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La storia di un manoscritto INCONTRO CON ANTONIA ARSLAN

Roma : Mart 31 GENNAIO 2012

la Feltrinelli | Libri e Musica | Galleria A. Sordi 31/35, Roma
martedì 31 gennaio - ore 18.00
I manoscritti sono sempre stati considerati sacri dagli armeni e per questo protetti e salvati dagli aggressori o riscattati come i prigionieri di guerra. Ci sono molte storie di persone comuni che, rischiando la vita, hanno scelto di salvare i manoscritti invece dei loro beni personali. Questa è stata una delle caratteristiche principali dell’identità nazionale degli armeni.
Ne è un vivo esempio il più grande manoscritto armeno, “Msho Charantir” (“Omeliario di Mush”), che è attualmente esposto alMatenadaran (Museo dei manoscritti antichi, Yerevan, Repubblica d’Armenia). E’ stato creato nel Monastero Avag della città armena di Yerznka dal sacerdote Vardan. Ci sono voluti tre anni di duro lavoro (1200-1202) per completare l’opera. Il manoscritto era composto di604 fogli di pergamena con 1208 pagine complessive. Ciascuno di fogli, fatto di cuoio di vitello di un mese, è largo 55,5 cm e lungo 70 cm.

L’uomo che ha commissionato quest’opera gigantesca (pesa 28 kg), si chiamava Astvatsatur. Nel 1203, durante l’invasione mongola-tartara, Astvatsatur è stato ucciso e tutti i suoi beni sono stati sequestrati. Il giudice turco della città di Khlat se n’è impossessato, sostenendo che Astvatsatur gli doveva dei soldi. Nel 1206 i sacerdoti della Chiesa di Surb Arakelots di Mush hanno saputo che il giudice voleva vendere il manoscritto e, dopo circa un anno di trattative, sono riusciti ad acquistarlo per 4000 monete d’argento.

Nel XIX sec. i monaci Mechitaristi dell’isola di San Lazzaro, durante il loro pellegrinaggio alla chiesa di Surb Arakelots, hanno portato con sé come reliquie i 17 fogli del manoscritto.

Da allora in poi bisogna aspettare fino all’anno fatale 1915 per riprendere la storia di questo manoscritto singolare.

Questa rocambolesca storia è raccontata per noi da Antonia Arslannel suo nuovo lavoro, Il Libro di Mush (Skira editore).

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Rita Pabis