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Iniziativa Culturale:

 

XX SECOLO: Genocidio - Genocidi
Discorso del Prof. Giuliano Vassalli
in occasione dell'iniziativa "XX Secolo: Genocidio - Genocidi"

(II PARTE)

"La prima esigenza, cioè la necessità di processare e di punire, nasceva da un interrogativo elementare: è possibile che si puniscano solo i delitti per dir così ordinari, secondo gli schemi ordinari e comunemente accettati e praticati, e restino invece impuniti i delitti più gravi , più massicci, più orribili, solo perché perpetrati per ordine di governanti o di comandanti, usando la guerra come occasione e pretesto e l'occupazione bellica come copertura? Che valore ha più la giustizia ordinaria se si può orribilmente delinquere sperando, a seconda dei casi, nella vittoria o nell'amnistia? I1 penalista sentiva di non potersi chiudere nel recinto della giustizia nazionale, sia pure allargata agli spazi ad essa concessi dai codici penali militari per i delitti contro le leggi e gli usi della guerra o per i delitti di collaborazione col nemico. E cercava un'altra superiore e più generale giustizia.

"Ma gravi erano i problemi che il giovane penalista trovava per l'appagamento di quell'esigenza secondo convincenti canoni giuridici. Egli trovava anzitutto un diritto internazionale chiuso - fatte salve, almeno in Italia, rare eccezioni - nella sua indiscutibile struttura e convinzione dogmatica: un diritto del quale sono soggetti soltanto gli Stati (ai quali soltanto si dirigono gli imperativi) e a cui è ontologicamente estraneo ogni coinvolgimento diretto nella punizione degli individui; un diritto disposto, si, a riconoscere la validità di accordi tra gli Stati per la punizione dei crimini di guerra, ma con la conseguenza ineluttabile che tale punizione sarà opera della giustizia militare degli occupanti, sia pure esercitata in comune fra una pluralità di occupanti, e che ai principi di diritto internazionale si potrà fare appello solo in modo vago ed indiretto, come a una somma di principi ispiratori rivolti al rispetto delle leggi dell'umanità, ma non mai come a fonte dei precetti individuali e delle relative sanzioni. Trovava poi, come altrettanti ostacoli nel difficile cammino, i problemi dell'immunità dei governanti, salva sempre la possibilità di leggi retroattive interne aventi per ciò stesso carattere rivoluzionario e dunque giuridicamente dubbio. Trovava il principio, comune di diritti penali nazionali, della insindacabilità dell'ordine del superiore; e altre difficoltà che sarebbe lungo enumerare".


E allora molti di noi sentirono che si doveva uscire allo scoperto e trovare un fondamento giuridico a quella esigenza di punizione che era anche una esigenza di prevenzione di mali analoghi per il futuro. Vi fu chi, come il Nuvolone (un grande penalista più giovane di me di due anni, mancato ai vivi purtroppo quindici anni fa) cercò di costruire un diritto positivo umano, diverso da quello sia nazionale che internazionale, che trovava fondamento nel diritto della comunità universale degli uomini; altri, come chi parla, cercarono di trovare la base nel diritto internazionale, sovvertendone alcuni principi tradizionali e richiamando anche i giuristi più tradizionalisti alle esigenze del progresso dell'umanità contro la barbarie.


Sta di fatto che oggi quei principi che sembravano irraggiungibili sono ormai un patrimonio comune : la responsabilità penale dei capi di Stato, dei capi di governo, dei comandanti militari e di ogni altra persona rivestita di alti poteri è oramai fuori discussione nel diritto internazionale da quando, l'11 dicembre 1946, l'Assemblea generali delle Nazioni Unite ha adottato, all'unanimità, i principi ai quali si era ispirato pochi mesi prima il Tribunale militare internazionale di Norimberga. E questo principio e stato ribadito poco tempo dopo proprio nella Convenzione di New York del 9 dicembre 1948 sulla prevenzione e punizione del crimine di genocidio, sottoscritta da un altissimo numero di Nazioni del mondo ed entrata in vigore per l'Italia sin dal 2 settembre 1952. Nell'art. IV di tale convenzione è detto testualmente che "le persone che abbiano commesso genocidio in una qualunque delle forme indicate nell'art. III (dunque anche solo accordo per commetterle, istigazione, tentativo, ogni tipo di concorso) vanno egualmente punite sia che si tratti di individui privati, di dirigenti costituzionalmente responsabili o di pubblici ufficiali". Anche nello Statuto di Roma del 1998 - per fare un salto di cinquant'anni al di sopra di altri documenti fondamentali - si ribadisce che "le disposizioni dello Statuto (che - come è noto - riguarda genocidio, altri crimini contro l'umanità e crimini di guerra) si applicano a tutti allo stesso modo, senza alcuna discriminazione fondata su qualifiche ufficiali. In particolare - vi si aggiunge - la qualifica ufficiale di una persona quale Capo di Stato e di Governo, membro del Governo o del Parlamento, rappresentante elettivo o funzionario dello Stato, non esonera in alcun caso dalla responsabilità penale prevista nel presente Statuto, né costituisce, di per sé, circostanza attenuante". E come se non bastasse, si precisa ulteriormente che "immunità o procedure speciali correlate alle qualifiche ufficiali in virtù del diritto interno o del diritto internazionale, non impediscono alla Corte di giudicare la persona". Il successivo art. 28 è dedicato a delineare con minuziosa precisione le responsabilità dei comandanti militari anche per i delitti commessi da persone a loro sottoposte. Ma la Corte ancora non esiste e lo Statuto non è ancora in vigore. Viceversa è in vigore da quasi cinquant'anni la ricordata Convenzione sul genocidio, e così lo è la fondamentale Convenzione internazionale del 26 novembre 1968, che esclude l'applicabilità di ogni Statutory limitation ai delitti di guerra e ai delitti contro l'umanità, sottoscritta anch'essa da un alto numero di Stati (purtroppo - salvo errore - non ancora dall'Italia).

Egualmente è caduta la barriera già costituita dall'ordine insindacabile superiore quando questo sia manifestamente illegittimo. Tale principio, che per il diritto interno era già riconosciuto dal codice penale militare italiano del 1941, viene espressamente richiamato in una serie di atti internazionalmente vincolanti con esplicito riferimento al carattere manifestamente illegittimo degli ordini di commettere genocidio o crimini contro l'umanità.

Infine, tra i tabù caduti nel campo che ci interessa, non si può dimenticare il principio di non retroattività della legge punitiva. Qui la situazione giuridica si atteggia in modo particolare. Per esempio, nel già citato Statuto di Roma la non retroattività viene mantenuta nel modo più rigoroso: quando un giorno la auspicata Corte permanente dovesse entrare in funzione la Sua giurisdizione si estenderà soltanto su fatti successivi. Ma i delitti di violazione delle Convenzioni di Ginevra del 1949, i crimini di guerra, il genocidio e i crimini contro 1'umanità commessi nei territori della ex-Jugoslavia e punibili dal Tribunale internazionale dell'Aja si estendono sino all'inizio del 1991 ancorché le risoluzioni nn.808 e 827 del Consiglio di Sicurezza dell'ONU siano del 1993. Più interessanti al riguardo sono gli articoli 7 della Convenzione europea di Roma del 1950 e 15 del Patto internazionale sui diritti civili e politici (New York, 1966). Entrambi questi articoli vincolano i paesi firmatari all'osservanza del principio nullum crimen sine lege, nulla poena sine lege, ivi incluso il divieto di retroattività delle leggi punitive. Tuttavia in un capoverso, entrambi gli articoli aggiungono che quanto ivi sancito "non ostacolerà il rinvio a giudizio e la condanna di una persona colpevole di un'azione o di una omissione che, al momento in cui fu commessa, era criminale secondo i principi generali di diritto riconosciuti dalle nazioni civili ". ( Il Patto del 1966 preferisce la formula "dalla comunità delle nazioni").


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