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07 08 2008 - Farian Sabahi :Un reportage da Israele
6 agosto 2008 - Il reportage per la televisione CHE NE FACCIAMO DI TEHERAN è on-line VIDEO,il link è
>>http://www.rainews24.rai.it/ran24/rainews24_200/tema/06082008_teheran.asp
>>>http://www.rainews24.it/ran24/clips/video/teheran_06082008.wmv
Che ne facciamo di Teheran? Questa è la domanda che da tempo si pongono le diplomazie europee e quella americana sebbene ad avvertire maggiormente la vicinanza con la Repubblica islamica, complice la retorica del presidente Ahmadinejad, siano gli israeliani: nelle ultime settimane hanno dimostrato la superiorità della propria aviazione mentre i pasdaran, dopo che la flotta americana si era esercitata davanti alle coste iraniane, hanno eseguito i test missilistici taroccando le foto per esagerarne il numero.
Che cosa pensano gli israeliani dell'Iran e del suo programma nucleare? E come si sentono quando Ahmadinejad afferma che l'Olocausto è un mito, nel senso che è stato strumentalizzato e ingrandito oltre misura? L'Istituto di Studi Iranici presso l'università di Tel Aviv mi ha invitata a tenere una conferenza e ho colto questa occasione per verificare di persona le percezioni degli israeliani. Sono partita con l'operatore torinese Ernaldo Data e abbiamo realizzato il reportage "Che ne facciamo di Teheran?", in onda mercoledì 6 luglio alle 23 su Rainews24.
Il momento è stato propizio, visto che durante il mio soggiorno all'università di Tel Aviv si è tenuta la cerimonia annuale della Fondazione Maccabim che ha elargito 600mila dollari in prestiti agli studenti di origine iraniana. "Un finanziamento" - ha dichiarato il presidente - "che mi fa sentire meno in colpa perché anziché vivere nello Stato ebraico ho scelto New York".
Secondo una stima del professor David Menashri, direttore del Centro di Studi Iranici, "sono di origine iraniana almeno 250mila israeliani, ma con le seconde generazioni e i figli dei matrimoni misti tenere i conti non è facile".
Ne ho incontrati alcuni, in posizioni di prestigio:
l'attuale ministro dei Trasporti Shaul Mofaz, già ministro alla Difesa e vice-premier; i generali dell'aviazione Dani Haloutz e Eitan Ben Eliahu che negli anni Settanta, quando i rapporti tra i due paesi erano ottimi, avevano addestrato i piloti dello scià; Menashe Amir che dirige la sezione in lingua persiana della radio Voice of Israel che da cinquant'anni trasmette in Iran riscuotendo successo anche tra la leadership della Repubblica islamica; e l'ambasciatore Arieh Levin che è stato ministro plenipotenziario a Teheran e crede che gli iraniani vogliano ricostruire l'antico impero persiano.
Oltre a questi personaggi sono di origine iraniana tantissimi commercianti intervistati al mercatino delle pulci Pishpishim di Jaffa. Alcuni sono arrivati in Israele sessant'anni fa, altri di recente. Tutti ribadiscono che l'Iran è la loro patria, dove gli ebrei hanno vissuto in pace per 2500 anni. E tutti hanno un'opinione: "L'Iran è un grande paese, non possiamo fermare il loro programma nucleare ma siamo armati fino ai denti, loro lo sanno e non sono così stupidi da attaccarci", dichiara Yaron, venditore di tappeti. E il suo socio Avi ringrazia Ahmadinejad "perché con le sue invettive contro Israele ha fatto in modo che il mondo si schierasse dalla nostra parte".
Oltre agli ebrei iraniani ho voluto incontrare altri israeliani ma non tutti hanno accettato di essere intervistati da una italo-iraniana. Ad essere incuriosito è stato invece lo scrittore Abraham Yehoshua: ritiene controproducente attaccare per primi - un'opzione favorita da molti in Israele, anche tra gli studenti e i docenti dell'Università di Tel Aviv - e preferisce le sanzioni economiche. I componenti del gruppo rock Boogie Balagan (in ebraico "bordello gioioso"), dichiarano di nutrire "speranze nei giovani e soprattutto nelle donne che, al di là del velo obbligatorio, sono agguerrite".
Il refusenik Noam Bahat, che ha scontato due anni di carcere per essersi rifiutato di prestare servizio militare, invita l'Occidente a ripensare ai propri errori e alle opportunità mancate, soprattutto con il riformatore Khatami e osserva come "gli israeliani non pensino mai di essere dalla parte del torto". E ad invitare al dialogo è stata una donna, la studiosa Liora Hendelman-Baavur.
Figlia di una sopravvissuta all'Olocausto, ha parafrasato i versi del persiano Saadi ricordando che "gli uomini sono come gli organi di uno stesso corpo, se un organo è indifferente verso un altro non sei degno del nome di uomo".

F.S.

 
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