sarebbe il sole. >s
La deificazione di Haìg, salito in una costellazione, ci porge
l'argomento per stabilire che l'antica religione degli Armeni
fosse quella degli astri, dottrina professata dai Magi, astrologhi
e non istrioni. Era Re-mago pure il patriarca Abraamo, che la
Sacra scrittura fa partire dalla città di Ur, città collocata dalle
iscrizioni cuneiformi nella parte meridionale dell' Armenia, presso
le porte chiamate pile armene, d'onde si raggiungeva 1' Entrate
per scendere poi nel territorio dei Cananei.
Dirò di più che la sede principale dei Magi è stato Ararat,
detto pure Baris, che nel greco significa arca, che nell' ebraico
trova il suo corrispondente Thebe.
Le città, e ne furono diverse e rinomate, che portarono questo
nome Tebe, furono i principali centri di devozione prima che la
religione di Cristo illuminasse il mondo.
Presso la Tebe di Egitto si trovano le piramidi, che oltre
a servire di scuola d'iniziazione erano pure per le osservazioni
astrologiche.
Tutto conduce dunque a stabilire : I0 che quei ciclopici mo-
numenti, disposti in fila in sembianza delle tré cime del maestoso
Ararat, non rappresentano che i templi e gli osservatori della
religione antica dei Magi, introdotta poi dai Rè Pastori in Egitto;
11° che inoltre ivi venivano custodite le sacre scritture di quella












































dottrina, come gli Israeliti conservavano le loro nell' Arca dell' Al-
leanza, come quelle dei Caldei, nelle loro alte torri.
Arca, Baris, Tebe, tutti d'un medesimo significato, non sono
dunque che il simbolo di Ararat, e le memorie di quella religione
che collocò l'eroe nella volta stellata del cielo, stimando così di
nobilitare l'origine dell'autoctono, che gli estranei continuarono
a chiamarlo del suo nome d'origine, come glielo era tramandato
dagli antenati.
Il nome della massa della popolazione (in armeno ramig =
plebs) rimane così Arme, e la denominazione Haìk sarà genti-
lizia. Infatti hik nell' idioma orientale significa principe, rè ; donde
Hiksos si chiamarono i Pastori dominatori dell' Egitto, e finalmente
nell' inglese hay significa alto, eminente.
Dipoi che la storia uscendo dalla leggenda incominciò a regi-
strare i suoi annali, l'attuale che si festeggia in quest'aula
sarebbe il quinto risorgimento armeno. Ad ognuno di essi cor-
risponde una nuova era nella storia generale, un nuovo periodo
d'esistenza ed una nuova epopea per l'Armenia; un nuovo
aspetto geografico per l'Asia Minore con un nuovo assetto di
popoli, o spinti da altri, oppure condotti in orde alla conquista
di nuovi e più fertili territori i quali, col lungo soggiorno, diven-
teranno poi la loro patria.
Talora è l'apparizione di una nuova religione, che sconvol-
gendo l'equilibrio sociale, ne fonda uno nuovo, avente però
sempre gli stessi principi come base.
Poiché, la verità rimarrà sempre una ! Non cambiano che i
profeti. Essa, eterna fonte di luce, costituisce il centro inamovibile,
attorno al quale le religioni si dispongono in altrettanti cerchi
concentrici. Il più prossimo al centro è quello che più s'avvicina
alla verità.
Se poi rimoviamo la polvere densa dei secoli primitivi per
iscoprire la bella storia del Patriarca Noè, del quale a buon
diritto dovremmo considerarci gli autentici discendenti, poiché la
sua arca riposò sul monte Ararat, nella culla della nostra origine,
dove ora sventola il tricolore armeno, troveremmo, certo, un altro











































ciclo di risorgimenti anteriori dei quali il primo, avvenuto dopo
il diluvio, sarebbe pure quello dell' umanità intera, uscente puri-
ficata dalle onde che immersero il mondo.
Tanto lontana, al di là della mitologia rimonta la storia
armena, quasi scolpita in caratteri indecifrabili sulle prime croste
del globo, come ce ne da prova la fonte stessa d'uno dei più
maestosi fiumi dell' Armenia, l'Entrate della Sacra Scrittura, che
invece di sorgere come altri fiumi dagli strati calcarei scaturisce
limpido e perenne, dalla roccia granitica, simboleggiando così la
purezza dei principi e la costanza nella fede del popolo che vive
sulle sue sponde : fede incrollabile nella risurrezione in Dio e
della Patria, due amori, due altari, che ardenti si consumano
nel suo cuore.
Infatti la prima ad abbracciare la religione di Cristo, l'Ar-
menia fu anche la prima ad ornare il cielo dei suoi martiri. La
vediamo, al tempo dei Sassanidi, tutta intiera : popolo, esercito e
clero, d'un solo slancio patriottico, d'un solo ardore per la croce,
affrontare il poderoso esercito del Rè persiano che le vuoi im-
porre F adorazione del fuoco.
Indi, e per secoli, lotta contro i musulmani: Arabi, Selgiucchi,
Mamalucchi, fanatica gente, sempre solidali e volonterosi a mar-
•ciare, quando si tratta di servire la dottrina armigera di Maometto,
•col ferro e col fuoco.
E qui merita l'osservare che durante il conflitto mondiale,
mentre in Occidente si combatteva per l'esistenza della Patria,
gli Armeni, in Oriente, tagliati fuori del resto del mondo cristiano,
come una legione persa in mezzo ai musulmani, dovettero sacri-
ficarsi per la patria e per la religione dei loro padri alla quale
•costantemente erano rimasti fedeli.
Animate da questa fiamma, nel furor dell' eccidio, si videro
le fanciulle armene, in coro, leggiadre e belle come. le vergini
delle teorie musive di Ravenna, cantando inni patriottici, gli
occhi rivolti al cielo, precipitarsi in coro, dall'alto delle rupi
nell' Eufrate, per mantenere nelle sue onde limpide e cristalline,
la purezza dell' anima e del loro corpo.












































































Che il nome Armeno, come termine etnografico, abbia avuto
la sua origine in Asia Minore e non come lo vorrebbero i seguaci di
Erodoto, ivi introdotto nel settimo secolo avanti Cristo, se ne hanno
le prove perfino nell' antica terminologia geografica e commerciale
dell' Italia stessa, in corso sin dall' epoca remotissima dei Pelasgi
e dei Fenici, che trafficavano coli' Armenia. I primi, dagli sbocchi
naturali di questa, posti sul tratto marittimo del Mar Nero; da
Trebisonda fino al di là dell'antico Amisus, l'odierna Samsoun.
E per meglio precisare coi vestigi che il nome Armeno ha
lasciato sul suo percorso, questo litorale marittimo si fermava
alla foce del fiume Halis, al quale poi i Turchi diedero il nome
di Kizil irmak, ossia fiume rosso, per distinguerlo dall' altro
Yéchil (verde), l'antico Termodonte, che ad oriente di Samsoun
scende in mare. Ambedue hanno le loro fonti nel massiccio gra-
nitico di Erzerum, il cui altipiano alpestre, circondato da altezza
di oltre 3000 m., è posto come un gigantesco coperchio ali' im-
menso serbatoio naturale del sistema idrografico dell' Asia Minore.
Da questo punto centrale scaturiscono, direttamente i cinque
principali fiumi dell' Armenia : l'Entrate, il più lungo di tutti,
che poco dopo riceve il suo braccio orientale, 1' Arsanias dei
classici latini, nato, esso pure, dalla stessa catena che da Erzerum
si prolunga ad Est per finire maestosamente alla cima coperta
di eterne nevi del sacro monte Ararat, detto pure Massis dal
termine Mas, Max, Medz, che significano grande.
Nel senso opposto ai precedenti Halis e Termodonte, un
altro gruppo parte, sempre dal medesimo punto, verso 1' Oriente.
Esso è formato dall' Harpasos, 1' attuale Cioruk, e dall' Arax al
quale gli Armeni amano dare il nome di carezza di Madre Arax ;
per il quale Virgilio cantò nell' Eneide :
« Pontem indig'natus Araxes »•
volendo con ciò indicare che l'Armenia mai tollerò il giogo
straniero. Infatti anche questa ultima volta è dall' Ararat, infles-
sibile come il monte Grappa, dalla pianura di Arax, il nostro
indomabile Piave, il quale pure non toleravit pontem, che per il
primo sventolò la bandiera della libertà.
Qual mirabile analogia di questi due affetti, rivolti, l'uno al





















































gruppo inseparabile di Grappa e Piave, e l'altro a quello d'A-
rarat e Arax !
Innanzi al primo venne compiuta, col valore e col sangue
dei vostri fratelli, l'unità italiana nei suoi confini naturali; attorno
assecondo principia quella armena per raggiungere la sua inte-
grità, tale come la storia e diritti imprescrittibili le assegnano,
con sbocco sopra i due mari.
Indirettamente poi, per la pressione del serbatoio centrale,
sorgono altri importanti fiumi, dei quali il primo è il Tigri, dalle
falde del monte Nibad, il rigidum Nipìiatem di Orazio, nel cui
nome il poeta aveva simbolizzato la rigidezza dell'Armenia innanzi
al nemico. La coppia d'Entrate e di Tigri rappresenta per la
Mesopotamia quel che è il Nilo per l'Egitto.
Finalmeute, un altro gruppo di fiumi, per non citarne che
i principali, è formato da Gihun e Sihun, i quali vanno a bagnare
la fertile pianura di Adana, capitale della Cilicia armena, dove
un pugno di eroi tendono a riaffermare e conquistare col sangue
i loro diritti sulla Cilicia armena contro i nazionalisti turchi.
Questi prodi non chiedono aiuto d'armi, ma soltanto correttezza
nella neutralità agli spettatori della epica lotta donde dipenderà
la sorte di questa seconda Repubblica armena, costituitasi alle
falde del monte Amanos.
Ed è allora, quando i due tocolari di risorgimento rianime-
ranno quel deserto di desolazione che li separa, che i quattro
fiumi della Sacra Scrittura, Eutrate, Tigri, Gihun e Sihun si
troveranno di bei nuovo riuniti sul medesimo territorio, il quale
potrà rifiorire come quando Mosè lo portò • quale esempio agli
Israeliti del paradisiaco soggiorno del Padre dell'umanità.
Nello stesso modo verrà accertata l'antica tradizione dello
Zend-Avesta, che colloca il Paradiso nella pianura di Erivan, capi-
tale odierna della Repubblica, confermata pure da quella armena che
ha eretto il suo santuario d' Ecimiazin sul centro stesso dell' Eden.
Tradizioni, leggende, dati storici, diritti secolari, tutto infine
concorre ad auspicare per l'avvenire dell'Armenia redenta, quale
premio da farle dimenticare il suo lungo martirio, perché essa ha
ben meritato : per la sua costanza, per la sua resistenza fisica e
morale, per la sua incrollabile fede, come dissi, nella risurrezione
in Dio e in Patria libera.








































E per riprendere il filo del .discorso, i Fenici per questa
spiaggia della Cilicia, seguendo il corso dei fiumi, raggiungevano
la strada maestra ancora esistente delle carovane che risalivano
il corso dell' Entrate - come risulta dal tracciato delle antiche
vie commerciali che l'eminente archeologo J. de Morgan riporta
nella sua opera intitolata « Les premières Civilisations ».
Questa via era un tronco di quella principale che partendo
dall'Egitto percorreva la Palestina, ricevendo da destra e da
sinistra altre diramazioni principali provenienti da Sidone e da
Tiro, da Babilonia e da Ninive. Raggiunto il corso dell' Entrate, rice-
veva quelle di Tarsos, e di Ayas (1' attuale golfo d' Alessandretta) :
importantissimi porti ai tempi pure delle relazioni commerciali
fra le insigni Repubbliche italiane, ed in special modo la veneta,
col regno armeno di Cilicia, come ne fanno fede gli accordi com-
merciali stipulati.
Indi la via rimontava il corso del gran fiume per raggiungere
Trebisonda, non prima d'aver mandato nei pressi d' Erzinghian
un ramo verso Erzerum, il quale poi proseguendo metteva l'Asia
settentrionale e le regioni caucasiche in corrispondenza coi famosi
emporii della Fenicia, della Panfìlia, doria e ionia, principali centri
del traffico antico. Questi alla loro volta distribuivano le merci
ottenute in scambio agli stabilimenti delle loro lontane colonie
del Mediterraneo, diviso in due zone distinte. La meridionale,
colle coste africane, ai Fenici, e la superiore ai Pelasgi, i quali
trafficarono di preferenza, contornando la Grecia tra il mare
Adriatico e le coste del Mar Nero, luogo di provenienza d' Antenore.
E la Henetia o Venetia, la Paflagonia, d' onde questo illustre
duce condusse i suoi, formavano il litorale del Mar Nero che
incominciando dalla regione carbonifera di Eraclea, ora sotto
l'influenza economica dell' Italia, si prolungava fino ali' incontro
del littorale che sempre servì e fu considerato come sbocco na-
turale dell' Armenia sia Maior che Minor dei classici romani.
Che l'Armenia pure abbia mandato le sue colonie in Italia
in un'epoca più remota ancora di Antenore, si hanno le prove










































nel nome antico Armma del fiume Flora nella Toscana. Un
altro fiume Armina scendeva in Mare presso Rimini, 1' Ariminum
dei Romani, nel cui nome regge pure la radice Armen.
E la collina Armada o Hermada dove il valore italiano
rifulse, per me non è che lontana memoria del nome Arme o
Harma, dove la lettera D significa luogo, stabilimento, e H la so-
vrapposizione del nome Hai a quello di Arme.
Infine un'antichissima tradizione locale, ricordata da tutti gli
storici ravennati e da Corrado Ricci, ma più diffusamente dal
diligentissimo G. P. Berti, nella sua Ravenna nei primi tré secoli
della sua fondazione, ci fa sapere che la prima edificazione di
Ravenna è dovuta ad un gran capitano d'Armenia ivi giunto
colle sue navi. Fatto avvenuto, se gli si volesse precisare ali'incirca
una data, nove secoli prima della fondazione di Roma. Nulla da
meravigliarsi, allorquando si rammenti che la venuta di Antenore
risale al dodicesimo secolo avanti Cristo.
Limitrofi dunque nell' Oriente, Heneti, Paflagoni, Armeni,
avevano pure desiderato rimanere sul territorio delle loro lontane
colonie dell'Adriatico, o meglio nella loro nuova patria.
Ecco spiegato così, quasi con cronologica precisione, il
perché dell'amicizia tradizionale e secolare fra il popolo italiano,.
e in particolare veneto con quello armeno. Così pure, quantunque
in forma mitica, e le leggende come la mitologia non sono che
la storia alterata e confusa di fatti reali, come un capitano ar-
meno venne, 6 secoli prima di Cristo, ad edificare Ravenna, che
prima di Venezia, portò il titolo di regina dell' Adriatico, e dove
due esarchi armeni governarono come vice-rè dell' Imperatore di
Bisanzio.
Se poi dobbiamo prestar fede a Sallustio troveremmo gli
Armeni perfino nell'esercito che Èrcole condusse per erigere
ali' imboccatura dell' Oceano le sue due colonne. Questi, coi loro
compagni i Medi e i Parti, decisero, dopo la morte del loro-
duce, di stabilirsi in quelle regioni e fondarono delle colonie.
Forse gli stessi, costeggiando 1' Oceano, penetrarono nell' Ar-
mórica della Bretagna, dove di nuovo incontriamo analogie
toponimiche e filologiche colla geografìa e la lingua armena.
Non dunque proveniente dalla Tracia ed introdotto verso il
settimo a. C. nell' Asia Minore alla conquista dell' Armenia, ma










































autentico autoctono della sua patria, può ben chiamarsi l'Armeno.
Poiché nessun esempio, nella emigrazione dei popoli, sempre
dall' Oriente verso 1' Occidente, sempre seguendo il Carro di Febo,
nessun esempio, dico, vediamo : che a un popolo, dopo aver
contornato il Mar Nero, raggiunto la vallata del Danubio, alle
porte della fertile pianura italiana, venga in mente di rivolgere
il suo sguardo sull'Asia Minore, desolata e dissanguata dalle
secolari lotte di supremazia; o che gli fosse permesso quando
laggiù esistono imperi come quello dei Lidi e dei Medi, di co-
stituirsi per impadronirsi poi d' un territorio, al quale la storia
positiva assegna regnanti armeni. Anzi alleati e partecipanti ali' e-
sercito che determinò, colla valida cooperazione della cavalleria
armena, la caduta di Babilonia. Del resto, e precisamente nella
Lidia e nella Cappadocia inferiore, sin dal quindicesimo secolo
prima di Cristo, noi vediamo, senza interruzione, succedersi dei
potenti imperi.
Agli Hititi gli Eraclidi, ed a questi l'impero della Lidia,
diviso da quello dei Medi col fiume Halis. Fiume che ogni
patriotta armeno vorrebbe vedere per confine occidentale fra
l'Armenia integrale ed il Sultanato turco, confinato, in questo
modo, nella Lidia antica : senza un sbocco sul mare, ne sul
Mediterraneo, spettante ali' Italia, ne sull' Egeo, di diritto alla
Grecia, neppure nella Bitinia, costituita in , Stato libero interna-
zionale, con capitale Costantinopoli, o meglio Cosmopoli.
*y vy
Un nostro poeta, il sommo Aliscian, con immagine alata ha
paragonato la tenacità di vita della nazione armena alla elasticità
di certi corpi che sottoposti a pressione, quanto più questa è
forte tanto più rimbalzano con una spinta ognora più energica.
Infatti fin dalla notte più tenebrosa dei tempi 1' esistenza dell' Ar-
menia non fu che una continua alternativa di pressioni e di
rimbalzi. Tale una pianta acquatica, aggrappata alla sponda d' un
torrente essa vide lo scorrere dei secoli ora torbidi ora chiari,
chinando o rialzando la festa, ora sommersa, ora al bacio del sole.















Sempre rinata dalle sue ceneri, come la favolosa fenice, essa
assistette a tutti gli avvenimenti della storia degli antichi popoli
dell'Oriente dei quali non rimangono più che ruderi dissepolti.
Nella sua lunga esistenza vide il sorgere e tramontare delle
grandi Potenze militari, lo sviluppo rapido ed il crollo precipitoso
dei vasti imperi ehe si estendevano dalle Indie ali'Ellesponto,
dal Caucaso fino al Nilo, dal mar Caspio ali' Oceano.
Ora neutrale ora coinvolta, fu testimonio oculare alle gigan-
tesche lotte di supremazia tra Faraoni e i Babilonesi, fra Assiri
e Medi, fra Roma ed i Parti, fra Bisanzio ed i Sassanidi.
Posta sul quadrivio delle grandi comunicazioni del traffico
del vecchio mondo asiatico, dovette subire le fatali conseguenze
del passaggio dei nomadi, delle impetuose irruzioni delle orde,
accorse al bottino dei ricchi emporii e delle metropoli di fasto
e di opulenza.
Cosicché, per sua sciagura, l'Armeno conobbe, prima degli
. altri, i Cimbri, gli Unni, i Mongoli, e finalmente i Turchi il cui





































lungo dominio fu il più funesto e deprimente, il più disastroso
ed esterminatore, tale da rendere 1' Armenia un' immensa necropoli.
Era destino però, che sopravvivendo al suo lungo martirio,
la nazione armena assistesse pure al tramonto, dietro i cumuli di
vittime innocenti, della insanguinata Mezzaluna, la quale, da
sovrana delle tenebre fitte, con ironico sarcasmo si compiacque
percorrere i campi, dove regnano la desolazione e 1' eterno silenzio
della morte.
Essa, questa volta, sarebbe per sempre scomparsa, se lo
spirito maligno, facendo appello alla comunanza degli interessi
particolari, con patti e accordi, con artificiosi ingredienti e istru-
menti non avesse puntellato la baracca sconquassata dell' eterno
malato, e patrocinato l'integrità del suo nefasto impero.
Ma seppure la nostra generazione non vede la sua fine, essa
però può stimarsi già privilegiata d'aver assistito allo smem-
bramento, e udito le due schiaccianti sentenze emesse, l'una, alla
vigilia del Trattato di Versailles, 1' altra dopo il convegno di Spa.
Ambedue rimarranno monumenti per eterna memoria d'un nome
odiato, che fu il superlativo del barbaro. Ambedue auspicanti che
l'incubo della scimitarra, che ancora pesa sui popoli oppressi, lor
sarà tolto, per respirare liberamente e proseguire alacremente sulla
via del progresso e della civiltà, alle quali, sempre refrattario, il
Turco preferì rimanere nemico acerrimo.
II primo Risorgimento armeno viene segnalato distintamente
dalle letture delle iscrizioni cuneiformi verso il nono secolo avanti
Cristo ; innalzando al trono dell' Armenia la dinastia degli Ara-
miani, dal capostipite Aram. I Classici armeni parlano pure d'un
gran conquistatore Aram, padre di Ara il Bello, del quale
perdutamente s'invaghì la bella e leggendaria regina Semiramide.
Aram estende i limiti del suo regno dal Mar Caspio sino al
Mediterraneo. Impone ai popoli della Cappadocia, il Camirk degli
Armeni, la lingua armena. Prova della superiorità della sua cultura.
Fin tanto che la dinastia conservò la sua potenza 1' Assiria
ebbe i suoi confini settentrionali al sicuro.




















































Ma quando la brama di conquista si è rivolta contro l'Armenia,
questa, premuta dalle invasioni nordiche, esausta di lottare contro
gli Assiri, dovette unirsi al suo danno alla valanga di nemici
invocati dal profeta Geremia su Babilonia.
A suo danno, perché colla caduta dell' Impero babilonese, la
prevalenza dei Medi la rese tributaria, pur lasciandola autonoma,
e indi agli Achemenidi: finché la fulminea avanzata di Alessandro
il Grande travolse tutti i troni orientali.
Nella spartizione, 322 avanti Cristo, del grande impero
macedone, fra i generali del gran conquistatore, 1' Armenia toccò
a Neoptolemo.
Egli viene ucciso l'anno seguente e l'Armenia spezza le sue
catene. Ma soltanto nel primo quarto del 3° secolo avanti Cristo
essa vide salire sul suo trono un ramo della Casa degli Arsacidi, della
quale il capostipite Arsace fondò il regno dei Parti, impadronen-
dosi della Persia.
I Parti, che abbiamo visto coi Medi e cogli Armeni accom-
pagnare l'eroe Èrcole, avevano le loro sedi nei paesi posti verso
il mezzogiorno del Mar Caspio, di dove si estesero poi, nel maggior
fiore della loro potenza, dalle Indie fino ali' Eufrate, che servì di.
confine fra il loro impero e quello dei Romani.
Cavalieri valorosi, abilissimi nell'arte di maneggiare il gia-
vellotto, la loro tattica militare consisteva nell' irritare il nemico,
trarlo in agguato, stancarlo con una alternativa di assalti e di
ripiegamenti, e quindi distruggerlo.
L'ingrandimento, dopo la caduta dei Seleucidi, del loro
impero li condusse a guerre violente con Roma che vide spesse
volte le sue legioni piegarsi innanzi al nemico lasciandogli le
sue insegne.
Così capitò a Grasso, presso Carrhae, dove il rè dei Parti,
Orode, coli'aiuto della cavalleria armena riportò una clamorosa
vittoria.
Solamente la splendida rivincita di Ventidio, nel 38 avanti
Cristo, consolò i Romani.
Ma dopo poco avvenne la sconfìtta di Antonio, 36 avanti
Cristo contro Hraat IV, che solo Augusto costrinse, nel 20 avanti.
Cristo, a restituire le bandiere romane.





























Mentre i rè dei Parti impiegarono la forza, quei dell' Armenia
usarono la prudenza e la diplomazia, ed è così che per sei secoli
l'Armenia rimase alleata ai Romani. Amicizia turbata solamente al
tempo di Mitridaté il grande, che aveva dato la sua figlia in sposa
al nostro rè, Tigran III, il Grande.











Durante il suo fiorente e lungo regno, Tigran, il Rè dei Rè,
vide i confini dall'Armenia estendersi, come ai tempi di Aram,
dal Mare Caspio sino al_JVIediterraneo, includendo la Cappadocia
intiera^ la Cilicia e la Palestina.












Ma i rovesci della fortuna, causati dalle continue discordie
intestine, e dalle imprese imprudenti del suo bellicoso Suocero,
l'obbligò a ritirarsi nell'Armenia Maior, cedendo il passo e le
sue conquiste a Pompeo il Grande, che deve anzitutto la sua
vittoria a quelle precedenti, ma parziali di Lucullo.
L'innalzamento sul trono della Persia dei Sassanidi, 226 dopo
Cristo, col relativo crollo degli Arsacidi, determinò pure, dopo
due secoli, quello del regno armeno.
Principia subito la contesa tra Bisanzio e la Persia per il
possesso dell' Armenia.
Colla sua posizione geografica essa costituisce, in fatto, la
chiave dell'Asia Minore.
Si apre, in pari tempo per essa 1' era del martirio. Lo spirito
di pan-persianismo tende ad invadere col ferro e col fuoco.
Si escogita il piano diabolico, degli scellerati Talaat e di
Enver dei nostri giorni, per esterminare il popolo armeno.
Il motto è : 1' Armenia senza gli Armeni /
Pare incredibile come tutte le nazioni che occupano ora le
regioni iperboriche dei classici, i paesi dell' eterne tenebre, abbiano
tutte adottato ed emesso questo esecrabile metodo.
In mancanza di rè, i principi armeni confederati fanno fronte
al pericolo. Più particolarmente si illustra la casa principesca dei
Mamigonian, dando 1' eroe e martire, il Gran Vartan, dalle guancie
rosee; il Vahan, suo nipote, Un'or delle mischie.
L'ironia della sorte volle che, mentre l'impero romano d'O-
riente rimane indifferente al suo baluardo orientale, del quale il
crollo aprì, in seguito, il varco ai Mongoli, il trono di Bisanzio
sin da Giustiniano è sostenuto col valore militare dell' Armeno.
Dell' alta ufficialità di Belisario quei che s'illustrano per le loro
gesta sono quasi tutti Armeni.
Quanti Ohannés, Sahag, Ardasci, Ardaban e Nersès?
L'epoca giustiniana è la più gloriosa per le virtù militari
del nome armeno.
Un principe reale, Ardaban, distrusse la tirannia di Gondari
e ricevette il comando generale in Africa. Egli è il debellatore
dei Nùmidi, come Narsete, l'armeno, fu quello dei Goti, salvando
l'Italia dal loro tallone.
Era naturale che questa forza militare, sulla quale riposava











































il trono bizantino, si decidesse finalmente a collocarvi uno dei suoi.
La sorte toccò ali' imperatore Basile, armeno di nascita, capostipite
d'una dinastia che diede dieci imperatori a Bisanzio.
In questo frattempo 1' Armeno con uno sforzo supremo scuote
il giogo, ponendo sul trono i Pagratidi, con capitale Ani, Ani
dalle mille chiese.
Dopo due secoli d'intensa operosità, sia nell'arte che nella
letteratura patria, questa dinastia pure s'è spenta.
Era già l'Asia Minore sul punto di cambiar padrone. La
potenza dei Califfi arabi sta per tramontare. Sorge quella dei
Selgiucchi turchi.
Questi usciti dalle steppe di Oxus, s'impadroniscono della
Persia.
Sul teatro della loro vittoria eleggono il loro primo rè : To-
grui, nipote di Selgiuc, d' una ambizione, dice lo storico Michaud,
uguale al suo valore.
Egli abbraccia, coi suoi, la fede di Maometto e va a pro-
strarsi in Bagdad ai piedi del Califfo, che aveva implorato il suo
aiuto contro faziosi emiri. Togrui in compenso del servizio reso
riceve in una maestosa cerimonia due corone con due scimitarre,
per emblema del suo dominio futuro dell' Oriente e dell' Occidente.
«Cotal cerimonia legittimò agli occhi dei Musulmani l'usurpazione
dei Turchi che subitamente colle armLconquistarono quell' impero
che il vicario di Maometto aveva indicato alla loro ambizione».
Nella spinta generale causata dall' apparizione di questa nuova
forza, il trono armeno, spostandosi dalla pianura d' Erivan, andò
a collocarsi verso i confini sud occidentali del suo territorio. Ed è
là, in Cilicia, che ebbe luogo l'innalzamento della dinastia dei
Rupeni donde uscirono numerosi Leoni, di nome e di fatti. Questo
regno armeno, il Cilico Armenikon dei Bisantini, l'Armenia degli
Europei, Bilad-el-Ermen degli Arabi, rese segnalati servizi alle
crociate, conducendo e fornendo i loro eserciti e combattendo
insieme per salvare il santo Sepolcro. Lo storico delle Crociate,
Michaud, che dice i Cavalieri armeni furono gli ultimi ad uscire da
Gerusalemme, lasciandolo alla sua trista sorte. Partiti gli Europei,
l'odio dei Musulmani piombò sull' Armenia.
Dopo un prospero ma movimentato periodo di 3 secoli di
regno, la casa del Rupen si spegneva in una lotta disperata,














































coll'ultimo Leone, che fu il quinto. Fatto prigioniero in Egitto,
poscia liberato l'ultimo rè dell'Armenia, mori a Parigi. La sua
salma fu deposta a S. Dionigi, accanto a quella dei rè francesi.
Rimanendo il trono armeno senza erede, il diritto alla corona
passò alla casa regnante dei Lusignani di Cipro, apparentati coi
Rupignani. Ed è perciò che Caterina Cornare, oltre che di Cipro
e di Gerusalemme, si chiamò pure Regina d'Armenia.












Era destino che una gentil patrizia veneziana dopo aver
portata sul capo la corona armena la portasse pure, durante il suo
involontario esilio, nel territorio asolano, del quale essa fu Sovrana.
Morta essa, la corona, cara ad ogni cuore armeno, fu consegnata
al tesoro delle sacre memorie della Rocca d' Asilo e di Braida.













E di nuovo da questi redenti colli asolani, dopo 4 secoli di
oblio nel riposo, la corona nostra risorgerà per incoronare il
successo dell'integrità armena. Fra una ova-zione generale, al suon
della marangona, ripartirà verso i lontani lidi della Cilicia armena
dove al presente una seconda Repubblica armena colle armi
decide della sua sorte. Unico metodo pratico e concludente, quando
il popolo è unito compatto, per affermare i suoi legittimi diritti.
Noi, Armeni, attingeremo le energie nostre, per raggiungere il
nostro scopo, in quella larga simpatia che godiamo in Italia, nelle
vostre forze individuali e collettive.
Nessuna direttiva, neutra o avversa, nessuna artificiosa
combinazione ibrida, riuscirà a disgiungere i popoli affratellati. Al
contrario la forza dell'amicizia tradizionale e secolare imprimerà,
con esplicita sua volontà, la dirczione che conviene, acciocché
ritornino in vigore quei trattati stipulati una volta, tra il sere-
nissimo Doge dell'inclita Repubblica veneta ed il Serenissimus
et Excellentissimus Dominus Dei gratia Armeniae Rex.
Dopo aver a lungo percorso e ripercorso i secoli, in cerca
delle sacre memorie armene, giungo all'importanza e al signi-
ficato del trattato di pace colla Turchia, al quale, dopo le grandi
potenze, T' Armenia libera pure pose la sua firma.
Libera, infatti, perché la sua libertà essa gode già da due
anni irT poi. Essa la deve ali' eroico sacrificio dei suoi figli che la
strapparono ai Turchi, che la mantennero contro i Tartari, che la
salvarono dal bolscevismo, che continuano ancora oggi a difenderla
strenuamente contro ogni eventuale minaccia.
L'Armenia con fierezza cancella quella opinione un pochino
divulgata che il suo popolo sia stato un branco di pecore.
Non più lacrime, disperati appelli, ma grido d' armi, o Signori,
lotta disperata, occhio per occhio, dente per dente. Son rinati i
Nerses, i Vartan, e gli Ardaban, «che tagliavano a pezzi quanto
loro si parava innanzi».
Lo spirito bellicoso delle virtù militari dell' Armeno, ormai
desto, infuria.






































Fu terribile, vi assicuro, la vendetta pure armena. I morti, le vittime innocenti son quasi vendicati !
Così che in sostanza, la firma del Trattato colla Turchia non sarebbe che l'applicazione o l'esecuzione, pura e semplice, del Patto di Londra del 1916, col quale l'impero ottomano veniva diviso tra la Russia, la Francia e l'Inghilterra.
Però nella redazione di questo trattato una clausola non era prevista: la morte d'uno dei contraenti. Ciò capitò precisamente alla Russia zarista. La scomparsa tragica di questa obbligò quindi le altre due a trovar il modo per farsi valere i loro diritti acquistati
colla vittoria finale.
Trovarono l'Italia in lotta contro il nemico comune, che pure rivendicava, in base d'un altro patto, pure di Londra, i suoi diritti su di un littorale marittimo dell' impero ottomano, col suo relativo retroterra.
Il miglior modo di risolvere quindi la questione, fu il riconoscimento ufficiale degli Eredi del gran Colosso moscovita, i quali per propria forza si erano già staccati, come satelliti, dal gran nucleo centrale in istato nebuloso. Nebuloso dico, perché il suo indomani è incerto ancora.
In fatti la Russia sta traversando i suoi periodi di formazione allo stesso modo che il globo terrestre dovette uscire dallo stato caotico, perché potesse svolgersi la vita nelle condizioni normali.
Così, ci appare il bolscevismo. Una continua perturbazione sismica, ^ehe erge e sommerge, minacciante perfino l'equilibrio planetario dei satelliti. Il caso della eroica Polonia può servire d'ammaestramento agli altri popoli fino a che i vulcani in Russia non sieno spenti.
C' è, lo si sa, chi vi soffia sopra : nella speranza di vedere distrutti, in un nuovo cataclisma, tutti i trattati, cominciando da quello di Versailles.
Più che impressionato da queste intenzioni del nemico di ieri,l'Armeno si preoccupa d' un sol punto nero sull' oriente del suo risorgimento, ossia : in qual modo la Russia, ricostituitasi in qualsi voglia forma, si comporterà nelle sue rivendicazioni ?
Chiederà essa le sue antiche frontiere, oppure rispettando il fatto compiuto, cercherà di premere sulla piccola Repubblica armena allo stesso modo che l'Austria, per scendere a Salonicco, usava nel passato sulla piccola Serbia ?
Essendoché il testamento di Pietro il Grande andò in fumo colla internazionalizzazione di Zarigrad, ossia città dei Zar, come i Russi danno il nome a Costantinopoli, naturalmente la politica russa rivolgerà la sua attività per giungere, per ora economicamente, sino al golfo di Alessandretta.
O questo o quello persiano, l'uno dei due per la Russia, per respirare l'aria libera salina del vasto mare.
Ecco il grande incerto !
Contro uno squilibrio dovuto ad una simile eventuale spinta moscovita un sol baluardo esiste: la chiave dell'Asia Minore, l'Armenia grande e potente. Ogni altra politica, tendente a sminuzzarla in favore della integrità ottomana, è un errore, una responsabilità del sangue che occorrerà per ricomporre lo squilibrio, prossimo o lontano.
L'Armenia unita, neutrale, è la miglior garanzia della pace orientale. Protegge la Mesopotamia, impedisce le oscillazioni, e riceve come cuscino tutte le pressioni causate dagli attriti, inevitabili, fra potenza amiche, come tuttora si manifestano.
Ma l'Armenia non può riacquistare la sua forza, per assumere la sua missione di sentinella avanzata, se le si toglie la spiaggia della Cilicia. Quella che le hanno assegnata tra Trebisonda e Batum, non rappresenta che l'appendicite atonica del Mar Nero.
Malgrado l'accanita lotta delle tré giornate famose, come disse Lloyd George, impegnatasi attorno ad Erzerum, l'Armenia uscìdalla fucina di San Remo, in una forma bislunga d'un crogiuolo a becco lungo; buono per le combinazioni chimiche della diplo mazia, ma niente affatto pratico per lo sviluppo rapido d'un popolo riconosciuto e stimato attivissimo nelle imprese e nel commercio.
Qual fascino potrà mai esercitare, qual conforto potrà offrire,ignudo e scomodo, come lo è quello stretto lembo di mare, fra Trebisonda e Batum, a quelle operose colonie dell' oltre mare, acciocché l'Armenia, così amputata, possa attirare a sé i suoi migliori elementi, sui quali essa ha deposto tutte le sue speranze?
Erano amiche o nemiche, essa si domanda, quelle mani che tracciarono quei confini? Certo che l'ingegnoso armeno saprà operare quella appendicite maligna. Ma ci vorrà del tempo. Ed il tempo è moneta e la concorrenza dell'indomani sarà accanita.
Non è dal Mar Nero, esposto alla tramontana, ma dalla
Cilicia che il soffio rigeneratore, come i primi calori, dopo un rigido inverno, risalirà 1' Entrate, diffondendosi nelle valli, valicando i monti fino alla culla dell' origine.
Mai dal nord, ma sempre dal sud, la fioritura primaverile della rinascenza.
Così è per la natura. Così per le nazioini che risorgono dalle macerie di secoli d' oppressione e di depressione. Ed è allora, col ritorno delle rondini, che ritorneranno pure le ricche e numerose colonie di Costantinopoli, dell' Egitto, della Francia, dell' Inghilterra, quelle vigorose e floride delle Americhe.
Sorgeranno, per incanto, dalle pietre i figli dell'Armenia per ripopolare il deserto focolare del patrio suolo.
E di bei nuovo le fanciulle Armene, leggiadre e belle, come le teorie musive di Ravenna, riappariranno sulle sponde infiorate della Madre Arax, cantando inni patriottici e di allegrezza.
Ed essa, Madre diletta, simbolo sacro, arrestando il suo corso impetuoso, saluterà, collo scroscio delle onde frangentisi contro le rupi, i figli reduci dalle lontane Americhe, dall'Africa, dall'Europa ospitale ; tutti attratti verso il seno materno che li attende per unirli in un solo amplesso.
In questo mentre, una nube luminosa delle anime dei martiri cingerà le eccelse bianche vette dell'Ararat, dove per la prima volta la Luce divina fece alzare gli occhi all'uomo, salvato dalle acque, per cercare nell' azzurro del cielo la Forza, che -regge tutto
ed alla quale tutto deve obbedire.
Da Essa: la grandezza e l'avvenire dell'Italia, patria gentil
d' adozione nostra.
Ad Essa : il destino e la tutela dell' Armenia, patria amata,
accolta alfine nel consorzio civile delle libere Nazioni, come sorella
benvenuta.





















































































Il pubblico foltissimo e formato di ogni gradazione sociale
ha seguito la smagliante orazione con l'interesse più intenso, 1' ha
interrotta frequentemente con applausi, prorompendo infine in una
ovazione entusiastica dopo le parole alate ed inspirate di vera
eloqu-enza con le quali essa ebbe termine.
La conferenza che fu un vero saggio di erudiziene storica del
grande popolo armeno, lascia in tutti l'impressione più profonda;
è il figlio eletto di una Patria dolorante ma gloriosa che ha
parlato narrando della Madre amatissima la vita sempre nobile,
sempre grande, sempre vibrante ed indomita nella lotta più
immane per la libertà redentrice.
Il Prof. Gurekian ha veramente saputo parlar al cuore degli
astanti, che tutti erano compresi della più viva commozione e
tutti si sono riaffermati vieppiù nella convinzione della santità
della causa armena.
Fu una pagina di scienza e di storia da tutti compresa,
ammirata e goduta.
Il popolo ormai elettrizzato segue il movimento, impresso
dalla prima parte, così felicemente esaurito del programma per
riprendere con lo stesso entusiasmo la seconda parte del pome-
riggio, più caratteristico del Tè Deum di ringraziamento, cantato
dagli alunni armeni nella loro chiesetta.
L'animazione che regna nel sobborgo di Santa Caterina fa
rammentare quella della Sagra di Sant' Anna. Tutte le finestre
e le botteghe sono imbandierate. Ognuno s' è ingegnato a com-
porre del suo meglio il tricolore armeno, che piace e diletta
anzitutto i bambini. Tutti portano la coccarda ma più fieramente
i contadinelli : scalzi, le mani nelle saccoccie, in un atteggiamento
di piccoli rivendicatori dei diritti dell'Armenia. Saranno i futuri
Garibaldini della solidarietà dei popoli affratellati. Pure i vecchi,
scuotendo il peso degli anni, con risoluto passo seguono le cadenze
della banda cittadina che apre il corteo maestoso. Questi, prece-
duto dalla Giunta Municipale, dalle Autorità, colle bandiere della
Società degli Operai e dello Sportivo Club, si muove dalla piazza
Municipale. La folla ondeggiante scende per la contrada Canova
per avviarsi presso la collina degli Armeni.
Intanto sul piazzale del Collegio, la Colonia armena insieme
ad un elettissimo pubblico e la fanfara degli alunni si appresta








al ricevimento, di S. E. Mons. Ignazio Ghiurekian Abate Generale della Congregazione dei R.R. PP. Michitaristi che da due secoli ha dato alla Nazione Armena, insigni ecclesiastici, filosofi, storici,
poeti, e non dei Chitaristi come si legge nelle guide di Asolo.
Un sordo ronzio indica l'arrivo prossimo dell' automobile che stenta a sormontare la pendenza. Festeggiata essa giunge. Scende
lentamente dall' automobile il venerabile Vegliardo, dal nobile ed ancora vegeto portamento, malgrado 17 lustri evoluti. Ossequioso, il popolo accorre a baciargli la mano. Egli con paterno-
sorriso li benedice.
Echeggia, in questo mentre, la vallata della Buttarella al suono della marcia armena. Man mano il suono cadenzato del tamburo s'avvicina, rimbomba sotto il porticato dell' ingresso della Villa. Non rimane al corteo che l'ultimo tratto di salita per trovarsi innanzi allo spettacolo incantevole d'una pianura, estesa come un immenso mare verdeggiante fuso all'infinito nel cielo.
Scambiati i primi saluti di cordialità, fra l'alternarsi degli inni ed il fondersi dei colori menzionati, il popolo con raccogli-
mento religioso entra nel tempietto, dedicato alla Santa Croce.
Gran parte della folla ascolta l'inno di ringraziamento rivolto al Dio dei Cristiani per la concessa Indipendenza al protomartire dei popoli. Vibrano gli accenti delle voci cristalline. È la preghieramnunissona degli orfanelli. Tremano le volte e la cupola armena.
Il potente coro echeggia nei cuori degli astanti, commuove 1' anima al ricordo degli orrendi eccidi, dell'immenso olocausto sull'altare
della Fede e della Patria. Squillano le trombe degli angeli delle
pitturate invetriate. Una luce fulgida avvolge i Santi Sahag e
Mesrob che coli' invenzione dell' alfabeto armeno salvarono la nazione e la sua cultura dall'assimilazione straniera.
Una aureola di gloria accerchia la nobile figura del Beato Michitar, che ricevendo dal Serenissimo Doge in dono l'isola diSan Lazzaro, fondò il suo convento e si accese un faro potente,destinato ad illuminare per due secoli la lontana patria sommersa
nella tenebrosa ignoranza d' una barbara dominazione.
Ripiomba il tempietto nel silenzio religioso. Il venerabile Vegliardo impartisce la benedizione, felice esso pure di avere soppravvissuto alle ingiurie degli anni per assistere al fausto avvnimento della sua Patria redenta.

Lentamente la (olla esce per meditare nella contemplazione (.lell' infinito orizzonte, sul perché di tanto soffrire, di tanto lungo martirio, e perche l'Iddio della vendetta dei profeti sia cambiato in
quello della eterna e indulgente clemenza.
Intanto il sole, descritto il -suo corso giornaliero, declina al suo tramonto tra infiammate nuvole tinte di color di sangue di drago e di porpora a merlatura indorata.
Se^'ue la notte, die s'avanza, al manto bruno. Esortatas; dalla speranza la commozione cede alla spensierata gaiezza della vita: alternativa continua di gioie e di lagrime. La folla cante rellani-lo gli inni scende dal pogginolo dei Padri armeni e rincasa.
Mentre un gruppo di invitati si appresta a recarsi all'agape fraterna onerta dalla Colonia armena nell'Albergo al Sole colla quale si chiuderà la memorabile giornata fra inni e discorsi improntati
nella più schietta e sincera fratellanza.
E coloro die rimpiangono i loro cari defunti, martiri per il trionfo della santa causa della Patria e della Giustizia, cercheranno eli soffocare il loro cordoglio nella schiuma bianca del vino spui-ne,y-
giante per non serbare di questa briosa festa che il dolce ricorcLi , dell' allegrezza che inondò, per un'intera giornata, i cuori d' un sol palpito: quello dell' amore condiviso.

V.V

 
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