Zatik consiglia:
Iniziativa Culturale:

 

 

06 04 22 - Una Memoria da condividere , parla don Giovanni Afker parroco armeno di Milano
http://www.chiesadimilano.it/or4/or?
Parla don Giovanni Afker, parroco milanese di origine armena

UNA MEMORIA DA CONDIVIDERE
Padre Aren e don Afker. Foto sopra, il monastero di Gheghard
Il gruppo di pellegrini e, sullo sfondo, il "Vaticano" armeno

Don Afker, di genitori turchi, per la prima volta si è recato in Armenia per una gita-pellegrinaggio. «Questo popolo - dice - si è mantenuto per la fede e la scrittura lungo i secoli e attraverso tante tragedie».

di Rosangela Vegetti

Sono passati 91 anni da quella tragedia che vide un popolo colpito dalla condanna di eliminazione da parte del governo dei Giovani Turchi per il semplice motivo di non essere musulmano ma cristiano e di essere di ceppo armeno. Oltre un milione e mezzo di persone cacciate dalle case e abbandonate alla morte lungo la strada e falcidiate dalle armi. Un ricordo che rimane un poco in seconda fila, certamente sopravanzato dalle tragedie della seconda guerra mondiale e dalla shoah verso il popolo ebraico, ma che non va dimenticato perché ancora non riconciliato. Ne parliamo con don Giovanni Afker, parroco milanese, discendente di armeni della Turchia.

«Nella mia memoria personale c’è uno zio “sparito” del tutto e e la nonna materna con i figli fuggita in Palestina per poi tornare in Turchia dopo il 1918», dice il sacerdote, «mentre mio padre allora giovane ventenne non riebbe la cittadinanza turca né il permesso di rientrare in patria, e dichiarato apolide. Tale rimase anche dopo aver vissuto il resto della sua vita in Italia perché le procedure per l’acquisizione della cittadinanza italiana sono risultate complesse e costose. Mia madre, anche lei turca, è divenuta italiana solo poco prima di morire, ci sono voluti 7 anni, nonostante avesse avuto 3 figli italiani. Mio padre mi ha trasmesso la fede e la lingua turca, ma ha sofferto amarezza verso i turchi per la tragedia del suo popolo».

Che valore ha per noi oggi celebrare e condividere questa memoria?
Vale la pena di fare memoria di questo genocidio perché - come diceva Giovanni Paolo II - bisogna riconciliarci rivisitando il passato. Probabilmente la Turchia, se riconoscesse, cosa che non vuole fare, questo genocidio, potrebbe godere di una relazione più aperta con l’Europa. L’Italia potrebbe fare qualcosa di più da questo punto di vista. Finora è la Francia, che ospita un cospicuo numero di Armeni, a chiedere alla Turchia di riconoscere il genocidio se vuole entrare in Europa.

Com'è la situazione in Armenia?
In questo momento l’Armenia - poco più vasta della Lombardia e con 3 milioni di abitanti - è in condizioni economiche precarie, segnata dal terremoto e dal distacco dall’Unione Sovietica, con strutture economiche inadeguate a un paese indipendente del tempo d’oggi, e merita di essere conosciuta, visitata e sostenuta. Vi si trovano memorie cristiane molto forti e quindi vale la pena di incoraggiare viaggi e pellegrinaggi in questo paese.

Lei ha visitato quei luoghi?
Lo scorso anno mi sono recato in Armenia per la prima volta e ho avuto l’emozione di vedere un popolo che per primo è diventato cristiano, nell’anno 301, sotto la guida di san Gregorio l’Illuminatore, che è il padre nella fede degli Armeni. Mi ha impressionato anche trovare nella cattedrale di Erevan un vero e proprio tempietto in ricordo della visita di Giovanni Paolo II che nel 2001 aveva voluto celebrare i 1700 anni di cristianità del popolo. Nonostante sia una Chiesa Apostolica autocefala, i legami con della Chiesa Armena con quella cattolica sono molto profondi.

Questa tragedia del 1915 l’abbiamo forse un po’ sottovalutata e invece è giusto ricordarla, sentirla come sofferenza di un popolo cristiano ed europeo.
Credo propria debba essere così. In Armenia ho trovato un grande numero di monasteri che sono consolidati lungo i secoli (tra il VII e il X sec) centri di spiritualità molto intensa. Fu un monaco nell’anno 405 a inventare l’alfabeto per poter scrivere la lingua armena fino ad allora solo parlata, per poter tradurre la bibbia. Questo popolo si è mantenuto per la fede e la scrittura lungo i secoli e attraverso tante tragedie.

V.V